La quinta sezione del Consiglio di Stato ha rimesso alla Plenaria la questione relativa alla portata, alla consistenza, alla perimetrazione e agli effetti degli obblighi dichiarativi gravanti sugli operatori economici in sede di partecipazione alle gare pubbliche, con particolare riguardo ai presupposti per l’imputazione della falsità dichiarativa, ai sensi delle lettere c) e f-bis) del comma 5 dell’art. 80, d.lgs. n. 50/2016
Consiglio di Stato, sez. V, ordinanza 9 aprile 2020, n. 2332
Nel tentativo di assicurare un adeguato livello di certezza delle regole applicabili nell’ambito dell’affidamento delle commesse pubbliche, il Consiglio di Stato ha di recente sottoposto all’attenzione dell’Adunanza Plenaria la questione relativa alla corretta interpretazione degli obblighi dichiarativi che gravano sugli operatori economici che partecipano alle procedure di gara. Pur nella particolare complessità che caratterizza tali istituti, fra i più dibattuti del diritto degli appalti pubblici (soprattutto a seguito dell’introduzione del nuovo codice), l’ordinanza di rimessione offre una dettagliata ricostruzione della normativa di riferimento, della ratio ad essa sottesa e dei contrastanti orientamenti giurisprudenziali formatisi in materia.
La vicenda controversa
La controversia esaminata dal Consiglio di Stato trae origine dall’esclusione da una procedura di gara, indetta dall’Autorità portuale di Taranto per l’affidamento dei lavori di allargamento e adeguamento strutturale di una parte del Porto, dell’impresa classificatasi inizialmente al primo posto della graduatoria provvisoria per presunta violazione dell’art. 80, comma 5, lett. f-bis) del d.lgs. 50 del 2016.
In sede di verifica del contratto di avvalimento, avente ad oggetto il requisito finanziario del fatturato pregresso, era infatti emerso che una delle società facenti parte del Consorzio ausiliario – indicata proprio al fine del raggiungimento del predetto requisito di partecipazione – non risultava in possesso di attestazione SOA e non avrebbe potuto, perciò, fare parte del Consorzio, con conseguente falsità della dichiarazione resa da quest’ultimo in relazione all’utilizzo della “cifra d’affari in lavori nel triennio antecedente al bando” della consorziata in sede di gara e applicabilità della sanzione espulsiva nei confronti dell’operatore economico.
Tale decisione dell’amministrazione aggiudicatrice veniva confermata anche in sede giurisdizionale dal T.A.R. per la Puglia – Lecce (sez. I, sent. n. 846 del 2019), sul presupposto che la dichiarazione resa dal Consorzio ausiliario, in quanto risultata obiettivamente non veritiera, fosse da sanzionare con l’esclusione automatica dell’operatore economico dalla procedura ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. f-bis), seppur presentata dallo stesso con riguardo alla posizione dell’ausiliaria di cui intendeva avvalersi. E ciò a prescindere anche dall’incidenza della dichiarazione sull’effettiva sussistenza del requisito di partecipazione in capo al soggetto, essendo la norma citata rivolta a colpire il dato oggettivo della dichiarazione non veritiera, indipendentemente dal suo concreto rilievo e dall’atteggiamento psicologico dell’operatore economico, ma solo in quanto “rilevante [in generale] nella prospettiva dell’affidabilità del futuro contraente”.
Nell’ambito di quello stesso giudizio, l’impresa risultata aggiudicataria a seguito della rimodulazione della graduatoria aveva proposto ricorso incidentale – dichiarato poi improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse – deducendo che la ricorrente principale dovesse essere esclusa dalla procedura anche per ragioni diverse e ulteriori rispetto a quelle dedotte dall’Autorità portuale di Taranto, talune rilevanti a loro volta anche sotto il profilo della violazione degli obblighi informativi.
