La fattispecie rimessa alla disamina della Suprema Corte si presenta come un “classico” del contenzioso in materia di appalti
L’appaltatore dei lavori di realizzazione di un parco pubblico domandava al Tribunale Ordinario in primo grado il riconoscimento di maggiori oneri sopportati nella fase esecutiva dei lavori, nonché il riconoscimento di spettanze per lavorazioni extracontrattuali.
Con sentenza del 24 ottobre 2005, il Giudice accoglieva le richiesta azionata escludendo, in particolare, che le pretese avanzate dall’attrice fossero assoggettate all’onere della riserva, trattandosi prevalentemente di doglianze aventi ad oggetto partite contabili registrate in difformità all’effettivo eseguito.
La Corte d’Appello successivamente adita riformava la pronuncia facendo proprio un principio di segno opposto.
La Suprema Corte era quindi investita della vicenda per i seguenti profili:
– violazione e la falsa applicazione del D.P.R. n. 554 del 1999, artt. 165, 187 e ss. e art. 191 del R.D. 25 maggio 1895, n. 350, artt. 54 e 64 e dei principi generali in tema di riserve negli appalti pubblici;
– omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, non avendo la sentenza impugnata, nel rilevare la mancata iscrizione di riserve al momento della redazione del certificato di collaudo e del conto finale, tenuto conto dell’impossibilità di procedere a tale iscrizione, dipendente dalla circostanza che il collaudo si era svolto in assenza di contraddittorio, in quanto essa ricorrente non era stata invitata a parteciparvi.
Ebbene, la Cassazione ha affermato la correttezza delle motivazioni seguite dai giudici in secondo grado ribadendo che “in materia di appalti pubblici, l’appaltatore, il quale pretenda un maggior compenso o rimborso rispetto al prezzo contrattualmente pattuito, a causa di pregiudizi o maggiori esborsi sopportati per l’esecuzione dei lavori, ha l’onere d’iscrivere apposite riserve nella contabilità entro il momento della prima annotazione successiva all’insorgenza della situazione integrante la fonte delle vantate ragioni (e ciò anche con riferimento a quelle situazioni di non immediata portata onerosa, la cui potenzialità dannosa si presenti, fin dall’inizio, obbiettivamente apprezzabile secondo criteri di media diligenza e di buona fede), nonchè di esplicarle nel termine di quindici giorni, e poi di confermarle nel conto finale, dovendosi altrimenti intendere definitivamente accertate le risultanze della contabilità (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. 1, 9/11/2016, n. 22840; 27/10/2016, n. 21734; 12/07/2016, n. 14190)”.
La disciplina, già prevista dal R.D. 25 maggio 1895, n. 350, artt. 53, 54 e 64, infatti, ha trovato conferma nel D.P.R. n. 554 del 1999, artt. 164 e ss. – e comunque nella successiva evoluzione normativa e giurisprudenziale – ed ha la sua ragion d’essere nella tutela dell’Amministrazione che, nell’esercizio dei suoi poteri discrezionali, deve essere messa in grado di provvedere immediatamente ad ogni necessaria verifica, al fine di poter valutare, in ogni momento, l’opportunità del mantenimento in vita o del recesso dal rapporto di appalto, in relazione al perseguimento dei propri fini d’interesse pubblico (cfr. Cass., Sez. 1, 3/03/2006, n. 4702; 21/07/2004, n. 13500; 1/12/1999, n. 13399).
Detto principio, va chiarito, viene ribadito dalla Corte non solo con riferimento alle vicende costituenti l’antecedente causale di pretese risarcitorie bensì anche con rilievo alle domande dell’Appaltatore volte ad ottenere una rivalutazione della contabilità d’appalto con riferimento ai lavori in senso stretto e, con ciò, a pretese di carattere remuneratorio.
Ne consegue che, anche ove i documenti contabili non fossero sottoposti o lo fossero solo in ritardo o irritualmente, l’Appaltatore – al fine di scongiurare ogni contestazione in sede giudiziale in punto decadenza – farà bene a comunicare comunque le proprie doglianze in forma di riserva, avendo cura di provvedere alla trasmissione con modalità di consegna certificabile.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –
Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –
Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 246/2013 R.G. proposto da:
EDILIZIA 3 M S.N.C. DI M. G. & C., in persona dell’amministratore p.t. M.G., rappresentata e difesa dall’Avv. Fabrizio Di Carlo, con domicilio eletto in Roma, via Tacito, n. 64, presso lo studio dell’Avv. Nicoletta Di Giovanni;
– ricorrente –
contro
COMUNE DI FOSSACESIA, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’Avv. Diego De Carolis, con domicilio eletto in Roma, piazza SS. Apostoli, n. 66, presso lo studio Dettori & Associati;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di L’Aquila n. 728/12 depositata il 26 maggio 2012;
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 3 ottobre 2017 dal Consigliere Dott. Guido Mercolino.
