CCNL e appalti pubblici: rischi e vantaggi di una nuova disciplina

A cura di Vincenzo Laudani

Vincenzo Laudani 12 Giugno 2024
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Indice

Premessa

Il Codice Appalti del 2023, rispetto a quello del 2016, è caratterizzato da una maggiore sensibilità rispetto ai riflessi della contrattualistica pubblica sui diritti dei lavoratori.
Questa maggiore sensibilità è dovuta sia ad un maggiore attenzione politica per il tema, dovuta anche a purtroppo noti fatti di cronaca relativi a fenomeni come il caporalato e la morte sui luoghi di lavoro (fenomeni, però, che involgono più gli appalti privati che quelli pubblici) sia ad una consapevolezza, successiva alla pandemia Covid-19, che la contrattualistica pubblica possa sortire effetti sul sistema sociale ben più ampi rispetto alla semplice immissione di mercato nel sistema. Effetti sociali che possono essere imposti sulla base di un semplice ragionamento: il soggetto che intende ottenere profitti dal mercato pubblico è tenuto a rispettare regole più stringenti rispetto a quelle che operano sul mercato privato e, se non è in grado o non vuole attenersi ad esse, può ben fuoriuscire dallo stesso.
Gli strumenti con cui il legislatore del 2023 ha voluto realizzare questi effetti sono principalmente tre, ossia:
– Introduzione di requisiti minimi di offerta (CCNL, clausole sociali e, forse, patente a punti) alla cui violazione consegue l’esclusione automatica delle offerte;
– Introduzione di criteri premiali, con conseguenti minori chances di aggiudicazione in capo al soggetto non rispettoso della normativa in questione;
– Introduzione di obblighi alla cui violazione conseguono profili risarcitori.
Tutti e tre gli strumenti in questione devono essere ben governati dall’ente pubblico come dal soggetto privato. I rischi derivanti dalle violazioni sono molteplici e di varia natura. Solo per farne alcuni esempi:
– Responsabilità solidale con il subappaltatore e con i propri partner contrattuali;
– Risarcimento danni derivanti da erroneo calcolo dei minimi salariali dovuti, imputabili ad errore nella individuazione del CCNL applicabile alla procedura;
– Responsabilità erariale per il funzionario pubblico per eventi come l’omessa corresponsione di retribuzioni.
Conoscere quindi questi strumenti è essenziale per la corretta e proficua partecipazione alla procedura.
In questo primo appuntamento su tali profili tratteremo il tema del CCNL, previsto dall’art. 11 del Codice del 2023.