La pronuncia del T.a.r. Lecce veniva successivamente appellata – anche in via incidentale attraverso la riproposizione dei medesimi motivi rimasti assorbiti nella sentenza di primo grado – dalla parte risultata soccombente, secondo la quale la dichiarazione resa dal Consorzio ausiliario non avrebbe potuto ritenersi mendace e, quindi, sanzionabile con l’esclusione automatica dalla gara ex art. 80, comma 5, lett. f-bis). Ciò anche in ragione del fatto che l’impresa non era stata mai estromessa dal Consorzio, in quanto nell’ipotesi di scadenza della SOA di una delle consorziate, lungi dal determinarsi alcun automatismo espulsivo, era in facoltà degli organi consortili disporre anche la sola sospensione della società, così mantenendo il vincolo consortile con l’impresa interessata, che come tale avrebbe continuato a dover adempiere a tutti gli obblighi derivanti dalla sua qualità di consorziata, per tutto il tempo necessario per il rinnovo dell’attestazione SOA.
Gli obblighi dichiarativi in sede di gara: il quadro normativo di riferimento
Al centro della questione controversa sottoposta al Consiglio di Stato (e successivamente rimessa all’Adunanza Plenaria) vi è, dunque, l’esatta individuazione della portata degli obblighi dichiarativi gravanti sugli operatori economici in sede di gara e degli effetti derivanti dalla loro relativa violazione, soprattutto con riguardo al rapporto fra le fattispecie della falsità e dell’omissione di informazioni, come definite dall’art. 80, comma 5, lettera f-bis) e lettera c) del d.lgs. 50 del 2016, nel testo anteriore alle modifiche apportate del d.l. 14 dicembre 2018, n. 135 (d.l. “semplificazioni”, convertito dalla l. 11 febbraio 2019, n. 12, con commento su questo sito di D. Capotorto – I. Picardi, Come cambia la moralità professionale nel decreto legge “semplificazioni”), applicabile ratione temporis al caso di specie.
A livello generale, il Collegio ha ricordato che gli oneri in parola si fondano sull’obbligo – di matrice propriamente precontrattuale – di fornire alla stazione appaltante ogni informazione rilevante, al fine dell’ammissione al confronto competitivo. Operando nella logica relazionale del contatto sociale qualificato strutturato dalla procedura evidenziale, tali oneri sono da ricondurre, più nello specifico, alle regole di condotta di cui agli artt. 1337 e 1338 del codice civile, che impongono alle parti negoziali un generale (e reciproco) dovere di chiarezza e completezza informativa.
A livello pubblicistico, essi sono invece da considerarsi manifestazione del principio di correttezza (art. 30, comma primo del codice dei contratti pubblici) e del dovere di professionalità che si impone agli operatori economici che intendano accedere al mercato delle commesse pubbliche, i quali valgono a conferire specifico rilievo – a pena di esclusione – alla fattispecie dell’omissione delle “informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione”, originariamente ricompresa nella macro-disposizione di cui all’art. 80, comma 5, lett. c) e oggi autonomamente disciplinata dalla “nuova” lettera c-bis) del comma 5.
In detta prospettiva, gli oneri dichiarativi in esame costituiscono un obbligo essenzialmente strumentale e servente, finalizzato cioè a mettere la stazione appaltante nella condizione di conoscere tutte le circostanze rilevanti per l’apprezzamento dei requisiti di moralità, e non un obbligo fine a se stesso.
Nondimeno, la sua distinta previsione come specifico ed autonomo motivo di esclusione testimonia (ad onta della, non decisiva, scissione della lettera c) ad opera del d.l. 135 del 2018) la sua attitudine a concretare, in sé, una forma di grave illecito professionale, cosicchè il necessario nesso di strumentalità rispetto alle valutazioni della stazione appaltante finisce per dislocarsi dal piano del concreto apprezzamento delle circostanze di fatto, rimesso alla mediazione valutativa della stazione appaltante, al piano astratto di una illiceità meramente formale e presunta, operante de jure.
Muovendo da tali premesse, il Consiglio di Stato ha evidenziato le ragioni per le quali è emersa la necessità di una puntuale perimetrazione della portata (e dei limiti) degli obblighi informativi.
All’origine, vi sarebbe l’esigenza di individuare un punto di equilibrio fra opposti e rilevanti interessi: da un lato quello di estromettere dalle gare pubbliche i soggetti non affidabili sotto il profilo della integrità morale, della correttezza professionale, della credibilità imprenditoriale e della lealtà operativa; dall’altro, quello di non indebolire la garanzia della massima partecipazione e di non compromettere la necessaria certezza sulle regole di condotta imposte agli operatori economici, presidiate dalla sanzione espulsiva.
