Carenza di requisiti speciali del componente del costituendo RTI e comunicazione alla stazione appaltante

Sandro Mento 30 Ottobre 2024
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Appalto di lavori (PNRR) – costituendo RTI – art. 68 d.lgs. n. 36/2023 – requisiti di ordine speciale – art. 100 Codice – qualificazione esecutori di lavori – allegato II.12 Codice – carenza requisito qualificazione – mandante – art. 97 Codice – estromissione/sostituzione/recesso – comunicazione alla stazione appaltante – termine presentazione dell’offerta – soccorso istruttorio – art. 101 Codice – inapplicabilità – cooptazione – art. 30 allegato II.12 Codice – inapplicabilità.

CONS. STATO, SEZ. V, 14 OTTOBRE 2024, N. 8214

È onere del costituendo RTI comunicare l’assenza dei requisiti di qualificazione prescritti a pena di esclusione dalla lex specialis di gara. Avendo il raggruppamento rappresentato la mancanza soltanto a seguito dell’espressa richiesta formulata dalla stazione appaltante in sede di soccorso istruttorio, ciò ha determinato la violazione del primo presupposto richiesto dal comma 1 dell’art. 97; in ragione della intempestività della comunicazione da parte dell’RTI deve ritenersi esclusa la possibilità di accedere ai rimedi previsti dall’art. 97 d.lgs. n. 36 del 2023.
 
In ordine alla facoltà di recesso della mandante [carente dei requisiti speciali di qualificazione], con contestuale assunzione delle quote per la categoria di opere generali in capo ad altra mandante, la stessa può essere esercitata da un’impresa raggruppata in occasione dell’esercizio della facoltà di modifica soggettiva in diminuzione, ossia nel caso di perdita sopravvenuta dei requisiti di partecipazione, ma anche in questo caso è necessaria la tempestiva dichiarazione di recesso, da sottoporre alle specifiche e stringenti garanzie procedimentali e temporali previste dall’art. 97, comma 2. Nel caso di specie, invece, la dichiarazione di recesso è stata effettuata tardivamente, solo nella nota di riscontro alla richiesta di chiarimenti della stazione appaltante in sede di soccorso istruttorio, e in difetto ab origine del possesso dei requisiti di partecipazione di ordine speciale.

Indice

Il caso di specie

Un costituendo RTI ha impugnato il provvedimento di esclusione da una procedura per l’affidamento di un contratto di progettazione esecutiva ed esecuzione di lavori, oltre all’aggiudicazione dell’appalto nei confronti dell’impresa controinteressata.
Il TAR Molise, all’esito, ha in parte respinto e in parte dichiarato improcedibile (con riferimento all’impugnazione dell’aggiudicazione) il ricorso.
Avverso la decisione, il costituendo RTI ha proposto appello al Consiglio di Stato, articolando plurime censure nei riguardi della sentenza di primo grado.

La decisione del Consiglio di Stato

Per quanto di interesse in questa sede, secondo l’appellante, la motivazione della sentenza avrebbe meritato, innanzitutto, di essere riformata nella parte in cui non aveva riconosciuto la possibilità, per l’RTI, di accedere ai rimedi previsti dall’art. 97 Codice, in quanto giudicato carente ab origine dei requisiti speciali di qualificazione (in materia di lavori) e per aver comunicato tardivamente alla stazione appaltante l’assenza degli stessi, considerata, altresì, la ritenuta (da parte del TAR) impossibilità di potersi avvalere, al fine di rimediare alle criticità riscontrate dalla committenza, del soccorso istruttorio (art. 101 Codice).  
Inoltre, l’RTI contestava la sentenza nella parte in cui aveva condiviso la determinazione della S.A. di non ammettere l’operatore al rimedio del recesso, accogliendo così un’interpretazione degli artt. 97 e 68 d.lgs. n. 36/2023 (asseritamente) in contrasto con la “littera legis” delle norme. Ancora una volta, infatti, il giudice di prime cure avrebbe errato limitando l’esercizio del diritto in virtù della ritenuta carenza (prima della presentazione dell’offerta) del requisito speciale richiesto dalla disciplina di gara e della (ritenuta) intempestiva comunicazione del recesso alla P.A.