ccnl

Il Codice Appalti del 2016

La rilevanza del CCNL sotto la vigenza del Codice Appalti del 2016 era limitata.
In virtù del principio di libertà d’impresa, e della correlata libertà di scelta per l’imprenditore del contratto collettivo da applicare alle proprie maestranze, l’operatore economico era libero di applicare ai propri dipendenti il contratto collettivo ritenuto più aderente alle proprie esigenze. L’unico limite era costituito dalla pertinenza: l’imprenditore non poteva applicare contratti collettivi scollegati dall’attività svolta, e incorreva nell’esclusione laddove avesse deciso di farvi ricorso.
Inoltre, la libertà di scelta si consumava a monte: una volta individuato il CCNL applicabile alle maestranze, l’imprenditore non poteva disapplicarlo ed eventuali previsioni dell’offerta ad esso contrarie determinavano l’esclusione automatica dell’offerta.
Il Codice del 2016 non prevedeva un obbligo dichiarativo del CCNL da applicare ai dipendenti: il tema emergeva tipicamente solo in fase di anomalia dell’offerta, quando il concorrente, per giustificare il proprio ribasso e dimostrare la serietà della propria offerta, ricollegava i costi della manodopera al CCNL applicato, che poteva avere effetti di rilievo. Di qui l’emersione di una corposa giurisprudenza sull’interpretazione delle clausole dei CCNL negli appalti pubblici per valutare la legittimità dei giustificativi presentati dall’offerente. Di recente, inoltre, era emerso il tema della sopravvenienza del rinnovo del CCNL in corso di gara: per parte della giurisprudenza amministrativa questo era irrilevante e non poteva essere valutato nella fase di anomalia dell’offerta, in quanto quest’ultima era stata formulata sotto la vigenza di un diverso CCNL e questo costitutiva il parametro di riferimento per la valutazione della serietà dell’offerta. Per un altro indirizzo, invece, il rinnovo andava valutato nella fase di anomalia perché la serietà dell’offerta andava considerata in maniera prospettica, ossia nella prospettiva della sua effettività nel corso dell’esecuzione del contratto.
Il regime del Codice del 2016 presentava un problema di rilievo: la tematica del CCNL poteva non emergere in alcun modo nella fase di gara e non essere oggetto di alcuna valutazione. Le conseguenze di questa lacuna potevano essere gravi in termini anche di sicurezza nei luoghi di lavoro: i CCNL prevedono infatti degli obblighi di formazione del personale e, pertanto, il ricorso ad un CCNL non pertinente apriva al possibile verificarsi di incidenti nella fase esecutiva. In merito, sia consentito svolgere una breve considerazione per gli enti pubblici: la verifica degli obblighi previsti dal diritto del lavoro (di cui diremo anche in altri articoli) è uno strumento necessario e utile per prevenire eventi le cui conseguenze possano essere nefaste sia per la loro incidenza sul bilancio pubblico sia per il funzionario che abbia omesso l’adempimento. Lo svolgimento di verifiche, anche a mezzo di supporto specialistico, non può eliminare qualsiasi profilo di rischio, ma rileva sotto il profilo dell’eventuale responsabilità, consentendo al soggetto di essere in grado di avere fatto tutto quanto possibile per prevenire il verificarsi dell’incidente. E ciò non solo con riferimento alla sicurezza sui luoghi di lavoro, ma anche sul rispetto degli orari di lavoro, delle norme sulle retribuzioni ecc.
La maggiore attenzione per la dimensione sociale degli appalti pubblici, di cui è testimone la guida della Commissione Europea in merito, ha condotto ad una modifica, se non anche a una vera e propria rivoluzione, in materia.

La legge delega 78 del 2022

La legge delega 78 del 2022 obbligava il legislatore delegato a trattare la tematica dei contratti collettivi sotto due profili.
Il primo: quello della revisione dei prezzi. Nel corso dell’esecuzione del contratto (ma, in realtà, anche in corso di gara) può verificarsi il rinnovo del contratto collettivo, il che può determinare un aumento dei costi del lavoro in capo all’appaltatore: tale aumento, nella prospettazione del giudice delegato, determinerebbe un onere di attivazione del meccanismo della revisione dei prezzi.
Il secondo: quello delle clausole sociali. Con una formulazione di scarsa chiarezza[1], il legislatore delegato ha previsto l’obbligo per le stazioni appaltanti di inserire specifiche clausole sociali che individuassero l’applicazione dei contratti collettivi nazionali e territoriali più rappresentativi come <<condizioni necessarie dell’offerta>>. Quest’ultima espressione è significativa, perché, come è noto, le condizioni necessarie dell’offerta sono quelle la cui mancanza determina l’esclusione automatica del concorrente, ed è da questa previsione che discende l’art. 11 del Codice Appalti del 2023.