Svolgimento del processo
1. Il Comune di Fossacesia convenne in giudizio l’Edilizia 3M S.n.c. di M. G. & C., appaltatrice dei lavori di realizzazione di un parco pubblico, proponendo opposizione al decreto ingiuntivo emesso il 22 marzo 2004, con cui il Presidente del Tribunale di Lanciano, su ricorso della convenuta, gli aveva intimato il pagamento della somma di Euro 32.835,00, oltre interessi, dovuta a titolo di corrispettivo per le opere previste dal terzo stato di avanzamento dei lavori.
2. A sua volta, l’Edilizia 3M convenne in giudizio il Comune, per sentirlo condannare al pagamento della somma complessiva di Euro 4.455,208, dovuta a titolo di differenza tra l’importo finale dei lavori e gli acconti corrisposti, maggiori oneri sopportati per la manutenzione e la custodia dell’opera dalla data di ultimazione dei lavori a quella della consegna, e ritardo nello svincolo delle polizze cauzionali.
Premesso che nel corso dei lavori era emersa la necessità di opere migliorative non previste in fase di progettazione, l’attrice sostenne di aver stipulato con il Comune un atto aggiuntivo con il quale le erano stati affidati ulteriori lavori, precisando che gli stessi erano stati ultimati in anticipo rispetto alla data prevista. Aggiunse che in sede di collaudo, al quale essa non era stata invitata a partecipare ed il cui certificato non aveva mai sottoscritto, era stato indebitamente detratto dal corrispettivo dovuto l’importo di uno scavo di sbancamento, non previsto dal progetto originario ma introdotto con perizia di variante, ed era stata illegittimamente rideterminata la data di consegna dei lavori, sul presupposto che la stessa avesse avuto luogo fin dall’origine totalmente, anzichè parzialmente.
3. Riunite le cause, il Tribunale di Lanciano, con sentenza del 24 ottobre 2005, rigettò le eccezioni di difetto di giurisdizione e decadenza sollevate dal Comune, escludendo in particolare che le pretese avanzate dall’attrice fossero assoggettate all’onere della riserva; ritenne provati il carattere parziale dell’originaria consegna dei lavori e l’autorizzazione dello scavo di sbancamento, e, dato atto dell’intervenuto versamento di acconti in corso di causa, revocò il decreto ingiuntivo, condannando il Comune al pagamento della somma di Euro 28.542,88, oltre interessi.
4. L’impugnazione proposta dal Comune è stata accolta dalla Corte di appello di L’Aquila, che con sentenza del 26 maggio 2012 ha rigettato le domande proposte dall’attrice.
Premesso che la posizione dell’attrice risultava pregiudicata dal mancato deposito dei documenti prodotti in primo grado, che impediva la piena verifica di quanto accertato dalla sentenza impugnata, e ribadito, in linea generale, che in materia di appalti pubblici la possibilità di far valere pretese inerenti alla contabilizzazione del corrispettivo, ivi comprese quelle derivanti da fatti continuativi, è subordinata alla tempestiva iscrizione di apposite riserve nel registro di contabilità e nel conto finale, la Corte ha ritenuto che nella specie l’applicabilità del predetto principio non fosse esclusa dalla circostanza che l’interesse all’iscrizione delle riserve era insorto soltanto all’atto della redazione del certificato di collaudo e del conto finale.
Ciò posto, ha rilevato, in riferimento alla consegna dei lavori, che l’attrice non aveva chiesto di recedere dal contratto nè provveduto ad iscrivere e ad esplicitare la riserva per il rimborso previsto dal D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554, art. 129, comma 8, osservando comunque che le argomentazioni concernenti il carattere parziale della consegna non erano riscontrabili per mancanza della relativa documentazione. Ha confermato in proposito la necessità della riserva, precisando che il ritardo nella consegna dell’opera si configura come inadempimento del dovere di cooperazione gravante sulla stazione appaltante, che esonera l’appaltatore da responsabilità, consentendogli di chiedere la risoluzione del contratto ed il rimborso dei maggiori oneri sopportati, secondo i principi generali, subordinatamente alla iscrizione di apposite riserve.