Il Consiglio di Stato ha respinto il gravame e, per l’effetto, ha confermato la sentenza di parziale reiezione e parziale dichiarazione di improcedibilità del ricorso di primo grado.
Ciò premesso, ai fini della presente nota, il Collegio ha evidenziato innanzitutto che: “Il punto centrale della controversia risiede nell’analisi delle conseguenze dell’entrata in vigore del nuovo codice degli appalti (d.lgs. n. 36 del 2023) sulla possibilità di modifiche nelle quote di esecuzione da parte dei componenti dei raggruppamenti e sulle tempistiche delle comunicazioni alla stazione appaltante”.
Centrale, nella sentenza, è l’indagine dell’art. 97 Codice.
Nel caso in cui, come quello di specie: “…la causa escludente si verifichi «prima della presentazione dell’offerta», e risulti quindi integrata la fattispecie di cui alla lett. a) del comma 1 dell’art. 97 d.lgs. n. 36 del 2023, il raggruppamento è tenuto a comunicare alla stazione appaltante, in sede di presentazione dell’offerta, la causa escludente e il soggetto che ne è interessato (n. 1) e a comprovare le misure adottate ai sensi del comma 2, cioè l’estromissione o la sostituzione con altro soggetto munito dei necessari requisiti, fatta salva l’immodificabilità sostanziale dell’offerta presentata, o l’impossibilità di adottarle prima della presentazione dell’offerta (n. 2)” (il Collegio riporta la tesi di Cons. Stato, sez. V, 2 agosto 2024, n. 6944).
Dunque, secondo il Collegio, era onere del costituendo RTI comunicare l’assenza dei requisiti di qualificazione prescritti a pena di esclusione dalla lex specialis di gara. Viceversa, avendo il raggruppamento rappresentato la mancanza soltanto a seguito dell’espressa richiesta formulata dalla stazione appaltante in sede di soccorso istruttorio, ciò ha determinato la violazione del primo presupposto di cui al comma 1 dell’art. 97; in ragione della intempestività della comunicazione da parte dell’RTI è stata, quindi, esclusa la possibilità di accedere ai rimedi previsti dalla norma (sostituzione/estromissione della mandante con conservazione della partecipazione alla gara dell’RTI).
La carenza di requisiti di partecipazione (nello specifico caso, del requisito richiesto dalla lex specialis relativo alla categoria OG1 in classifica adeguata a coprire le lavorazioni che le mandanti si erano impegnate ad eseguire ai sensi dell’art. 68, comma 2 e 11 Codice), non avrebbe potuto essere sanata neppure mediante l’istituto del soccorso istruttorio.
Infatti, con riferimento all’art. 101, comma 1, lett. b) Codice, il Collegio – nel riportare le parole di Cons. Stato, sez. V, 21 agosto 2023, n. 7870 – ha evidenziato come debba tenersi ferma: “…la non soccorribilità (sia in funzione integrativa, sia in funzione sanante) degli elementi integranti, anche documentalmente, il contenuto dell’offerta (tecnica od economica): ciò che si porrebbe in contrasto con il superiore principio di parità dei concorrenti”; “…si possono emendare le carenze o le irregolarità che attengano alla (allegazione) dei requisiti di ordine generale (in quanto soggettivamente appartenenti all’operatore economico in quanto tale), non quelle inerenti ai requisiti di ordine speciale (in quanto atte a strutturare i termini dell’offerta, con riguardo alla capacità economica, tecnica e professionale richiesta per l’esecuzione delle prestazioni messe a gara)”. E ciò, ha ricordato il giudice, in applicazione dei principi di par condicio e di autoresponsabilità.