L’art. 11 del Codice e l’obbligo di applicazione del CCNL

L’art. 11 del Codice del 2023, al comma 1, stabilisce un principio: al personale impiegato nell’appalto è necessario applicare il CCNL che:
– Sia in vigore per il settore di riferimento;
– Sia in vigore per la zona nella quale debbano essere eseguite le prestazioni di lavoro;
– Sia stato stipulato dalle parti più rappresentative a livello nazionale;
– Abbia un ambito di applicazione strettamente connesso con l’attività svolta dall’impresa.
Il comma 2 specifica che l’individuazione del CCNL sia compito della Stazione Appaltante, in modo tale da evitare di ingenerare confusione negli operatori economici e di sottoporsi al grave rischio di poter incorrere nell’esclusione sulla base di un errore di applicazione dei criteri. L’evidente scopo della norma è stato però tradito dalla giurisprudenza amministrativa, per la quale l’omessa individuazione del CCNL da parte dell’ente pubblico non determina invalidità del bando: l’operatore economico può infatti autonomamente individuare il contratto collettivo applicato e, in caso, valutare autonomamente se questo sia o non sia equivalente. L’effetto deleterio di una simile giurisprudenza è avallare comportamenti dell’ente pubblico volti a trasferire il rischio operativo sul soggetto privato. Certo, si potrebbe affermare che quest’ultimo dovrebbe avere piena conoscenza della normativa giuslavoristica, ma una simile affermazione si scontra con due dati evidenti, ossia: a) l’operatore economico, fuori dal mercato pubblico, non ha un CCNL imposto dalla legge, potendo scegliere tra i diversi contratti collettivi; b) l’operazione in questione sconta profili di complessità non irrilevanti, come si dirà in seguito.
Come abbiamo visto, esiste una discrasia tra mercato privato (nel quale vige il principio di libera scelta del CCNL) e mercato pubblico (nel quale oggi vi è un CCNL imposto). Questa discrasia potrebbe avere effetti deleteri sul secondo mercato: difficilmente l’operatore economico sarebbe infatti disposto a stravolgere la propria organizzazione per accedere alle commesse pubbliche, specie quando queste non costituiscono il fattore preponderante del proprio reddito. Il legislatore ha cercato di superare il conflitto con una prospettiva sostanzialistica: ciò che conta non è il CCNL applicato, ma che siano garantite le tutele previste dal CCNL indicato dalla Stazione Appaltante. In tal caso l’operatore economico fornisce una dichiarazione di equivalenza con cui attesta che il proprio contratto collettivo offre tutele equivalenti a quello indicato dall’ente pubblico.
L’applicazione delle coordinate sopra indicate può apparire non agevole. Come si individua il CCNL applicabile? Come si valuta se quello individuato dall’operatore economico offre garanzie equivalenti? Quali verifiche vanno effettuate dall’ente pubblico? E’ possibile valutare il contratto collettivo integrativo? L’ANAC ha fornito delle prime indicazioni nella Relazione al Bando Tipo n. 1 del 2023, rispondendo così anche a delle perplessità espresse in merito dalla dottrina[2].

La relazione al bando tipo n. 1 del 2023. L’individuazione del CCNL

L’ANAC divide in più passaggi procedimentali l’operazione volta ad individuare il CCNL applicabile, attività che andrebbe svolta dall’ente pubblico ma che, sulla base della giurisprudenza in precedenza richiamata, nel caso di omissione diviene onere del soggetto privato.
Preliminarmente, occorre individuare il settore di riferimento della (o delle) prestazione da affidare. Questo può essere effettuato mediante l’utilizzo del Codice ATECO[3]. In alternativa, è possibile individuare il codice CPV applicabile alla procedura e convertirlo nel codice ATECO di riferimento.
Una volta individuato il settore di riferimento, è possibile ricercare il CCNL applicabile a quella determinata attività sul sito del CNEL mediante la maschera di ricerca (consultabile al seguente link: https://www.cnel.it/Archivio-Contratti-Collettivi/Archivio-Nazionale-dei-contratti-e-degli-accordi-collettivi-di-lavoro/Contrattazione-Nazionale/Ricerca-CCNL) o il file excel messo a disposizione dal CNEL (https://www.cnel.it/Portals/0/CNEL/Archivio_Contratti/Aggiornamenti%202024/GIUGNO/CCNL%20settore%20privato.xlsx?ver=2024-06-05-141428-540).
L’utilizzo del file excel ha il pregio di consentire di individuare tutti i contratti collettivi correlati ad un determinato codice ATECO al foglio A6. Diversamente, la schermata di ricerca è di più agevole consultazione ma non presenta il collegamento ATECO-CCNL.
Tra i CCNL correlati ad un determinato codice ATECO è necessario individuare quello più rappresentativo. Questa operazione può essere effettuata consultando il foglio B2 del file excel indicato, che riporta il numero di aziende e di lavoratori cui si applica quel determinato CCNL.
Come si vede, l’operazione in questione è relativamente agevole ma presenta un effetto a cascata: l’errata individuazione del codice ATECO determinerà anche l’errata individuazione del CCNL applicabile. Questo errore ha riflessi di rilievo: ad un CCNL applicabile erroneo consegue un’erronea indicazione dei minimi salariali, un’erronea disciplina del lavoro straordinario, dei permessi ecc. e quindi violazioni del diritto del lavoro che dovrebbero comportare l’esclusione automatica dell’offerta presentata oltre che, nella eventuale fase esecutiva, profili di responsabilità risarcitoria: il dipendente correttamente potrebbe ritenere che, in base all’art. 11 del Codice, avrebbe avuto diritto ad un salario diverso e agire per il recupero del dovuto secondo il CCNL che ritenga avrebbe dovuto essere oggetto di applicazione. Responsabilità che potrebbe essere estesa anche all’ente pubblico, tenuto sia ad individuare il CCNL correttamente applicabile sia a vigilare sul rispetto della normativa del lavoro e della corresponsione dei salari. Normalmente il profilo risarcitorio si limita al rapporto datore di lavoro – dipendente, ma non si può escludere un’estensione al committente laddove, ad esempio, l’impresa privata risulti decotta[4].