In ordine agli oneri di custodia e manutenzione, premesso che dalla documentazione prodotta emergeva che i lavori erano stati ultimati il 19 agosto 2003 ed il collaudo era stato regolarmente effettuato entro i sei mesi successivi, mentre la consegna dell’opera aveva avuto luogo soltanto nel mese di marzo 2004, ha osservato che l’obbligo di provvedere alla custodia ed alla manutenzione viene meno soltanto a seguito dell’approvazione del collaudo, ma ha ritenuto non provato il diritto al rimborso della somma richiesta, per mancanza della documentazione giustificativa.
Quanto infine allo scavo di sbancamento, la Corte, pur dando atto della intervenuta approvazione della perizia di variante, ha rilevato che all’atto del collaudo era stata esclusa la necessità dell’opera e l’avvenuta realizzazione della stessa; precisato che il collaudatore aveva il potere di procedere a un siffatto accertamento, nell’ambito della verifica della corrispondenza delle opere realizzate a quelle autorizzate, ha affermato che l’appaltatrice avrebbe potuto far valere le proprie contrarie ragioni soltanto attraverso l’iscrizione di apposita riserva nel certificato di collaudo, non potendo limitarsi ad invocare la perizia di variante.
3. Avverso la predetta sentenza l’Edilizia 3M ha proposto ricorso per cassazione, articolato in tre motivi. Il Comune ha resistito con memoria.
Motivi della decisione
1. Preliminarmente, si rileva che il Comune, pur non avendo resistito all’impugnazione con controricorso tempestivamente notificato alla controparte, ha provveduto, in data 29 maggio 2015, al deposito di una memoria, con la quale si è costituito in giudizio ai fini della partecipazione alla discussione orale, poi non tenutasi, in quanto, a seguito dell’entrata in vigore dello art. 380-bis.1 c.p.c., introdotto dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1 bis convertito con modificazioni dalla L. 25 ottobre 2016, n. 168, la causa è stata avviata alla trattazione in camera di consiglio.
Tale modalità di costituzione, pur non corrispondendo a quella prevista dall’art. 370 c.p.c., può considerarsi ammissibile, ai sensi dell’art. 380-bis.1 cit., secondo periodo applicabile anche ai ricorsi depositati in data anteriore all’entrata in vigore della L. n. 168 per i quali non fosse stata ancora fissata l’udienza o l’adunanza in camera di consiglio, avendo la parte perduto, in virtù delle norme sopravvenute, la facoltà di partecipare alla discussione orale in pubblica udienza o di essere sentita in camera di consiglio, e dovendo esserle consentito l’esercizio del diritto di difesa, in ossequio ai principi del giusto processo, nonchè riconosciuto, in caso di soccombenza della controparte, il diritto alla rifusione delle spese e dei compensi per l’attività difensiva svolta (cfr. Cass., Sez. 6, 24/03/2017, n. 7701; v. anche Cass., Sez. 6, 24/05/2017, n. 13093; 22/02/2017, n. 4533; Cass., Sez. lav., 27/02/2017, n. 4906).
2. Con il primo motivo d’impugnazione, la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 115, 329 c.p.c., art. 342 c.p.c. e ss. e art. 346 c.p.c. e del D.P.R. n. 554 del 1999, artt. 126 e 187 nonchè l’insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, osservando che, nel rilevare il mancato deposito della documentazione relativa allo svolgimento del rapporto, la sentenza impugnata non ha tenuto conto dell’inclusione della stessa nel fascicolo del Comune ed in quello di primo grado, ed aggiungendo che il Comune non aveva mai contestato la cronologia ed il contenuto degli atti richiamati, con la conseguenza che non vi erano verifiche da compiere. Sostiene che l’unico atto sul quale occorreva soffermarsi era il collaudo, il cui contrasto con tutti gli atti precedenti e successivi dimostrava come il collaudatore li avesse in parte colpevolmente ignorati, eccedendo comunque l’ambito delle competenze attribuitegli dallo art. 187 cit. Precisa infatti che il collaudatore aveva erroneamente escluso l’avvenuta realizzazione dello scavo di sbancamento, prevista dalla perizia di variante approvata e regolarmente attestata dal direttore dei lavori, ricalcolando inoltre i tempi assegnati per l’esecuzione delle opere, attraverso l’arbitraria rivisitazione della motivazione degli atti di sospensione dei lavori di volta in volta adottati dal direttore dei lavori.
