Caso Sanremo: l’affidamento diretto del marchio “Festival della Canzone Italiana” e i principi di evidenza pubblica

Vincenzo Laudani 9 Dicembre 2024
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Premessa

Con la sentenza 843 del 2024 il TAR Liguria si è pronunciato sull’affidamento diretto, da parte del Comune di Sanremo, della concessione in esclusiva del marchio “Festival della Canzone Italiana” e dell’organizzazione delle edizioni 2024 e 2025 del Festival alla RAI – Radiotelevisione Italiana S.p.A.
Il Tribunale ha ribadito che tali affidamenti richiedono l’adozione di procedure di evidenza pubblica e reputa quindi illegittimo l’affidamento diretto, seppur salvando l’organizzazione del festival per l’anno 2025.
La RAI ha già annunciato di volere proporre ricorso in  appello.

I motivi del ricorso

Il ricorso è stato proposto dalla società JE S.r.l., operante nel settore della produzione di eventi musicali, contro il Comune di Sanremo e la RAI.

Il ricorso principalmente afferma che:

1. La concessione dell’uso esclusivo del marchio e l’organizzazione del Festival sono avvenute senza una procedura competitiva, e quindi in violazione dei principi di trasparenza e non discriminazione sanciti dal diritto europeo e dalla normativa nazionale. Allo stesso modo sarebbe illegittimo l’affidamento della gestione di eventi collaterali a RAI Pubblicità S.p.A.

2. La concessione non concederebbe un ritorno economico adeguato al Comune rispetto ai ricavi che verrebbero conseguiti dalla RAI;

3. Il Comune di Sanremo avrebbe ignorato la manifestazione di interesse alla realizzazione del Festival e precluso qualsiasi possibilità di valutare altre offerte che avrebbero potuto garantire un maggiore guadagno economico all’ente.

La decisione del TAR Liguria

1. Sulla legittimazione a ricorrere
Il TAR rigetta le eccezioni sulla carenza di interesse a ricorrere, fondate anche sulla mancanza, in capo alla JE S.r.l., della licenza ad operare come emittente televisiva, con conseguente impossibilità ad operare nel mercato.
La JE S.r.l. aveva presentato, infatti, una manifestazione di interesse per l’affidamento del servizio, dichiarando di volere costituire un raggruppamento temporaneo con operatori radiotelevisivi e operatori del settore, il che le consentirebbe di accedere al mercato.
Trattandosi inoltre di affidamento diretto, deve essere riconosciuta un’ampia legittimazione a ricorrere, essendo sufficiente la prova della possibilità di partecipare a una eventuale procedura di gara. Prova che non richiede di dimostrare il possesso di requisiti speciali di partecipazione, dovendo questi essere definiti da una lex specialis che, nel caso di specie, non sono stati definiti.
 
2. Necessità di una procedura di evidenza pubblica
Il TAR qualifica il contratto di concessione oggetto di impugnazione e di affidamento quale contratto attivo, presentando questo un’utilità economica sia per l’ente sia per il soggetto privato.
Pur non essendo tali contratti soggetti alle regole del Codice, nondimeno essi erano soggetti, ratione temporis, ai principi generali previsti dall’art. 13 c. 5 del Codice del 2016, con conseguente obbligo di assegnazione nel rispetto dei principi di trasparenza, pubblicità, proporzionalità e concorrenza e quindi di svolgimento di una procedura.
Non era ammesso, quindi, il ricorso all’affidamento diretto. Il TAR sottolinea infatti che questa modalità di aggiudicazione non consente il confronto tra offerte e quindi la possibilità per l’Amministrazione di massimizzare il ritorno economico.
L’uso dell’affidamento diretto non può essere giustificato da considerazione di mera prassi, perché questa non può prevalere sulla necessità di garantire evidenza pubblica e concorrenza a pari opportunità tra tutti i soggetti interessati. D’altronde la stessa manifestazione di interesse dimostra l’esistenza di interessi di altri operatori.
L’obbligo di non ricorrere all’affidamento diretto discende d’altronde anche dai principi eurounitari e, in particolare, dall’art. 56 del TFUE.
 
3. La tesi dell’inscindibilità di marchio e format.
Il TAR ha respinto l’argomentazione della RAI secondo cui il format del Festival sarebbe indissolubilmente legato al marchio. Questa tesi si fondava sull’idea che il format stesso, quale “struttura creativa” della manifestazione, non potesse essere disgiunto dal titolo “Festival della Canzone Italiana”, rappresentato dal marchio registrato dal Comune di Sanremo.
La sentenza ha invece sottolineato che il Comune è il legittimo titolare del marchio, avendolo registrato nel 2000 senza opposizione, neanche da parte della RAI, e può quindi concederne l’uso ad altri soggetti. Questo diritto implica che il Comune possa liberamente associarlo a format differenti da quello attuale, purché sia rispettata la funzione distintiva del marchio stesso. Il TAR ha evidenziato che il marchio rappresenta il titolo della manifestazione e non un elemento inscindibile del format, il quale può essere soggetto a modifiche o sostituzioni senza che ciò comprometta la legittimità dell’uso del marchio, come riconosciuto dal Consiglio di Stato con sentenza 552 del 2015.
 
4. La sproporzione economica.
Il TAR ha rilevato che i benefici economici derivanti dal Festival sono concentrati prevalentemente sulla RAI, mentre le entrate per il Comune appaiono modeste rispetto all’importanza e al valore economico della manifestazione. Il che determina anche un ulteriore profilo di illegittimità per violazione dei principi di economicità e buon andamento dell’azione amministrativa.
 
5. L’efficacia della convenzione.
Per il TAR l’illegittimità degli atti amministrativi non determina l’inefficacia della Convenzione, dovendosi modulare gli effetti della sentenza.
L’inefficacia della Convenzione avrebbe infatti determinato l’impossibilità di svolgere il festival del 2025 in corso di preparazione.
 

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