Equivalenza

Come si è detto, il Codice Appalti del 2023 prevede due opzioni per l’appaltatore:
a) Applicare il CCNL individuato dalla Stazione Appaltante;
b) Applicare un diverso CCNL provando che quest’ultimo offra garanzie equivalenti a quello indicato dalla Stazione Appaltante.
La terza ipotesi è quella che ha dato adito a più dubbi. I CCNL infatti difficilmente presentano caratteri di omogeneità, potendosi differenziare per la disciplina del lavoro straordinario, per quella dei permessi, per l’istituzione di fondi sanitari integrativi, valore degli eventuali buoni pasto, lavoro a distanza, ferie ecc.
L’Autorità ha quindi fornito delle indicazioni operative su come effettuare il raffronto tra i due CCNL e verificare, quindi, se sussista un rapporto di equivalenza. Queste indicazioni operative non contengono, si noti, degli esempi. L’assenza di una tabella di raffronto predeterminata è probabilmente il punctum dolens che genera incertezza normativa e la sua istituzione è stata suggerita da parte della dottrina, per quanto sicuramente risulti difficile dato il numero di CCNL esistenti sul territorio italiano[5].
Secondo l’Autorità occorre valutare sia gli elementi economici che quelli normativi.
Sotto il profilo economico, occorre tenere conto delle componenti fisse della retribuzione globale annua. Con il che non si comprende se debbano essere tenute in considerazione o meno ulteriori voci come, ad esempio, i premi di produzione, che pur essendo eventuali possono avere un rilievo determinante nel distinguere il trattamento economico dei lavoratori[6]. A ciò si aggiunga che secondo una delle prime pronunce sul tema la retribuzione prevista dal CCNL applicato potrebbe anche essere peggiorativa[7], seppur il Codice individui i minimi salariali inviolabili in quelli previsti dal CCNL più rappresentativo[8]. L’ANAC consiglia sempre di effettuare questa valutazione per prima, probabilmente perché questa, involgendo solo elementi quantitativi, dovrebbe essere la più agevole.
Sotto il profilo normativo, l’ANAC individua 12 parametri da considerare, affermando che i contratti non possano dirsi equivalenti laddove sussistano divergenze per più di due parametri[9]. Pur apprezzandosi lo sforzo dell’Autorità di fornire delle direttrici chiare, la scelta espressa lascia molte perplessità sul punto, limitando la valutazione di equivalenza ad un elemento quantitativo e non qualitativo e senza specificare se gli scostamenti marginali debbano essere valutati o meno. La stessa Autorità, d’altronde, appare scarsamente convinta della propria tesi, utilizzando il verbo potere (<<può>>) e l’espressione <<di regola>>.