2.1. Il motivo è in parte inammissibile, in parte infondato.
Premesso infatti che, in quanto implicitamente riconducibile alla volontà della parte di non avvalersene, il mancato deposito dei documenti prodotti in primo grado non impone al giudice d’appello di disporne l’acquisizione, prevista peraltro dall’art. 347 c.p.c. soltanto per il fascicolo d’ufficio (cfr. Cass., Sez. 3, 7/11/2002, n. 15624; Cass., Sez. 1, 26/02/1998, n. 2078), si osserva che, nel lamentare la mancata valutazione della documentazione prodotta dalla controparte, la ricorrente si limita a segnalarne genericamente l’inerenza allo svolgimento del rapporto, senza indicarne la natura ed il contenuto, rendendo in tal modo impossibile qualsiasi apprezzamento in ordine alla portata della stessa ed alla sua idoneità ad orientare in senso diverso la decisione. Tale omissione si pone in contrasto con il principio di specificità dell’impugnazione, il quale, esigendo che il ricorso contenga in sè tutti gli elementi necessari a rappresentare le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza impugnata, nonchè a permettere la valutazione della loro fondatezza, senza necessità di accedere a fonti esterne, ed in particolare ad elementi od atti afferenti al giudizio di merito, pone a carico della parte che intenda far valere il vizio di motivazione l’onere di riportare almeno i passi salienti dei documenti invocati, o quanto meno d’indicare dove gli stessi sono reperibili (cfr. Cass., Sez. 6, 27/07/2017, n. 18679; Cass., Sez. 5, 15/07/2015, n. 14784; 31/05/2011, n. 11984). Nell’invocare il principio di non contestazione e il valore dirimente dell’atto di collaudo, la ricorrente omette poi di considerare che il mero raffronto tra lo stesso ed i fatti allegati a sostegno della domanda non poteva considerarsi sufficiente ai fini dell’accoglimento delle pretese avanzate, una delle quali (quella relativa al rimborso degli oneri di custodia e manutenzione) è stata ritenuta non provata nell’ammontare, mentre le altre due (quelle riguardanti il rimborso dei maggiori oneri sostenuti per il ritardo nella consegna dei lavori ed il pagamento del corrispettivo dovuto per lo scavo di sbancamento) sono state rigettate in virtù dell’inosservanza, ritenuta pacifica, dell’onere d’iscrizione delle riserve.
3. Con il secondo motivo d’impugnazione, la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione del D.P.R. n. 554 del 1999, artt. 165, 187 e ss. e art. 191 del R.D. 25 maggio 1895, n. 350, artt. 54 e 64 e dei principi generali in tema di riserve negli appalti pubblici, nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, affermando che, nel rilevare la mancata iscrizione di riserve al momento della redazione del certificato di collaudo e del conto finale, la sentenza impugnata non ha tenuto conto dell’impossibilità di procedere a tale iscrizione, dipendente dalla circostanza che il collaudo si era svolto in assenza di contraddittorio, in quanto essa ricorrente non era stata invitata a parteciparvi. Premesso inoltre che fino al collaudo non erano mai state sollevate contestazioni e che anche la relazione finale del direttore dei lavori riconosceva all’impresa il corrispettivo dello sbancamento e la tempestività nella esecuzione dei lavori, aggiunge che il collaudo si era svolto senza l’osservanza del procedimento previsto dal D.P.R. n. 554 del 1999,art. 191 affermando invece che il conto finale aveva riconosciuto la correttezza dei certificati di pagamento già emessi e l’anticipata ultimazione dei lavori, con la conseguenza che in ordine allo stesso non risultava necessaria l’iscrizione di alcuna riserva.