Anche il recesso della mandante dall’RTI (con assunzione della quota di lavori da parte di un altro componente del raggruppamento e relativi effetti sulla categoria di qualificazione) avrebbe dovuto rispettare l’art. 97 Codice. In particolare: “…come statuito in maniera condivisibile dalla sentenza appellata, la stessa [la facoltà di recesso] può essere esercitata da un’impresa raggruppata in occasione dell’esercizio della facoltà di modifica soggettiva in diminuzione, ossia nel caso di perdita sopravvenuta dei requisiti di partecipazione, ma anche in questo caso è necessaria la tempestiva dichiarazione di recesso, da sottoporre alle specifiche e stringenti garanzie procedimentali e temporali previste dall’art. 97, comma 2”. Nel caso di specie, invece: “…la dichiarazione di recesso è stata effettuata tardivamente, solo nella nota di riscontro alla richiesta di chiarimenti della stazione appaltante in sede di soccorso istruttorio, e in difetto ab origine del possesso dei requisiti di partecipazione di ordine speciale”.
Inapplicabile è risultato anche l’istituto della cooptazione, previsto all’art. 30, comma 4 allegato II.12 Codice, atteso che l’impresa carente del requisito di qualificazione era mandante dell’RTI e non operatore esterno al raggruppamento (sulle caratteristiche della cooptazione, per una ricostruzione, si v. TAR Veneto, sez. I, 27 giugno 2023, n. 910 e Cons. Stato, sez. V, 23 gennaio 2024, n. 742).
Il giudice, sul punto, ha ricordato gli approdi della giurisprudenza, secondo i quali il soggetto cooptato non può acquisire lo status di concorrente e alcuna quota di partecipazione all’appalto; non può rivestire, prima, la posizione di offerente e, poi, di contraente; non può prestare garanzie, al pari di un concorrente o di un contraente; non può subappaltare o affidare a terzi una quota dei lavori da eseguire.
Alla luce del carattere eccezionale e derogatorio dell’istituto, il ricorso alla cooptazione, ha precisato ancora il Consiglio di Stato, dovrà, inoltre, necessariamente scaturire da una dichiarazione espressa ed inequivoca del concorrente, per evitare che un uso improprio della stessa (dichiarazione) consenta l’elusione della disciplina inderogabile in tema di qualificazione e di partecipazione alle procedure di evidenza pubblica. Pertanto: “…deve escludersi la figura della cooptazione laddove la società asseritamente cooptata abbia tenuto un comportamento tale da manifestare la volontà, oltre che di eseguire lavori, anche di impegnarsi direttamente nei confronti della amministrazione appaltante al pari di una sostanziale associata (Cons. Stato, sez. V, 23 novembre 2018, n. 6636)”.

Alcuni profili ricostruttivi

Centrale, nella sentenza, è l’interpretazione dell’art. 97 Codice, vero e proprio “spartiacque” nella individuazione del termine entro il quale, in presenza di problematiche pertinenti cause automatiche e non di esclusione o di carenza di requisiti speciali (art. 100 Codice), l’RTI (o il consorzio ordinario, il consorzio stabile ecc.) debba comunicare alla P.A. la circostanza e provare i rimedi adottati (estromissione, sostituzione ecc.), pena, appunto, l’esclusione dalla competizione.
Sul tema, non può non essere riportato il contenuto di una (recente) decisione del Consiglio di Stato molto rilevante: la n. 6944/2024 (si v. il commento alla sentenza del sottoscritto, pubblicato in questa Rivista il 09.09.2024, da cui è tratto il presente paragrafo).
Partendo dal concetto di violazioni fiscali (gravi) definitivamente accertate, ma il discorso ovviamente può essere esteso anche alla carenza di requisiti ai sensi dell’art. 100, cit., il Collegio ha chiarito che l’art. 97 Codice ammette, a certe condizioni, che il raggruppamento possa sostituire o estromettere i propri componenti, nella prospettiva, comunque, dell’unitarietà e dell’immodificabilità dell’offerta: “…fatta salva l’immodificabilità sostanziale dell’offerta presentata” e la valutazione della stazione appaltante sulla sufficienza e tempestività delle misure adottate (così il comma 2).
Segnatamente, l’art. 97 d.lgs. n. 36/2023 (così come il self cleaning di cui all’art. 96 Codice) istituisce una modalità di superamento della regola generale, dettata appunto dall’art. 96, comma 1 d.lgs. n. 36/2023, in base alla quale: “…le stazioni appaltanti escludono un operatore economico in qualunque momento della procedura d’appalto, qualora risulti che questi si trovi, a causa di atti compiuti od omessi prima o nel corso della procedura, in una delle situazioni di cui agli articoli 94 e 95”.