Subappalto

L’art. 11 del Codice specifica che le tutele previste dal CCNL più rappresentativo debbano essere applicate anche ai lavoratori in subappalto.
La previsione, come ben si vede, appare nella sua formulazione eccessivamente rigida, in quanto il subappalto può riguardare singole prestazioni alle quali si applichi un CCNL diverso.
Poniamo un esempio con gli appalti assicurativi. A questi ultimi si applica il CCNL identificato con codice alfanumerico J121, caratterizzato da un elevato livello di garanzie.
Alcune compagnie assicurative <<esternalizzano>> (nel linguaggio della contrattualistica pubblica: <<subappaltano>>) delle prestazioni a soggetti terzi. Ad esempio, l’attività di call center può essere svolta da un soggetto terzo, il quale, limitando la propria prestazione solo ai servizi di call center, applica un diverso contratto collettivo. Imporre al prestatore di servizi di call center l’applicazione di un contratto collettivo di maggior favore, relativo ad un settore economico diverso da quello in cui opera, comporterebbe l’effetto paradossarle di vedere applicato un contratto del tutto slegato dalle prestazioni che svolge, con – ad esempio – dei percorsi formativi del tutto non pertinenti con le prestazioni che svolge.
Il legislatore del 2023 si è avveduto del rischio, ponendo una regolamentazione più specifica del fenomeno all’art. 119, commi 7 e 12[10] che ha, inoltre, superato una grave contraddizione che caratterizzava il precedente testo[11].
Il comma 12 afferma che il subappaltatore sia tenuto ad applicare il medesimo CCNL previsto per il contraente principale (l’appaltatore) solo se è rispettato il criterio di pertinenza, ossia solo se le attività subappaltate coincidono con l’oggetto dell’appalto o se riguardano le lavorazioni oggetto della categoria prevalente e queste siano incluse nell’oggetto sociale del contraente principale.
La previsione non appare chiarissima. In primis, essa parla di <<contratti collettivi>> applicabili all’appaltatore, come se esistessero più contratti individuabili dall’art. 11 del Codice. In secundis, sembra prevedere un regime di garanzia maggiore per i dipendenti impiegati negli appalti di lavori e minore per i dipendenti impiegati nei servizi. Il che, invero, sembra scontare un certo grado di approssimazione, se si considera che, ad esempio, alcuni servizi affidati in appalto oggi riguardano la resa di intere sale chirurgiche con personale, con connesse gravi responsabilità. Sorprende, inoltre, l’assenza di un qualsiasi riferimento alla disciplina del subappalto a cascata che determina ulteriori frazionamenti delle prestazioni. Occorre in tali casi applicare al rapporto CCNL subappaltatore principale – CCNL subappaltatore secondario gli stessi principi previsti per il rapporto CCNL appaltatore – CCNL subappaltatore?
Più chiara, forse, la previsione del comma 7, che individua un principio di rilievo, e cioè: l’appaltatore è responsabile in solido dell’osservanza del CCNL anche da parte del subappaltatore. Responsabilità quindi individuata specificamente che può avere effetti di rilievo, in quanto, ad esempio, l’appaltatore potrebbe essere chiamato a rispondere della violazione dei minimi salariali o della mancata corresponsione di alcuni emolumenti anche con riferimento, a parere di chi scrive, dei subappaltatori a cascata.

Conclusioni

Le interferenze tra diritto del lavoro e contrattualistica pubblica, come vedremo anche in seguito, sono aumentate.
Questo impone un cambio di mentalità di tutti gli attori del processo.
Gli enti pubblici devono assumere consapevolezza dei rischi che oggi gravano su di essi: maggiori tutele riconosciute ai lavoratori impiegati nell’appalto, maggiori rischi di essere chiamati a rispondere per la loro omessa vigilanza anche oltre i consueti limiti dell’omessa vigilanza sul pagamento delle retribuzioni.
A maggior ragione, i rischi aumentano per gli operatori privati, chiamati essi direttamente ad applicare determinate garanzie ai propri dipendenti nel caso di aggiudicazione (e, prima ancora, a correre il rischio di esclusione nel caso di applicazione di garanzie inferiori).
Rischi, ma anche opportunità, perché gli operatori economici che hanno investito sulla creazione di ambienti di lavoro responsabili sono agevolati nella partecipazione. Ed è questa forse la principale funzione perseguita dalla riforma del 2023: fare degli appalti pubblici un volano (e un premio) per le imprese che guardino alla dimensione etica dei propri business. Anche se, sino ad oggi, non sembra che questo effetto si sia realizzato, complice anche una certa sottovalutazione del tema da parte delle stazioni appaltanti, purtroppo avallato dalla giurisprudenza amministrativa: emblematico il caso dell’ente che aveva omesso di calcolare i costi della manodopera e omesso di indicare il CCNL salvato in sede giudiziaria dal TAR[12].