3.1. Il motivo è in parte inammissibile, in parte infondato.
Nel dichiarare la ricorrente decaduta dalla facoltà di far valere le pretese derivanti dal ritardo nella consegna dei lavori e dall’effettuazione dello scavo di sbancamento, la sentenza impugnata si è correttamente attenuta al principio, costantemente ribadito da questa Corte in materia di appalti pubblici, secondo cui l’appaltatore, il quale pretenda un maggior compenso o rimborso rispetto al prezzo contrattualmente pattuito, a causa di pregiudizi o maggiori esborsi sopportati per l’esecuzione dei lavori, ha l’onere d’iscrivere apposite riserve nella contabilità entro il momento della prima annotazione successiva all’insorgenza della situazione integrante la fonte delle vantate ragioni (e ciò anche con riferimento a quelle situazioni di non immediata portata onerosa, la cui potenzialità dannosa si presenti, fin dall’inizio, ob-biettivamente apprezzabile secondo criteri di media diligenza e di buona fede), nonchè di esplicarle nel termine di quindici giorni, e poi di confermarle nel conto finale, dovendosi altrimenti intendere definitivamente accertate le risultanze della contabilità (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. 1, 9/11/2016, n. 22840; 27/10/2016, n. 21734; 12/07/2016, n. 14190). Tale disciplina, già prevista dal R.D. 25 maggio 1895, n. 350, artt. 53, 54 e 64 ha trovato conferma nel D.P.R. n. 554 del 1999, artt. 164 e ss. ed ha la sua ragion d’essere nella tutela dell’Amministrazione committente, che, nell’esercizio dei suoi poteri discrezionali, deve essere messa in grado di provvedere immediatamente ad ogni necessaria verifica, al fine di poter valutare, in ogni momento, l’opportunità del mantenimento in vita o del recesso dal rapporto di appalto, in relazione al perseguimento dei propri fini d’interesse pubblico (cfr. Cass., Sez. 1, 3/03/2006, n. 4702; 21/07/2004, n. 13500; 1/12/1999, n. 13399).
3.2. In caso di ritardo nella consegna dei lavori da parte dell’Amministrazione, l’iscrizione della riserva nel registro di contabilità all’atto della prima sottoscrizione dello stesso costituisce peraltro un adempimento necessario, ma non sufficiente ai fini del rimborso degli oneri sopportati dall’appaltatore, il cui riconoscimento è subordinato dal D.P.R. n. 554 del 1999, art. 129, comma 8, alla duplice condizione che l’impresa abbia preventivamente avanzato istanza di recesso dal contratto e che la stessa sia stata rigettata dalla stazione appaltante, dovendosi altrimenti presumere che l’appaltatore abbia considerato ancora eseguibile il contratto, senza ulteriori oneri a carico del committente (cfr. in riferimento all’analoga disciplina dettata dal D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, art. 10 Cass., Sez. 1, 5/ 03/2008, n. 5951; 11/11/2004, n. 21484; 14/04/2004, n. 7069). L’inosservanza di tale disciplina, addotta dalla Corte di merito ad ulteriore giustificazione del rigetto della domanda di rimborso dei predetti oneri e rimasta incensurata, si configura nella specie come una distinta ratio della decisione, la cui mancata impugnazione da parte della ricorrente preclude l’esame delle censure riguardanti la mancata iscrizione della riserva, conformemente al principio enunciato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui, ove una pronuncia sia fondata su una pluralità di ragioni, ciascuna delle quali sufficiente a giustificarla, l’omessa impugnazione di una di esse comporta l’inammissibilità, per difetto d’interesse, delle censure relative alle altre, il cui accoglimento non potrebbe comunque condurre alla cassazione della sentenza impugnata (cfr. Cass., Sez. 1, 27/07/2017, n. 18641; Cass., Sez. 6, 18/04/2017, n. 9752; Cass., Sez. lav., 4/03/2016, n. 4293).
3.3. Quanto invece al compenso richiesto per lo scavo di sbancamento, le ragioni addotte a sostegno della pronuncia di rigetto della domanda, consistenti nell’emersione della relativa questione soltanto in sede di collaudo e nella mancata iscrizione della riserva nel relativo certificato, consentono di escludere la pertinenza delle considerazioni svolte dalla ricorrente in ordine alla conformità degl’importi annotati nella contabilità dei lavori e nel conto finale alle richieste dell’impresa ed alla conseguente carenza d’interesse ad iscrivere le riserve nel corso dei lavori.