Tale equilibrio è salvaguardato attraverso il rispetto del principio di tipicità dei motivi di esclusione (art. 83, comma 8 del codice) da non limitare, però, al profilo (di ordine formale) della mera preclusione all’introduzione di fattispecie escludenti ulteriori rispetto a quelle normativamente previste (numerus clausus), ma estendendolo al profilo (di ordine sostanziale) della sufficiente tipizzazione, in termini di tassatività, determinatezza e ragionevole prevedibilità delle regole operative e dei doveri informativi.
La ricerca di tale soluzione di compromesso si pone in termini problematici soprattutto per le omissioni dichiarative (ovvero per le dichiarazioni reticenti), rispetto alle quali occorre distinguere il mero (e non rilevante) nihil dicere (che, al più, legittima la stazione appaltante a dimostrare, con mezzi adeguati, “che l’operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali”, diversi dalla carenza dichiarativa, idonei “a rendere dubbia la sua integrità o affidabilità”) dal non dicere quod debetur (che, postulando la violazione di un dovere giuridico di parlare, giustifica di per sé – cioè in quanto illecito professionale in sé considerato – l’operatività, in chiave sanzionatoria, della misura espulsiva).
I differenti orientamenti interpretativi della giurisprudenza amministrativa
Al fine di delineare con maggiore precisione le problematiche interpretative riguardanti la corretta perimetrazione degli obblighi dichiarativi gravanti in capo agli operatori economici, occorre considerare un ulteriore dato connesso al precedente, cioè il carattere meramente esemplificativo attribuito dalla giurisprudenza prevalente all’elencazione dei gravi illeciti professionali contenuta nella versione originaria dell’art. 80, comma 5, lettera c) d.lgs. 50 del 2016 e successivamente ripartita nelle “nuove” lettere c-bis) e c-ter) inserite nel corpo della disposizione ad opera del d.l. “semplificazioni” (in argomento, cfr. A. D’Agostino, Sulla natura dei gravi illeciti professionali indicati dall’art. 80, comma 5, lett. c) del nuovo codice: elenco tassativo o esemplificativo?).
Sulla base di tale ricostruzione della disciplina di riferimento, è stata riconosciuta alla stazione appaltante la facoltà di desumere il compimento di gravi illeciti da ogni vicenda pregressa dell’attività professionale dell’operatore economico – anche non tipizzata dal codice – di cui sia stata accertata la contrarietà ad un dovere posto da una norma civile, penale o amministrativa e ove stimata idonea a metterne in dubbio l’integrità e l’affidabilità.
Una simile lettura della norma si fonda, essenzialmente, su un duplice ordine di considerazioni.
A livello testuale, si è rilevato che la disposizione in esame contiene una previsione di portata generale individuata in origine attraverso la locuzione “tra questi rientrano” riferita agli illeciti professionali espressamente richiamati dal codice (sulla base della formulazione dell’art. 80, comma 5, lettera c) ante novella legislativa) e successivamente mantenendo, nella rinnovata lettera c), il riferimento al generico potere della stazione appaltante di dimostrare con mezzi adeguati che l’operatore economico si sia reso colpevole di gravi illeciti professionali idonei a mettere in dubbio la sua integrità e affidabilità.
A livello sistematico, l’opzione esegetica accolta dalla giurisprudenza maggioritaria poggia invece sulla sopra evidenziata generalizzazione degli obblighi informativi precontrattuali, ancorati ad un dovere di correttezza professionale dell’operatore economico e di clare loqui finalizzato a consentire alla stazione appaltante di assumere – nella prospettiva del corretto svolgimento della procedura – le proprie decisioni sull’esclusione, selezione e aggiudicazione del contratto.
In detta prospettiva, gli obblighi dichiarativi “decampano [quindi] dalla logica della mera strumentalità, diventando obblighi finali, dotati di autonoma rilevanza: di tal che l’omissione, la reticenza, l’incompletezza divengono – insieme alle più gravi decettività e falsità – forme in certo senso sintomatiche di grave illecito professionale in sé e per sé”.