Note

[1] Anche la relazione al Codice Appalti del 2023 sembra esprimersi in termini dubitativi rispetto all’interpretazione della previsione, laddove afferma che l’art. 1, lettera h), n. 2 della legge delega <<sembra aver abbandonato l’idea di una funzione meramente promozionale e incentivante, nei confronti degli operatori economici, delle norme sulle clausole sociali nella disciplina dei contratti pubblici, mirando a conseguire un effettivo risultato applicativo con norme maggiormente pregnanti e vincolanti>>. Tale scarsa chiarezza avrebbe forse dovuto indurre il legislatore ad astenersi dall’introdurre una norma così cogente, dato il rischio di una incostituzionalità della previsione per eccesso di delega. Non si condivide, invece, l’osservazione dottrinale per la quale un profilo di eccesso di delega riguarderebbe unicamente l’ammissibilità dell’equivalenza, non prevista dalla legge delega: è noto infatti che il legislatore mantiene pur sempre un minimo di discrezionalità nell’attuare la legge delega, discrezionalità che verrebbe correttamente esercitata nell’evitare un utilizzo formalistico della norma che la esporrebbe (esso sì) a rischio di incostituzionalità. Per quest’ultima tesi si veda G. Piglialarmi, Appalti pubblici e contrattazione collettiva:  la battaglia della semplificazione tra narratività e realtà (normativa), per il quale <<occorrerebbe chiedersi se non vi sia stato un eccesso di delega laddove l’art. 1, comma 2, lett. h) della legge 21 giugno 2022, n. 78 chiedeva al legislatore delegato solo di “garantire l’applicazione dei contratti collettivi nazionali e territoriali di settore” in relazione all’oggetto dell’appalto ma non anche di poter garantire all’appaltatore l’applicazione di un contratto collettivo differente purché nel rispetto dell’equipollenza delle tutele>>. Indipendentemente invece dai profili di incostituzionalità, sono state espresse critiche sulla previsione di una possibilità di equivalenza del CCNL da ANCE (Direzione Legislazione Opere Pubbliche), D. lgs. 31 marzo 2023, n. 36. Esame e commento, per la quale la <<previsione … rischia di vanificare il … principio general, basato sul criterio di corrispondenza tra attività svolta e CCNL applicato, introducendo il diverso e più indeterminato criterio di <<eguaglianza delle tutele>>.
[2] Si veda G. Piglialarmi, Appalti pubblici e contrattazione collettiva: la battaglia della semplificazione tra narrativa e realtà (normativa)
[3] Si ricorda, per gli operatori privati, che il Codice ATECO della propria attività prevalente è individuato nella visura camerale, che può quindi costituire un parametro iniziale di valutazione.
[4] Nello stesso senso si veda E. Massi, Appalti e subappalti senza CCNL più rappresentativo: quali rischi per il committente?, il quale ricorda che <<il committente … a fronte di un CCNL non in linea con la norma … potrebbe essere chiamato in giudizio a rispondere di rivendicazioni economiche e normative riferite a quello che sarebbe dovuto essere il contratto collettivo da applicare>>. Lo stesso autore ricorda, e val la pena segnalarlo, che <<il committente non può eccepire il beneficio della preventiva escussione dell’appaltatore o del subappaltatore>>
[5] G. Piglialarmi, Appalti pubblici e contrattazione collettiva: la battaglia della semplificazione tra narrativa e realtà (normativa), evidenzia che esistono <<1.037 CCNL presenti nell’archivio del CNEL molti dei quali sottoscritti da organizzazioni sindacali scarsamente rappresentative>>.
[6] Relazione al bando tipo n. 1/2023: <<Si suggerisce di effettuare dapprima la valutazione dell’equivalenza economica dei contratti, prendendo a riferimento le componenti fisse della retribuzione globale annua costituite dalle seguenti voci: retribuzione tabellare annuale; indennità di contingenza; Elemento Distinto della Retribuzione – EDR – a cui vanno sommate le eventuali mensilità aggiuntive (tredicesima e quattordicesima), nonché ulteriori indennità previste>>
