Prologo
È applicabile al contratto di fornitura di gas medicinali tecnici e criogenici e dei servizi di manutenzione connessi l’art. 106 c. 2 del d.lgs. 50 del 2016 in base al quale i contratti possono essere modificati senza necessità di una nuova procedura se il valore della modifica è al di sotto delle soglie fissate all’articolo 35 e del 10 per cento del valore iniziale del contratto.
Mentre il presupposto di base per l’applicabilità dell’art. 106 c. 1 lett. a) del Codice, che ammette le modifiche a prescindere dal loro valore monetario, è costituito dalla previsione delle modifiche contrattuali “nei documenti di gara iniziali in clausole chiare, precise e inequivocabili”.
Il codice del 2016 si è limitato, nell’art. 106, a facoltizzare l’inserimento della previsione nei documenti di gara, ma solo a condizione che la modifica del contratto durante il suo periodo di efficacia non fosse tale da alterare le condizioni della gara, dovendo altrimenti essere esperita una nuova procedura di affidamento. Solo di recente, sull’onda della crisi pandemica e della forte impennata dei costi dell’energia e delle materie prime per la guerra in Ucraina, l’istituto è stato reintrodotto con numerose norme speciali (contenute per lo più nella decretazione d’urgenza e nelle ultime leggi annuali di bilancio).
Mentre il nuovo codice dei contratti pubblici, di cui al d.lgs. n. 36 del 2023, ha nuovamente ammesso a sistema l’istituto della revisione dei prezzi (art. 60: “1. Nei documenti di gara iniziali delle procedure di affidamento è obbligatorio l’inserimento delle clausole di revisione prezzi”) strumentale alla conservazione dell’equilibrio contrattuale (articolo 9 d.lgs. 36 del 2023).
Lo stabilisce il Consiglio di Stato sez. III con la sentenza del 13 luglio 2023 n. 6848.
Il Caso
Il caso si riferisce alla domanda revisionale del prezzo di un contratto di fornitura di gas medicinali tecnici e criogenici e dei servizi di manutenzione connessi.
La domanda revisionale quindi ha riguardato in particolar modo l’aumento dei costi dell’energia elettrica.
Il primo giudice, ha respinto il ricorso proposto dall’appaltatrice contro il diniego revisionale dell’amministrazione affermando l’assenza di una idonea prova, nel procedimento, delle circostanze suscettibili di determinare la revisione.
Mentre, il giudice d’appello riformando parzialmente la decisione del primo giudice ha ritenuto che la disciplina prevista dall’art. 106 c. 2 del d.lgs. 50 del 2016 (in base al quale i contratti possono essere modificati senza necessità di una nuova procedura se il valore della modifica è al di sotto delle soglie fissate all’articolo 35 e del 10 per cento del valore iniziale del contratto) sia astrattamente predicabile per gli appalti di forniture. Stabilendo la possibilità per la società ricorrente di riproporre la domanda revisionale curando di inquadrarla e di dimensionarla correttamente entro i predetti limiti del comma 2 dell’art. 106 del d.lgs. n. 106 del 2016.
La decisione
La decisione merita d’essere segnalata perché concorre a fornire un quadro della normativa vigente in materia di “revisione del prezzo” dei contratti pubblici nell’attuale epoca di “vigenza” di due codici (ultravigenza del d.lgs. 50 del 2016 per le fattispecie contrattuali “sorte” ante riforma, e efficacia del nuovo codice – d.lgs. 36 del 2023- per le nuove gare).
Ai fini della decisione il Consiglio di Stato rammenta che nella materia della revisione dei prezzi nei contratti di appalto di lavori e di servizi e nei contratti di fornitura ha sempre operato la clausola di specialità dei rapporti con le pubbliche amministrazioni, di talché i normali parametri normativi (di cui agli artt. 1467 ss., 1664, 1677, etc., del codice civile) di regola non operano nei predetti rapporti obbligatori, che sono invece disciplinati, sotto questo profilo, da norme speciali ad hoc, che tendenzialmente, peraltro, tendono a restringere il margine di scelta “discrezionale” dell’amministrazione committente, vincolandola variamente a stringenti e ben definiti presupposti sostanziali e procedimentali (posti per lo più a tutela dell’economicità dell’azione amministrativa e per ragioni di controllo della spesa pubblica, nonché, guardando al profilo eurounitario, per ragioni di tutela della concorrenza e del mercato).