In un caso come quello in esame, in cui la causa escludente si verifichi prima della presentazione dell’offerta e risulti integrata la fattispecie di cui alla lett. a) del comma 1 dell’art. 97 Codice: “…il raggruppamento [per non essere escluso] è tenuto a comunicare alla stazione appaltante, in sede di presentazione dell’offerta, la causa escludente e il soggetto che ne è interessato (n. 1) e a comprovare le misure adottate ai sensi del comma 2, cioè l’estromissione o la sostituzione con altro soggetto munito dei necessari requisiti, fatta salva l’immodificabilità sostanziale dell’offerta presentata, o l’impossibilità di adottarle prima della presentazione dell’offerta (n. 2)”.
Il successivo comma 2, ricorda ancora il giudice, dispone che: “…se un partecipante al raggruppamento si trova in una delle situazioni di cui agli artt. 94 e 95 o non è in possesso di uno dei requisiti di cui all’art. 100, il raggruppamento può comprovare di averlo estromesso o sostituito con altro soggetto munito dei necessari requisiti, fatta salva l’immodificabilità sostanziale dell’offerta presentata”. Il rimedio adottato è valutato dalla stazione appaltante e: “…se tali misure sono ritenute sufficienti e tempestivamente adottate, il raggruppamento non è escluso dalla procedura d’appalto”, mentre: “Se la stazione appaltante ritiene che le misure siano intempestive o insufficienti, l’operatore economico è escluso con decisione motivata” (sempre il comma 2).
Ma, premesse queste linee generali, è possibile per un operatore “sfuggire” alle rigorose conseguenze sanzionatorie della norma?
Detto in altri termini e in modo più specifico: in presenza di una causa di esclusione relativa ad un componente di un RTI ai sensi dell’art. 94, comma 6 Codice, già presente prima del termine di presentazione delle offerte, come può il raggruppamento andare esente dalle conseguenze stabilite dal comma 2 dell’art. 97?
Il Consiglio di Stato, alla domanda, risponde (esprimendo un principio di portata generale) che non basta provare il mero fatto storico della “ignoranza” della condizione del componente: “…perché così ragionando si avrebbe una completa deresponsabilizzazione dei raggruppamenti, con aggravio degli adempimenti di gestione delle gare da parte delle stazioni appaltanti e irragionevole regime di favore per i raggruppamenti rispetto agli operatori economici individuali. Piuttosto, andrebbe comprovata la «incolpevole ignoranza», e cioè che i componenti del raggruppamento hanno fatto ogni sforzo richiesto dalla diligenza professionale per acclarare preventivamente che nessuno dei propri componenti fosse colpito da cause di esclusione”.
Ma è concepibile “ignorare” (incolpevolmente) l’esistenza di eventuali cause di esclusione, riguardanti i singoli componenti, in un raggruppamento di imprese?
Il Consiglio di Stato, con articolata motivazione, salva appunto la incolpevole ignoranza (legata, però, alla dimostrazione del diligente sforzo professionale finalizzato alla conoscenza delle condizioni pertinenti le imprese componenti il raggruppamento), in mancanza di uno specifico e oggettivo dato (che dovrà offrire l’operatore economico), attraverso cui superare la presunzione di conoscenza della posizione dei componenti del raggruppamento, ritiene di no.
Il raggruppamento, infatti, sottolinea il Consiglio di Stato: “…pur composto da varie soggettività giuridiche, presenta un’offerta unitaria, con la conseguenza che la stazione appaltante si interfaccia con un’unica realtà giuridica e che il raggruppamento nel suo insieme si assume la responsabilità dell’offerta presentata, senza potersi fare scudo della posizione individuale dei partecipanti allo stesso, che hanno ritenuto di non partecipare singolarmente ma di presentare un’offerta unica insieme ad altre soggettività giuridiche”.