[7] TAR Lombardia, Brescia, sez. II, 12.3.2024 n. 89: <<Non è necessaria la parità di retribuzione, in quanto tale condizione sarebbe equivalente all’imposizione di un CCNL unico>>
[8] L’art. 110 del Codice prevede che <<la stazione appaltante esclude l’offerta … se … è anormalmente bassa in quanto … d) il costo del personale è inferiore ai minimi salariali retributivi indicati nelle apposite tabelle di cui all’articolo 41, comma 13>>, e l’art. 41 comma 13 fa riferimento ai valori economici risultanti <<dalla contrattazione collettiva nazionale tra le organizzazioni sindacali e le organizzazioni dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative>>.
[9] Relazione al bando tipo n. 1/2023: <<Quanto alla valutazione di equivalenza delle tutele normative sono presi a riferimento i parametri relativi a: – la disciplina concernente il lavoro supplementare e le clausole elastiche nel part-time; – la disciplina del lavoro straordinario, con particolare riferimento ai suoi limiti massimi, con l’avvertenza che solo il CCNL leader può individuare ore annuali di straordinario superiori alle 250. Lo stesso non possono fare i CCNL sottoscritti da soggetti privi del requisito della maggiore rappresentatività; – la disciplina compensativa delle ex festività soppresse, che normalmente avviene attraverso il riconoscimento di permessi individuali; – la durata del periodo di prova; – la durata del periodo di preavviso; – durata del periodo di comporto in caso di malattia e infortunio; – malattia e infortunio, con particolare riferimento al riconoscimento di un’eventuale integrazione delle relative indennità; – maternità ed eventuale riconoscimento di un’integrazione della relativa indennità per astensione obbligatoria e facoltativa; – monte ore di permessi retribuiti; – bilateralità; – previdenza integrativa; – sanità integrativa. La stazione appaltante può ritenere sussistente l’equivalenza in caso di scostamenti marginali in un numero limitato di parametri. Sul punto, si evidenzia che la richiamata Circolare dell’INL individua un primo elenco di nove istituti sui quali effettuare la verifica di equivalenza dei trattamenti normativi, ritenendo ammissibile lo scostamento limitato ad un solo parametro. Pertanto, considerato che l’elenco su proposto è più ampio, si può ritenere ammissibile, di regola, uno scostamento limitato a soli due parametri>>
[10] Si vuol qui ribadire quando già sostenuto nella trattazione di altri temi: il codice presenta dei microsistemi normativi talvolta frammentati, per cui è sempre necessario effettuare una lettura integrale delle disposizioni senza parcellizzare l’analisi a singoli aspetti.
[11] I. Santoro, “A cavallo” tra due codici: l’equo trattamento dei lavoratori nella nuova normativa sui contratti pubblici, evidenzia che <<A tal proposito, può salutarsi positivamente la scelta del legislatore di legare assieme l’art. 119, co. 7 con l’art. 11 se si pensa che, nella vigenza del codice del 2016, l’art. 105, co. 9 v.f. e l’art. 30, co. 4 v.f. erano parsi in contrapposizione l’uno con l’altro nella misura in cui il primo chiedeva, come regola di esecuzione, che l’affidatario garantisse il trattamento previsto da un contratto collettivo vigente del settore e della zona mentre il secondo, che era anche principio di esecuzione, riconosceva ai dipendenti dell’affidatario il diritto all’applicazione del contratto collettivo stipulato dai soggetti comparativamente più rappresentativi e coerente con l’oggetto dell’appalto>>
[12] TAR Sicilia, Catania, sez. III, 6.6.2024 n. 2137

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