Orbene, muovendo da tale ricostruzione della disciplina di cui al “vecchio” art. 80, comma 5, lett. c), parte della giurisprudenza amministrativa ha proposto un approccio formalistico all’interpretazione dell’ultimo inciso della citata disposizione (quello, cioè, riferito alla presentazione in gara di informazioni false o fuorvianti, suscettibili di influenzare le decisioni sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione ovvero all’omissione di informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della gara, oggi contenuto nella lettera c-bis) del comma 5 dell’art. 80) attribuendogli il rigoroso significato di norma di chiusura, che imporrebbe agli operatori economici di portare a conoscenza della stazione appaltante tutte le informazioni relative alle proprie vicende professionali.
In senso parzialmente diverso, altra parte della giurisprudenza ha invece optato per l’individuazione di un limite di operatività a tale obbligo dichiarativo, così da evitare di gravare le imprese dell’onere di ripercorrere a beneficio della stazione appaltante “vicende professionali ampiamente datate o, comunque, del tutto insignificanti nel contesto della vita professionale di una impresa”.
A tal fine, è stato in primo luogo previsto un limite di carattere temporale, ancorato alla postulata irrilevanza di illeciti commessi prima del triennio antecedente all’indizione della gara (in argomento, sia consentito il rinvio a I. Picardi, Limiti e condizioni di rilevanza delle risoluzioni contrattuali).
In secondo luogo – ed è questa l’opzione ermeneutica che maggiormente rileva nel caso in esame – la giurisprudenza amministrativa ha proposto la distinzione tipologica di due differenti fattispecie: da un lato, l’omissione delle informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione, comprensiva anche della reticenza, cioè dell’incompletezza, che presupporrebbe la facoltà della stazione appaltante di valutarne l’incidenza sull’attendibilità e integrità professionale dell’operatore economico; dall’altro, la falsità delle dichiarazioni, ovverosia la presentazione in corso di gara di dichiarazioni non veritiere, rappresentative di una circostanza in fatto diversa dal vero, cui conseguirebbe, per contro, l’automatica esclusione dalla procedura, deponendo in maniera inequivocabile nel senso dell’inaffidabilità e della non integrità dell’operatore economico (sul punto, cfr. nuovamente I. Picardi, Dichiarazione dell’operatore economico circa le pregresse vicende professionali: esclusione automatica dalla gara solo in caso di dichiarazione falsa).
A sostegno di tale distinzione, disporrebbe anche l’ordito normativo che nell’ambito dell’art. 80 fa variamente riferimento:
- alla falsitàdi “informazioni” fornite (lettera c-bis), di “dichiarazioni” rese e di “documentazione” presentata (lettere f-bis), f- ter) e g), nonché il comma 12), talora dando rilevanza alla mera (e obiettiva) “non veridicità”, talaltra ai profili di concreta “rilevanza o gravità” ovvero ai profili soggettivi di imputabilità (evocati dal riferimento alla negligenza, alla colpa, anche grave, o addirittura al dolo);
- alla attitudine “fuorviante” delle informazioni (intesa quale suscettibilità di influenzare il processo decisionale in ordine all’esito della fase di ammissione);
- alla mera “omissione” (di informazioni dovute).
A tali fattispecie, corrispondono a livello sanzionatorio diverse conseguenze: mentre le prime tre ipotesi (dichiarazioni omesse, reticenti e fuorvianti) hanno rilievo, infatti, solo in quanto si manifestino nel corso della procedura, la falsità è più gravemente sanzionata dall’obbligo di segnalazione all’ANAC da parte della stazione appaltante in forza del comma 12 dell’art. 80 e della possibile iscrizione (in presenza di comportamento doloso o gravemente colposo e subordinatamente ad un apprezzamento di rilevanza), destinata ad operare anche nelle successive procedure evidenziali nei limiti del biennio (lettere f-ter) e g), quest’ultima riferita, peraltro, alla falsità commessa ai fini del rilascio dell’attestazione di qualificazione).
Conseguentemente, la falsità (informativa, dichiarativa ovvero documentale) ha attitudine espulsiva automatica oltreché (potenzialmente e temporaneamente) ultrattiva, mentre le informazioni semplicemente fuorvianti – trattandosi di modalità atta ad influenzare indebitamente il concreto processo decisionale in atto – giustificano solo l’estromissione dalla procedura nella quale si collocano. Sempre nella medesima prospettiva ermeneutica, l’omissione (e la reticenza) dichiarativa si appalesa, per definizione, insuscettibile (a differenza della falsità e della manipolazione fuorviante, di per sé dimostrative di pregiudiziale inaffidabilità) di legittimare l’automatica esclusione dalla gara, dovendo la sua rilevanza essere rimessa sempre e comunque alla valutazione della stazione appaltante, ai fini della formulazione di prognosi in concreto sfavorevole sull’affidabilità del concorrente.