La disciplina dei raggruppamenti in materia di contratti pubblici è finalizzata: “…a consentire, attraverso il cumulo dei requisiti, la partecipazione congiunta di una pluralità di operatori economici anche di ridotte dimensioni a gare di appalti di notevole entità e, al contempo, a consentire la realizzazione dell’appalto nell’interesse della stazione appaltante attraverso la valorizzazione dell’unione delle risorse e delle capacità tecnico-organizzative ed economico-finanziarie di più imprese, con ampliamento delle garanzie per la stessa stazione appaltante”.
Nell’ottica del rapporto di diritto pubblico con l’amministrazione, il raggruppamento costituisce, dunque, un operatore unitario (“Rientrano nella definizione di operatori economici […] i raggruppamenti temporanei di concorrenti”: art. 65, comma 2, lett. e d.lgs. n. 36/2023), così agevolando la P.A. e gli interessi pubblici sottesi alla commessa.
Sempre nella prospettiva pubblicistica: “…la regolamentazione dei profili di responsabilità dell’agire gestorio (di cui al mandato collettivo) è delineata in termini di responsabilità solidale dei componenti del raggruppamento («l’offerta degli operatori economici raggruppati o dei consorziati determina la loro responsabilità solidale nei confronti della stazione appaltante»)” (così l’art. 68, comma 9 Codice).
Detta tipologia di responsabilità garantisce l’amministrazione: “…circa il fatto che tutti i partecipanti al raggruppamento rispondano dell’attività compiuta senza possibilità di distinguere le singole posizioni soggettive, così delineando la forma di responsabilità che più si avvicina a quella prevista per le soggettività giuridiche singole che partecipano alla gara e ottengono la commessa”.
Diversa è la prospettiva (“privatistica”) dei rapporti interni tra partecipanti al raggruppamento, che ruota intorno al concetto di “mandato collettivo”.
Questo richiede non solo che l’incarico venga conferito da più persone per il medesimo atto, ma pure che il conferimento congiunto venga disposto per un affare d’interesse comune: “…il connotato del mandato collettivo «non può farsi derivare dalla mera presenza di un unico atto di conferimento dell’incarico, ma è necessario dimostrare che la volontà di ciascun mandante sia legata alla volontà degli altri e che, di conseguenza, ognuno di essi si sia determinato al conferimento dell’incarico in ragione dell’adesione degli altri, in vista del compimento dell’affare unico, indivisibile ed indistinto» (Cass. civ., sez. II, 6 ottobre 2011, n. 20482), che nel caso di specie è rappresentato dall’unicità dell’offerta” (sul punto, si v. pure il comma 8 dell’art. 68 Codice, il quale chiarisce espressamente che il rapporto di mandato non determina di per sé organizzazione o associazione degli operatori economici riuniti, ognuno dei quali conserva la propria autonomia ai fini della gestione, degli adempimenti fiscali e degli oneri sociali).
Ricorda il Consiglio di Stato: “…i rapporti fra i componenti del raggruppamento non si riverberano […], di norma, sul rapporto di diritto pubblico (se non nei casi espressamente previsti). Che, altrimenti, l’istituto del raggruppamento, anziché rappresentare un volano per la concorrenza nel settore delle commesse pubbliche, diviene un elemento ostativo, idoneo a ritardare e paralizzare gli affidamenti, anziché ad assicurarne una migliore efficienza. Ne deriva che le problematiche interne a detti rapporti [come l’esistenza di cause di esclusione a carico dei singoli componenti] e la trasparenza degli stessi non si riverberano sulla stazione appaltante, la cui posizione è presidiata dall’unicità dell’offerta e dalla responsabilità solidale, in linea con la sopra richiamata ratio dell’istituto”.
Neppure coglie nel segno, secondo il Collegio, l’assunto in base al quale, nella fattispecie, il provvedimento di ritiro dell’aggiudicazione non avrebbe tenuto conto del fatto che: “…la responsabilità è per sempre «personale» e, dunque, per definizione riferita al singolo”.
Rispetto ai raggruppamenti, infatti, chiarisce il giudice: “…la responsabilità personale deriva dalla presentazione di un’offerta unitaria, accompagnata dalla responsabilità solidale dei componenti del raggruppamento, nei termini già sopra esposti. Si può quindi affermare che si presume che il raggruppamento conosca la situazione dei propri componenti e possa così utilizzare lo strumento rimediale di cui all’art. 97 d.lgs. n. 36/2023 nel rispetto delle relative prescrizioni procedurali”.
La disciplina nazionale, allora, nello stabilire che l’operatore economico conosce (è tenuto a conoscere) le cause di esclusione che lo riguardano – sicché va escluso se alla data di scadenza della presentazione delle offerte vi sono cause di esclusione non debitamente dichiarate, senza ammettere scusanti per i componenti del raggruppamento che ignoravano una causa di esclusione di uno dei componenti: “…appare del tutto ragionevole e pienamente conforme al diritto europeo. Né essa crea alcuna discriminazione dato che si applica anche agli operatori economici nazionali”.

L’ordinanza del Consiglio di Stato, sez. III, 11.09.2024, n. 7518

Sull’argomento, infine, merita un cenno la recente ordinanza del Consiglio di Stato n. 7518/2024, la quale ha sollevato una questione di costituzionalità dell’art. 80, comma 4 secondo periodo d.lgs. n. 50/2016 in merito al limite dei 5.000 euro, superato il quale il mancato pagamento di imposte e tasse si considera(va) grave e potenziale causa di esclusione per carenza del relativo requisito generale (la stessa norma, afferente il limite dei 5.000 euro per le violazioni gravi di imposte/tasse – ancorché nel Codice del 2016 non rilevasse il riferimento al tratto “definitivamente accertato” della pretesa e non fossero indicati i contributi previdenziali – è contenuta, oggi, nell’art. 94, comma 6 Codice 2023, il quale rinvia all’allegato II.10, in cui è contenuto il riferimento normativo a tale limite: art. 48 bis, commi 1 e 2 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, rubricato “disposizioni sui pagamenti delle pubbliche amministrazioni”).
Più precisamente, il Collegio ha formulato una questione di costituzionalità: “…dell’art. 80, comma 4, secondo periodo del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 [ove, come accennato, è indicato il parametro soglia dei 5.000 euro oltre il quale l’ammontare dei debiti erariali è considerato grave] per violazione dell’art. 3 Cost., nella parte in cui non prevede che costituiscono gravi violazioni rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse quelle che comportano un omesso pagamento di imposte e tasse superiore all’importo di cui all’articolo 48-bis, commi 1 e 2-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602 e, in ogni caso, correlato al valore dell’appalto”.
La questione merita un breve cenno, poiché in questo commento, come nell’ordinanza, viene in evidenza sempre il tema della carenza di requisiti dell’operatore economico (ex artt. 94, 95, 100 Codice) e, per l’RTI e gli altri soggetti indicati nell’art. 97 Codice, la correlata questione del termine entro il quale comunicare alla P.A. tali situazioni dando conto delle “contromisure” adottate per evitare l’esclusione dalla gara.
Ai fini del giudizio di costituzionalità, la questione si considera innanzitutto “rilevante”.
Per il Consiglio di Stato, infatti, si profila “all’orizzonte applicativo della vertenza”: “…una fattispecie di vero e proprio automatismo escludente [determinato dal mancato/ritardato pagamento di imposte e tasse per oltre 5.000 euro] che non consente graduazioni rispetto all’intrinseco disvalore della violazione, né parametrizzazioni con il valore della commessa pubblica per cui si compete, con il risultato che, come stigmatizza la controinteressata, «la sanzione espulsiva da un appalto di circa 10 milioni di euro, […] troverebbe fondamento nel mancato, o meglio ritardato, pagamento di euro 18.000”.
La fattispecie, secondo il giudice, è anche non manifestamente infondata.
Per il Collegio: “…la nozione di gravità della violazione tributaria assume valenza decisiva […]: del tutto assente nella prima compilazione sistematica del 2006, essa vi ha fatto il suo ingresso mediante l’innesto operato dal d.l. n. 70/2011 e, successivamente, è stata perpetuata nel codice dei contratti pubblici del 2016 nell’ottica di dare attuazione alla previsione facoltativa dell’art. 57, par. 3 direttiva 24/2014/UE secondo cui: «gli Stati membri possono inoltre prevedere una deroga alle esclusioni obbligatorie di cui al paragrafo 2 nei casi in cui un’esclusione sarebbe chiaramente sproporzionata, in particolare qualora non siano stati pagati solo piccoli importi di imposte o contributi previdenziali»”.
L’impianto della disciplina nazionale, riporta il giudice, è rimasto sostanzialmente immutato nella transizione dal Codice del 2016 a quello del 2023: per le violazioni definitivamente accertate, la soglia di gravità è stata sempre individuata, per relationem, con l’importo di cui all’art. 48 bis d.P.R. n. 602/1973, pari appunto a 5.000 euro.
Ad avviso del Collegio – che ricostruisce attentamente ed in modo completo i presupposti di natura “storico-sistematica” di questa peculiare causa di esclusione (argomentando pure sulla progressiva emancipazione, rispetto a questa categoria, delle violazioni erariali non definitivamente accertate) – il meccanismo determinativo della soglia di gravità per le irregolarità fiscali a valenza automaticamente escludente, di cui al primo e secondo periodo dell’art. 80, comma 4 d.lgs. n. 50/2016 (oggi art. 94, comma 6 e art. 1 allegato II.10 Codice): “…si pone in tensione insanabile con l’art. 3 Cost. quale crogiuolo in cui si fondono secondo un sapiente dosaggio assiologico i principi cardinali di proporzionalità e ragionevolezza”, i quali, ricorda ancora il Consesso, sono in un rapporto di interdipendenza.
La materia del “contendere” (e cioè la definizione di una soglia oltre la quale il debito erariale è considerato grave): “…si sottrae al dominio dei diritti fondamentali, ma registra nondimeno la contrapposizione tra il diritto alla libera iniziativa economica dei privati, che si estrinseca, nella specie, nella libertà di partecipare al mercato delle commesse pubbliche in condizione di parità con gli altri operatori economici, e l’interesse dell’amministrazione nella veste di appaltatrice, quale precipitato del canone costituzionale di buon andamento, di contrattare solo con soggetti integri e affidabili, escludendo, per converso quelli immeritevoli di essere destinatari di risorse pubbliche perla realizzazione di opere o servizi nell’interesse generale: a tal riguardo, il requisito di regolarità fiscale rientra a pieno titolo nel novero dei requisiti di ordine generale, i quali attengono alla sfera soggettiva degli operatori economici, delineando in sostanza la loro moralità imprenditoriale”.
Fatte queste premesse, per il Consiglio di Stato, se la soglia dei 5.000 euro appare assolutamente in linea nei rapporti dare/avere con la P.A. (la soglia in questione, nel d.P.R. n. 602/1973, serve ad impedire il pagamento, da parte della P.A., di importi superiori a 5.000 euro in favore di beneficiari inadempienti all’obbligo di versamento di somme, derivanti da una o più cartelle di pagamento, per un ammontare complessivo pari almeno a tale importo), nell’ambito dei contratti pubblici (e della disciplina delle cause di esclusione) risulta non razionale.
Il congegno escludente divisato dall’art. 80, comma 4, mercé la eterointegrazione col valore-soglia di 5.000 euro: “…scolpisce un vero e proprio automatismo legale che esclude dal mercato delle commesse pubbliche l’operatore economico, indipendentemente dal valore dell’appalto, con risultati paradossali come avvenuto nel caso di specie in cui, a fronte di un appalto di importo complessivo quinquennale a base d’asta pari ad euro 9.543.000,00, un operatore economico […] dovrebbe essere escluso per un debitum fiscale definitivamente accertato pari a soli 18 mila euro, dunque 530 volte inferiore a quello dell’appalto in causa”.
La sproporzione, ritiene il Collegio, sarebbe in re ipsa: “…tale debitum fiscale, consolidatosi ex ante, determina l’esclusione tout court da una gara milionaria, mentre se fosse emerso ex post, a valle dell’integrale esecuzione delle obbligazioni contrattuali, avrebbe comportato la sola sospensione in parte qua del pagamento con distrazione della somma dovuta a favore dell’agente della riscossione, previo esperimento del rituale pignoramento presso terzi. Un esito che appare, a parere del Collegio, del tutto irrazionale e spropositato”.
L’automatismo legale insito nella soglia in questione (5.000 euro), si riporta nell’ordinanza, parrebbe eccedere lo scopo intrinseco per il quale è stato concepito, atteso che un debito fiscale (anche) di poco superiore alla soglia citata non potrebbe ragionevolmente alimentare una presunzione legale assoluta di inaffidabilità di un operatore, magari di grandi dimensioni e con una posizione di rilievo nel mercato di riferimento.
In tal senso, allora: “…il cesareo gladio taglia il nodo gordiano in modo eccessivamente grezzo e drastico in spregio ai canoni di ragionevolezza e proporzionalità su base oggettiva. Né può affermarsi senza remore che l’esclusione sbrigativa di un grande operatore economico per irregolarità fiscali di modestissimo importo rispetto alla situazione fiscale complessiva e all’entità dell’appalto sia consentanea al buon andamento dell’amministrazione, giacché il committente pubblico giunge a tagliar fuori irrimediabilmente un partner privato che potrebbe essere potenzialmente affidabile secondo un apprezzamento sostanzialistico”.
Ciò di cui il Consiglio di Stato dubita, in definitiva, è la proporzionalità sub specie di “necessità” della misura adottata dal legislatore per “tarare” l’automatismo escludente previsto per le irregolarità fiscali definitive. Tale necessità, secondo il giudice, desta perplessità a mente delle indicazioni più ampie e comprensive del diritto dell’Unione europea in sede di esercizio della deroga facoltativa (“chiara sproporzionepiccoli importi di imposte”: art. 57, par. 3 direttiva 24/2014/UE) e stride (o meglio, striderebbe) con misure meno drastiche già stabilite dal legislatore nazionale per fattispecie contigue (il giudice ricorda il criterio “mobile” stabilito per le violazioni tributarie non definitivamente accertate, le soglie penali di riferimento in materia di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, oltre ad esperienze emerse nel vigore delle precedenti direttive sugli appalti).
Cosa propone, a questo punto, il Consiglio di Stato?
Per il giudice, l’intervento correttivo necessario a ricondurre l’automatismo legale a effetto escludente nei binari dei canoni di proporzionalità e di ragionevolezza consisterebbe nell’inserzione di una previsione di principio che andasse ad ancorare la determinazione della soglia escludente al valore dell’appalto: “…sulla falsariga del congegno divisato dal settimo periodo [del comma 4 dell’art. 80 Codice 2016 relativo alle violazioni fiscali gravi non definitivamente accertate] e inverato, infine, dal D.M. 28 settembre 2022” (e cioè il regolamento previsto dal predetto art. 80, comma 4 settimo periodo per disciplinare la gravità delle violazioni fiscali non definitivamente accertate, normativa poi trasfusa nell’allegato II.10, art. 3, dai compilatori del Codice 2023).
In altre parole: “…il Collegio rimettente reputerebbe bastevole ad elidere i rilevati profili di contrasto un intervento additivo di principio del giudice delle leggi secondo cui costituiscono gravi violazioni definitivamente accertate quelle che comportano un omesso pagamento di imposte e tasse superiore all’importo di cui all’articolo 48-bis, commi 1 e 2-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602 e che, in ogni caso, sono correlate al valore dell’appalto. Si tratterebbe di una pronuncia additiva di principio dal momento che lascerebbe impregiudicato il margine di intervento discrezionale del legislatore nel dare contenuto al meccanismo di correlazione proporzionale secondo il parametro ritenuto più congruo”.
Nel provvedimento, il Collegio conferma il principio per cui chi partecipa alle gare deve essere in regola con il fisco e deve, soprattutto, dichiarare eventuali pendenze alla S.A. Tuttavia, come si è appena detto, viene “contestato” il limite/valore soglia (5.000 euro), superato il quale – in relazione alle pretese erariali definitivamente accertate – scatta l’inadempimento grave con relativa sanzione espulsiva dalla competizione.
A questo punto, vien da dire, non resta che aspettare il pronunciamento della Corte costituzionale.

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