I Giudici di Palazzo Spada ricordano ancora che l’istituto della revisione dei prezzi – tipica “clausola esorbitante” rispetto al comune diritto contrattuale dei privati – ha attraversato negli ultimi decenni una fase di “crisi” ed è stato sottoposto a forti critiche per la sua incidenza negativa sull’andamento dei costi gestionali delle amministrazioni, fino al punto da essere notevolmente ridimensionato nel suo ambito applicativo.
Inoltre, rammenta la sentenza in esame, per gli appalti di servizi e forniture a esecuzione periodica o continuativa l’art. 44, commi 4 e 6, della legge 23 dicembre 1994, n. 724 prevedeva una revisione periodica dei prezzi sulla base di un’istruttoria condotta dalla stazione appaltante tenendo conto dei prezzi di mercato rilevati dall’Istat, meccanismo poi confermato dall’art. 115 del d.lgs. n. 163 del 2006, che prevedeva l’obbligatorio inserimento nei contratti a esecuzione periodica o continuativa relativi a servizi o forniture di una clausola di revisione periodica del prezzo che tenesse conto dei costi standardizzati per tipo di servizi e fornitura.
È stato inoltre ricordato che il codice del 2016, invece, si è limitato, nell’art. 106, a facoltizzare l’inserimento della previsione nei documenti di gara, ma solo a condizione che la modifica del contratto durante il suo periodo di efficacia non fosse tale da alterare le condizioni della gara, dovendo altrimenti essere esperita una nuova procedura di affidamento.
L’istituto ha avuto una riviviscenza solo di recente, in ragione della crisi pandemica, della nota impennata dei sosti energetici, e della crisi russo-ucrania, al punto da indurre il legislatore ad una serie di interventi normativi, ultimo dei quali la positivizzazione in seno al nuovo codice dei contratti pubblici di una specifica disciplina finalizzata strumentale alla conservazione dell’equilibrio contrattuale, principio quest’ultimo annoverato tra i principi generali dei contratti pubblici. Sulla scorta di tale premessa ricostruttiva del quadro normativo che afferisce al tema di causa, il Consiglio di Stato, sempre premettendo che le disposizioni previste dall’articolo 106 del Codice (d.lgs. 50 del 2016) data la specialità delle stesse, sono di stretta interpretazione, ha chiarito che l’ambito di operatività della disposizione recata all’art. 106 c. 1) lett. a) del Codice (la quale ammette modifiche contrattuali a prescindere dal relativo valore monetario) è applicabile nelle limitate ipotesi in cui tale possibilità risulta ammessa dalla disciplina di gara e dallo stesso contratto.
Mentre il Consiglio di Stato ha ritenuto applicabile al contratto di fornitura la disposizione dall’art. 106 c. 2 del d.lgs. 50 del 2016, in base al quale i contratti possono parimenti essere modificati senza necessità di una nuova procedura se il valore della modifica è al di sotto delle soglie fissate all’articolo 35 e del 10 per cento del valore iniziale del contratto.
Chiarendo in questo modo che solo entro tali limiti è ammessa la modificabilità del contratto in assenza di una specifica previsione negoziale in tal senso.
La sentenza inoltre conferma il cambio di rotta del legislatore che nel recente periodo, e definitivamente con il nuovo codice, ha sancito l’obbligo di inserire tra le clausole del contratto la specifica previsione di revisione del prezzo, la quale è strumentale alla conservazione dell’equilibrio contrattuale.
Quest’ultimo tra i principi generali del nuovo diritto del contratto pubblici.
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