La tesi sostenuta in proposito dalla ricorrente, secondo cui l’iscrizione della riserva in sede di collaudo sarebbe stata impedita dall’inosservanza della disciplina dettata dal D.P.R. n. 554 cit., art. 191 si pone a sua volta in contrasto con l’ammissione compiuta nell’atto di citazione in primo grado, e trascritta nella premessa in fatto del ricorso per cassazione, secondo cui, pur non avendo partecipato alla visita di collaudo, per non esservi stata invitata ai sensi del comma 1 della predetta disposizione, essa avrebbe ricevuto la comunicazione del relativo certificato, prevista dal D.P.R. n. 554, art. 203, comma 1: la finalità di tale comunicazione, consistente proprio nel consentire all’appaltatore di sottoscrivere il certificato per accettazione, ovvero di proporre le contestazioni relative al regolare svolgimento delle operazioni di collaudo, nella stessa forma prescritta per la formulazione delle riserve e con i medesimi effetti, consente infatti di ritenere superate eventuali irregolarità della procedura, ove le stesse non siano state fatte valere nel termine di venti giorni previsto dal medesimo art. 203. E’ pur vero che nella medesima premessa si riferisce che la comunicazione sarebbe stata tempestivamente riscontrata con lettera raccomandata dal legale dell’impresa, il quale avrebbe contestato l’esclusione del diritto al compenso per lo scavo di sbancamento, in quanto riguardante lavori previsti da una perizia di variante approvata dalla Giunta municipale: nel censurare la dichiarazione di decadenza dalla pretesa in questione, la ricorrente non fa tuttavia alcun cenno alla predetta lettera, omettendo finanche di precisare se la stessa facesse parte dei documenti prodotti in primo grado, la cui mancata produzione in appello ha indotto la Corte distrettuale a ritenere insufficientemente provate le domande le proposte.
Non merita pertanto censura la sentenza impugnata, nella parte in cui ha ritenuto che l’accettazione senza riserve del collaudo da parte dell’impresa precludesse la facoltà di far valere il diritto ad ulteriori compensi per l’effettuazione dello scavo di sbancamento (cfr. in riferimento alla disciplina dettata dal R.D. n. 350 del 1895, art. 107 Cass., Sez. 1, 22/10/1976, n. 3748). Non può d’altronde condividersi, al riguardo, l’affermazione della ricorrente, secondo cui, nel ritenere non dovuto il predetto compenso, contabilizzato invece dal direttore dei lavori, il collaudatore avrebbe ecceduto l’ambito delle competenze assegnategli dalla legge: la precisazione contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui il mancato riconoscimento dello importo in questione fu determinato dall’accertamento che i lavori contabilizzati, oltre a risultare non necessari, non erano stati eseguiti, consente infatti di concludere per la conformità dell’operato del collaudatore alle previsioni del D.P.R. n. 554 del 1999, artt. 187 e 197 i quali annoverano tra le finalità del collaudo la verifica della corrispondenza dei dati riportati nella contabilità con le risultanze di fatto, attribuendo al collaudatore, in caso di discordanza, il compito di procedere alle opportune rettifiche nel conto finale.
4. Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione degli artt. 115, 329, 342 e ss. e 346 c.p.c. e degli artt. 1655, 1768 e 2697 c.c., nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, osservando che l’esclusione del diritto al compenso per i maggiori oneri di custodia e manutenzione si pone in contrasto con l’accertato ritardo nella consegna dell’opera, con le dichiarazioni rese dai testi, che confermavano l’avvenuto svolgimento delle predette attività, e con la mancata contestazione da parte del Comune dei costi a tal fine sopportati da essa ricorrente.
4.1. Il motivo è inammissibile.
Nel censurare la valutazione compiuta dalla sentenza impugnata, la ricorrente non è infatti in grado di indicare le lacune argomentative o le carenze logiche del ragionamento seguito dalla Corte distrettuale, ma si limita ad insistere sull’efficacia probatoria degli elementi acquisiti, non riguardanti peraltro i costi da essa sopportati, e sull’operatività del principio di non contestazione, riguardante soltanto le allegazioni di fatto e non estensibile alla loro componente valutativa (cfr. Cass., Sez. 3, 21/06/2016, n. 12748; Cass., Sez. 6, 6/04/2016, n. 6606), in tal modo dimostrando di voler sollecitare, attraverso l’apparente deduzione dei vizi di violazione di legge e difetto di motivazione, un riesame del merito della controversia, non consentito a questa Corte, alla quale non spetta il compito di procedere ad un nuovo apprezzamento dei fatti, ma solo quello di controllare la correttezza giuridica e la coerenza logico-formale delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, cui sono rimesse in via esclusiva l’individuazione delle fonti del proprio convincimento, l’assunzione e la valutazione delle prove, il controllo della loro attendibilità e concludenza e la scelta, tra le complessive risultanze del processo, di quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi (cfr. Cass., Sez. 5, 4/08/2017, n. 19547; 16/12/2011, n. 27197; Cass., Sez. lav., 14/11/2013, n. 25608).
5. Il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 3 ottobre 2017.
Depositato in Cancelleria il 9 maggio 2018
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