Riferendosi più nello specifico al caso di specie sottoposto al suo esame, il Consiglio di Stato precisa inoltre che la suesposta distinzione può essere articolata sotto un ulteriore e concorrente profilo.
Il Collegio muove dalla premessa che la differenza tra dichiarazioni false (che importano sempre l’esclusione) e dichiarazioni semplicemente omesse (per le quali si pone l’illustrata alternativa tra la tesi, formalistica, dell’automatica esclusione e quella, sostanzialistica, della rimessione al previo e necessario filtro valutativo della stazione appaltante) trae fondamento dal rilievo che la falsità, come predicato contrapposto alla verità, costituisce frutto del mero apprezzamento di un dato di realtà, cioè di una situazione fattuale per la quale possa porsi l’alternativa logica vero/falso, accertabile automaticamente (anche in sede giudiziale, in virtù della pienezza dell’accesso al fatto garantita dalle regole del processo amministrativo). Per contro, la dichiarazione mancante non potrebbe essere invece apprezzata in quanto tale, dovendo essere, di volta in volta, valutate le circostanze taciute, nella prospettiva di verificarne l’idoneità a dimostrare l’inaffidabilità del concorrente.
Tale valutazione, in quanto frutto di apprezzamenti ampiamente discrezionali, non potrebbe essere rimessa all’organo giurisdizionale, ma andrebbe necessariamente effettuata (eventualmente a posteriori) dalla stazione appaltante, a differenza della falsità che è di immediato riscontro anche in sede contenziosa.
Ed è proprio su tali considerazioni che si basa il gravame proposto dinnanzi al Consiglio di Stato, all’origine dell’ordinanza di rimessione qui in commento, in quanto ad avviso della società appellante nel caso di specie:
- la dichiarazione resa dal Consorzio ausiliario non avrebbe mai potuto ritenersi mendace, essendo riferita non già ad un fatto(come tale suscettibile di obiettiva verificazione, o falsificazione, secondo l’alternativa secca vero/falso), ma ad una valutazione del fatto, pregiudizialmente refrattaria ad un apprezzamento in termini di verità o falsità;
- che, più in dettaglio, il mendacio contestato al Consorzio non verteva, in realtà, sull’obiettivo ammontare delle cifre di affari (pacificamente corrette e corrispondenti ai bilanci delle società considerate), ma sulla ritenuta attitudine della società facente parte della compagine consortile ai fini della considerazione del requisito finanziario derivante dalla maturazione di un determinato fatturato storico, questione in sé opinabile ed eventualmente erronea, ma non suscettibile, nella sua componente valutativa, di essere considerata (né vera, né) falsa;
Così ricostruita la vicenda, e preso atto del suesposto contrasto giurisprudenziale, la quinta sezione del Consiglio di Stato ha rimesso il ricorso all’esame dell’Adunanza Plenaria, affinchè si pronunci sulla questione di diritto controversa, stabilendo se in relazione agli obblighi dichiarativi debba prevalere un’interpretazione formalistica ovvero sostanzialistica, maggiormente attento agli effetti prodotti in concreto dalle irregolarità informative. Ai fini del giudizio, Conclusivamente, la risoluzione della questione è di centrale rilevanza anche per altre ragioni. Quand’anche si dovesse, infatti, concludere nel senso della reiezione dell’appello principale, ritenendo corrette la qualificazione in termini di falsità della dichiarazione resa e la conseguente esclusione automatica dalla gara “occorrerebbe gradatamente, decidere i motivi affidati all’appello incidentale proposto dalla controinteressata, con i quali si denunziano plurime omissioni dichiarative in cui l’aggiudicataria sarebbe incorsa: omissioni per le quali l’alternativa tra l’approccio formalistico (valorizzato dall’appellante incidentale ad excludendum) e l’approccio sostanzialistico sarebbe decisiva”.
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento