Affidamento diretto, caratteristiche procedurali e discrezionalità della stazione appaltante – Tar Lazio, Sez. II bis, 11 novembre 2024, n. 19840

A cura di Roberto Mangani

19 Dicembre 2024
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La recente sentenza del Tar Lazio, Sez. II bis, 11 novembre 2024, n. 19840 affronta nuovamente il tema dell’affidamento diretto, definendo le caratteristiche dell’istituto e offrendo importanti indicazioni in merito alle corrette modalità per il suo  utilizzo.

In particolare, il giudice amministrativo ribadisce il principio secondo cui anche nell’ipotesi in cui l’affidamento diretto sia preceduto da un’indagine di mercato e dalla definizione di alcuni adempimenti procedurali, ciò non è sufficiente per trasformare lo stesso in una procedura di gara, soggetta alle regole proprie della stessa.
Infatti, l’affidamento diretto resta comunque tale, cioè una modalità di affidamento autonoma, distinta sia dalla procedura negoziata che dalle altre procedure ordinarie, caratterizzata da un elevato grado di informalità e semplificazione.

Nel ribadire il principio, il Tar Lazio sviluppa un articolato iter argomentativo che offre anche un significativo contributo per meglio delineare le corrette modalità che le stazioni appaltanti devono seguire nel procedere all’affidamento diretto di un contratto.  
La pronuncia in commento è espressione di un orientamento giurisprudenziale che negli ultimi tempi si va consolidando, anche se non mancano sentenze di segno contrario.

Indice

Affidamento diretto e procedura di gara

Infatti specie in passato – ma ancora oggi, sia pure in misura minore – è stato prospettato anche un diverso orientamento, accolto da alcune pronunce del giudice amministrativo.
E’ stato infatti affermato che nel caso di affidamento diretto, qualora l’ente appaltante decida di far precedere lo stesso dalla preventiva consultazione di più operatori economici cui viene chiesta la relativa offerta, si ha l’attivazione implicita di una vera e propria procedura di gara.
A tale procedura si applicano tutte le regole e i principi propri dell’evidenza pubblica in senso stretto, primi tra tutti i principi della parità di trattamento, di imparzialità e di par condicio (Tar Abruzzo, Sez. I, 17 novembre 2022, n. 410).
Nel caso di specie l’ente appaltante, dovendo affidare un servizio di importo inferiore alla soglia comunitaria,  aveva deciso  di far precedere tale affidamento diretto dalla richiesta di un’offerta da parte di alcuni operatori preventivamente selezionati.
Presentavano quindi offerta due operatori, tra cui il precedente gestore del servizio, cui l’ente appaltante decideva di affidare il servizio stesso. A fronte di questa decisione l’altro operatore contestava la legittimità dell’affidamento e proponeva ricorso davanti al giudice amministrativo.  
Secondo il ricorrente, nel momento in cui l’ente appaltante ha deciso di far precedere l’affidamento diretto dalla consultazione preventiva di più operatori economici con la richiesta della relativa offerta, avrebbe per ciò stesso avviato una vera e propria procedura comparativa cui si applicherebbero in toto le regole e i principi di cui all’articolo 30 del D.lgs. 50/2016 (all’epoca vigente).
Nello specifico tali principi sarebbero stati violati sotto un duplice profilo. In primo luogo l’ente appaltante avrebbe definito i criteri di selezione dell’offerta ai fini dell’individuazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa solo successivamente alla presentazione e all’avvenuta conoscenza delle offerte medesime.
In secondo luogo, si sarebbe consentito all’operatore poi risultato affidatario di modificare la misura del canone concessorio – uno degli elementi fondamentali sulla base del quale scegliere la proposta migliore –  successivamente alla presentazione dell’offerta, in tal modo violando il principio base dell’immodificabilità dell’offerta.
Il giudice amministrativo ha accolto il ricorso. Ha infatti ritenuto che l’ente appaltante, nel momento in cui decide di consultare una pluralità di operatori per procedere all’affidamento,   ancorchè di importo inferiore ai 40.000 euro – soglia che nel regime normativo all’epoca vigente consentiva l’affidamento diretto – per ciò stesso avvia una procedura di gara.
Nello specifico, questa attività procedimentale si è sviluppata con le sequenze tipiche di una gara: invito rivolto a più operatori, presentazione dell’offerta da parte degli stessi, valutazione comparativa delle offerte pervenute mediante criteri di natura tabellare volti a individuare l’offerta più conveniente.
Secondo il giudice amministrativo, la caratterizzazione dell’attività posta in essere dall’ente appaltante nei termini descritti comporta che lo stesso abbia svolto sostanzialmente una procedura di gara.
La conseguenza è che ai fini della selezione della migliore offerta trovano applicazione le regole e i principi generali che governano lo svolgimento delle procedure di gara, primi tra tutti il principio della parità di trattamento e quello di imparzialità e trasparenza.
Nel caso di specie tali principi risulterebbero violati per il fatto che l’ente appaltante ha definito i criteri di valutazione delle offerte quando le stesse erano già note e non preventivamente, come è necessario al fine di assicurare la trasparenza dell’iter procedurale.
Questa tesi ha trovato accoglimento in un’altra pronuncia del Tar Calabria, Sez. I, 29 dicembre 2024, n. 848 – successiva quindi all’entrata in vigore del D.lgs. 36/2023 –  che si è espressa in merito al profilo specifico dell’applicazione del principio di rotazione.
Nel caso preso in esame l’ente appaltante in un primo momento aveva proceduto, ai fini del successivo affidamento diretto, con la richiesta di una pluralità di preventivi a una serie di operatori tra cui vi era anche il gestore uscente del servizio.
Successivamente lo stesso ente appaltante pubblicava un avviso di indagine di mercato finalizzato a raccogliere manifestazioni di interesse, con una successiva fase di confronto competitivo tra preventivi presentati da chi, avendo manifestato interesse, fosse stato  invitato.
Il gestore uscente, nonostante avesse presentato la manifestazione di interesse, non veniva tuttavia invitato alla fase successiva. A giustificazione di tale esclusione, l’ente appaltante comunicava che il mancato invito conseguiva all’applicazione nei confronti del gestore uscente del principio di rotazione.
Intervenuto l’affidamento del contratto, il gestore uscente impugnava gli atti di gara. Nello specifico il ricorrente contestava il mancato invito dell’ente appaltante, sostenendo che secondo la giurisprudenza consolidata il principio di rotazione non troverebbe applicazione qualora il nuovo affidamento avvenga tramite procedure ordinarie o comunque aperte al mercato, nelle quali non vi sia alcuna limitazione al numero dei potenziali partecipanti.
Secondo il ricorrente questa ipotesi ricorrerebbe nel caso di specie, in cui l’articolazione della procedura svolta dall’ente appaltante avrebbe come effetto l’allontanamento dai canoni tipici dell’affidamento diretto, trattandosi di una selezione aperta al mercato.
Questa prospettazione è stata accolta dal giudice ammnistrativo. Quest’ultimo ha quindi ritenuto che lo svolgimento di un’attività procedimentalizzata possa alterare i caratteri tipici dell’affidamento diretto, che si trasformerebbe in realtà in un una sorta di procedura negoziata.
In realtà l’assimilazione dell’affidamento diretto a una procedura di gara sconta un salto logico che non appare condivisibile. Non è chiaro infatti perché la preventiva richiesta di offerte dovrebbe di per sè trasformare l’affidamento diretto in una procedura di gara.
Nella logica dell’affidamento diretto la previa consultazione degli operatori economici –  attraverso la richiesta di preventivi che può anche spingersi fini alla formulazione di offerte – ha la sola funzione di consentire all’ente di avere una reale rappresentazione della situazione di mercato, così da poter effettuare la propria scelta con maggiore cognizione di causa.  
Ritenere questa consultazione un elemento idoneo a stravolgere i caratteri propri dell’affidamento diretto per trasformarlo in una procedura di gara significa alterare il senso e la funzione della consultazione stessa, attribuendogli un ruolo che non ha.
D’altra parte, l’accoglimento della tesi fatta propria dal Tar Abruzzo avrebbe un effetto paradossale. Infatti, l’affidamento diretto ben può avvenire senza che vi sia alcuna preventiva consultazione di mercato; in questo caso tale affidamento sarebbe del tutto legittimo, mentre al contrario diverrebbe illegittimo nel momento in cui tale consultazione vi fosse ma l’ente appaltante non la svolgesse applicando le regole di una gara vera e propria. Cosicchè una cautela assunta dall’ente appaltante all’unico fine di avere cognizione delle condizioni di mercato verrebbe a trasformarsi in un vero e proprio vincolo al rispetto di regole procedurali estranee all’affidamento diretto.
Su deve quindi ritenere che l’affidamento diretto resti tale anche se è preceduto dalla preventiva consultazione di mercato. Di conseguenza non solo questa consultazione può avvenire senza il rigoroso rispetto delle regole procedurali proprie della gara, ma l’ente appaltante rimane libero di condurre la negoziazione successiva al ricevimento di preventivi/offerte secondo canoni ispirati alla massima libertà e autonomia, senza vincoli predefiniti.

L’affidamento diretto non è una procedura di gara

Più convincente appare quindi l’orientamento opposto che – come detto – sembra si stia consolidando negli ultimi tempi.
Il principio fondamentale su cui lo stesso si sviluppa è che lo svolgimento di una preventiva indagine di mercato attraverso la pubblicazione di un avviso esplorativo per la richiesta di offerte finalizzato a un successivo affidamento diretto non muta i caratteri propri di quest’ultimo, che resta tale.
Ciò in quanto la così detta procedimentalizzazione dell’affidamento diretto mediante l’acquisizione di una pluralità di preventivi e la contestuale indicazione di criteri per la selezione dell’affidatario non trasforma l’affidamento diretto in una procedura di gara.
Ne consegue che all’affidamento diretto, sia pure se operato secondo le modalità procedurali indicate, non si applicano le specifiche disposizioni che disciplinano lo svolgimento delle gare (così Tar Calabria, 25 novembre 2022, n. 750 e, più recentemente, Consiglio di Stato, Sez. V, 15 gennaio 2024, n. 503).
Interessante in questo senso è una pronuncia del Tar Veneto, 27 aprile 2021, n. 542 che sviluppa alcune specifiche argomentazioni utili per dare evidenza concreta dell’affermazione del principio richiamato.
Nel caso preso in esame dal giudice amministrativo l’ente appaltante aveva pubblicato sul profilo del committente un avviso di indagine di mercato finalizzata alla valutazione delle offerte per l’affidamento diretto del servizio di gestione di un impianto sportivo.
Nell’avviso si precisava che la scelta dell’affidatario del servizio sarebbe avvenuta ai sensi della combinazione dell’articolo 95 (che disciplina i criteri di aggiudicazione) e dell’articolo 36, comma 2 lettera b) (che si occupa dell’affidamento diretto) del D.lgs. 50 all’epoca vigente.
In particolare, venivano individuati i seguenti criteri di valutazione delle offerte: a) esperienza ed affidabilità, consistente nella pregressa esperienza nella gestione di attività sportive affini, qualificazione degli istruttori e allenatori, diversificazione delle attività svolte per fasce di età e per tipologia; b) progetto di gestione complessiva dell’impianto, relativo a gestione delle attività sportive, gestione operativa dell’impianto, eventuali attività collaterali e iniziative promozionali; c) eventuali interventi migliorativi, consistenti in interventi finalizzati a conservare e accrescere la funzionalità dell’impianto.
Gli operatori interessati avrebbero dovuto presentare la propria offerta costituita dai seguenti elementi, definiti in relazione ai criteri di valutazione individuati: relazione descrittiva dell’esperienza e affidabilità, relazione descrittiva dell’idea progettale di gestione del servizio, eventuale proposta di interventi migliorativi.
Le offerte presentate venivano valutate dal RUP – cui l’avviso riservava tale compito – che procedeva a individuare quella ritenuta migliore. L’operatore economico secondo classificato impugnava davanti al giudice amministrativo questa determinazione e il conseguente affidamento operato dall’ente appaltante.
A fondamento del ricorso venivano sviluppati i seguenti motivi.
In primo luogo l’ente appaltante in sede di avviso avrebbe omesso di predeterminare il valore ponderale da attribuire a ciascun criterio di valutazione dell’offerta, nonché i sub pesi e sub punteggi relativamente ai sub criteri. Ciò in violazione di quanto indicato dall’articolo 95 del D.lgs. 50 con riferimento all’utilizzo del criterio di aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa, che è quello cui l’ente appaltante avrebbe fatto riferimento nel caso di specie, rispetto al quale la norma precisa che i documenti di gara elencano i criteri di valutazione e la ponderazione relativa attribuita a ciascuno di essi.
La seconda censura riguardava l’attribuzione al RUP dell’attività di valutazione delle offerte, che invece in base all’articolo 77 del D.lgs. 50 spetterebbe, in caso di utilizzo del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, a una commissione giudicatrice appositamente nominata.
Infine, veniva contestata la mancata espressione della valutazione delle offerte attraverso un unico punteggio numerico, conseguenza dell’omessa ponderazione e parametrazione numerica dei singoli criteri di valutazione.
Il giudice amministrativo ha respinto tutti i motivi di ricorso, ritenendo che gli stessi si fondassero su un assunto errato, e cioè che ci trovassimo di fronte a una procedura ordinaria.    
Questa assimilazione è state respinta dal Tar Veneto. Lo stesso ha ricordato come l’affidamento diretto si caratterizza per un elevato grado di informalità, avendo il legislatore evitato di imporre una precisa sequenza procedimentale, consentendo ai singoli enti appaltanti di adattarne lo svolgimento alle specifiche caratteristiche dell’appalto oggetto di affidamento.
Sotto questo profilo la richiesta di preventivi rappresenta la garanzia minima indicata dal legislatore, fermo restando che le singole stazioni appaltanti possono introdurre adempimenti ulteriori ai fini di una più accentuata garanzia della concorrenza, senza che da ciò consegua la necessaria applicazione delle regole che disciplinano le procedure ordinarie.
Nel caso di specie la scelta dell’ente appaltante di richiedere agli operatori di mercato un’offerta in senso proprio – e non un semplice preventivo – predeterminando gli elementi e i sub elementi di valutazione delle stesse, costituisce una legittima misura di rafforzamento della concorrenza, che resta tuttavia confinata nell’ambito delle caratteristiche proprie dell’affidamento diretto, che non per questo si trasforma in una procedura di gara ordinaria.
Da ciò consegue che per valutare la legittimità dell’operato dell’ente appaltante occorre correttamente partire dal presupposto che la procedura posta in essere si muove appunto nell’ambito dell’affidamento diretto, e che in quest’ambito l’ente appaltante è tenuto a rispettare unicamente i principi generali sanciti in particolare dall’articolo 30 del D.lgs. 50.

Affidamento diretto e principi generali

Le pronunce richiamate pongono all’attenzione, sotto diversi profili, il rapporto tra affidamento diretto e rispetto dei principi generali della contrattualistica pubblica.
Il tema è comune sia alla precedente che alla vigente normativa. Il D.lgs. 36/2023, riprendo una disposizione sostanzialmente analoga contenuta nel D.lgs. 50/2016, stabilisce all’articolo 48, comma 1 che l’affidamento (e l’esecuzione) dei contratti aventi per oggetto lavori, servizi e forniture di importo inferiore alle soglie di rilevanza europea deve svolgersi nel rispetto dei principi generali richiamati nei primi articoli dello stesso Decreto.
Questa previsione va letta e interpretata alla luce dei caratteri propri dell’affidamento diretto, come anche delineati dalla giurisprudenza prevalente sopra richiamata.
I principi generali, nella loro più ampia accezione, sono fondamentalmente quelli del risultato, della fiducia e dell’accesso al mercato. Gli stessi trovano espressione nei principi di economicità, efficacia, tempestività e correttezza, unitamente a quelli di libera concorrenza, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità e pubblicità.
Come si vede, si tratta di un insieme di principi che vanno considerati nel loro complesso, ma che evidentemente non possono che ricevere concreta attuazione in maniera diversamente articolata in relazione alla distinta tipologia di affidamenti che vengono operati dagli enti appaltanti.  
Così, nel caso degli affidamenti diretti verranno in rilievo prioritariamente i principi di economicità, efficacia, tempestività e correttezza, maggiormente funzionali alle finalità di accelerazione e semplificazione che caratterizza questa modalità di affidamento, in piena coerenza con la puntuale attuazione del principio del risultato.  
Al contrario, i principi più aderenti alle procedure di gara in senso proprio – libera concorrenza, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità e pubblicità –  avranno un’applicazione attenuata nel caso degli affidamenti diretti, dovendosi comunque adattare alle modalità tipiche degli stessi.
D’altra parte, è la stessa scelta del legislatore di consentire l’affidamento diretto anche senza la preventiva consultazione di una pluralità operatori economici che comporta l’attenuazione – e in alcuni casi la vera e propria deroga – dei principi indicati. E’ infatti evidente che l’affidamento diretto “puro” – cioè senza previa indagine di mercato – non può essere soggetto al principio di pubblicità, ma anche gli altri principi di libera concorrenza, non discriminazione e di trasparenza ne escono fortemente ridimensionati.
Si deve quindi concludere che nell’ambito dei contratti sotto soglia qualora si ricorra all’affidamento diretto il rispetto dei principi generali va interpretato e letto alla luce delle caratteristiche proprie dell’istituto, nel senso che vengono privilegiati i principi di economicità, efficacia e tempestività rispetto agli altri, che evidentemente non possono trovare applicazione o comunque possono averne una soltanto parziale.

La sentenza del Tar Lazio

In questo quadro complessivo si colloca la sentenza del Tar Lazio 19840/24. La fattispecie esaminata dal giudice riguardava il caso di un comune che aveva avviato una consultazione di mercato richiedendo a sei imprese un’offerta economica ai fini dell’affidamento del servizio di conferimento al relativo impianto di trattamento e smaltimento di una particolare categoria di rifiuti.
Presentavano offerta quattro imprese, tra cui una non invitata alla consultazione di mercato, che quindi si attivava spontaneamente.
A seguito dell’esame delle offerte pervenute la stazione appaltante procedeva all’affidamento a favore dell’impresa che aveva offerto il prezzo più basso, calcolato moltiplicando il prezzo unitario per tonnellata di rifiuti per la quantità presunta.
A sua volta l’impresa che, seppure non invitata alla consultazione di mercato aveva spontaneamente presentato la propria offerta, chiedeva chiarimenti ritenendo che la stessa non fosse stata presa in considerazione dall’ente appaltante.
Il Comune replicava a tale richiesta evidenziando che l’offerta era stata presa in considerazione ma che la stessa, nonostante recasse un prezzo unitario inferiore a quello indicato dall’impresa individuata quale affidataria, non risultava quella economicamente più conveniente. Ciò in quanto al suddetto prezzo doveva essere aggiunto un extra costo che il Comune avrebbe dovuto sostenere in relazione al fatto che l’impianto di smaltimento dei rifiuti distava più di cento chilometri dal punto di raccolta dei rifiuti stessi, essendo tale extra costo previsto nel contratto che il medesimo Comune aveva con il titolare dell’impianto. Mentre nel caso dell’impresa individuata quale affidataria tale extra costo non sussisteva, poiché la distanza tra punto di raccolta e impianto di smaltimento era inferiore a cento chilometri.
Il ricorso risulta sostanzialmente incentrato sulla omessa considerazione da parte dell’ente appaltante dell’offerta presentata dal ricorrente, ancorchè la stessa risultasse quella economicamente più conveniente, con conseguente violazione dei principi di massima partecipazione, par condicio e buon andamento dell’azione amministrativa.
Secondo il ricorrete, l’introduzione da parte dell’ente appaltante di valutazioni di natura diversa, per di più riferite a un elemento del tutto estraneo allo specifico contratto oggetto di affidamento quale l’extra costo derivante dal contratto esistente con il titolare dell’impianto di smaltimento, doveva considerarsi illegittimo.
Prima di entrare nel merito della controversia, il giudice amministrativo ha affrontato una questione di carattere preliminare sollevata dal Comune resistente.
Quest’ultimo ha infatti sostenuto che l’impresa ricorrente non avesse interesse ad agire, poiché non rientrava tra i soggetti destinatari della consultazione di mercato, avendo presentato l’offerta di propria iniziativa.
Questa eccezione preliminare è stata respinta dal Tar Lazio, ma sulla base di un iter argomentativo che presenta elementi di significativo interesse. Il giudice amministrativo ha infatti evidenziato che sulla base della comunicazione ricevuta dall’impresa ricorrente il Comune ha avviato un autonomo procedimento indirizzato a istruire e verificare la fondatezza delle doglianze avanzate dalla stessa.
E’ da ciò che deriva la sussistenza dell’interesse ad agire della ricorrente, che si fonda proprio sul comportamento complessivamente tenuto dal Comune che, al fine di determinarsi nella scelta finale, ha svolto un’articolata istruttoria che ha visto coinvolta l’impresa ricorrente.
Questa argomentazione evidenzia un elemento di notevole interesse. Dalla stessa si può infatti ragionevolmente dedurre, attraverso un ragionamento a contrario, che se non vi fosse stato questo iter istruttorio – che il giudice qualifica in termini di procedimento autonomo – non sarebbe stato neanche configurabile l’interesse ad agire.
Se questo argomento viene riportato dal piano processuale al piano sostanziale, si può concludere che se l’ente appaltante procede a un affidamento diretto preceduto da una consultazione di mercato non ha alcun obbligo di prendere in considerazione offerte provenienti da soggetti diversi da quelli invitati alla consultazione stessa.
Entrando poi nel merito della questione, il giudice amministrativo riassume preliminarmente i caratteri tipici dell’affidamento diretto. Tali caratteri si connotano in primo luogo in termini negativi, nel senso che l’affidamento diretto non è una procedura in senso proprio, e quindi non è sottoposto a quelle regole e adempimenti propri di una procedura di gara.
Ne consegue che la stazione appaltante non è obbligata ad alcun confronto e contraddittorio con gli offerenti finalizzato a rendere note le valutazioni svolte e le ragioni della scelta effettuata. E ciò tanto più se – come nel caso di specie – gli offerenti non sono stati coinvolti nella preventiva consultazione di mercato avviata dalla stazione appaltante.
In questa logica la consultazione di mercato e la correlata richiesta di preventivi/offerte non implica gli adempimenti tipici di una procedura di gara, e cioè la nomina di una commissione giudicatrice, lo svolgimento di una seduta pubblica, la redazione di una graduatoria finale.
L’affidamento diretto si caratterizza quindi per essere svincolato da una rigida procedimentalizzazione dell’attività di scelta del contraente, prevalendo – anche in relazione all’ importo contenuto dei contratti – esigenze di massima semplificazione in funzione acceleratoria. In questo contesto il preventivo/offerta rappresenta una mera proposta contrattuale avanzata dall’impresa, che non obbliga la stazione appaltante a un confronto comparativo strutturato né tanto meno a una “pesatura” delle singole proposte pervenute.        
La conseguenza è che la scelta dell’affidatario è espressione di una valutazione discrezionale dai confini molti ampi, che può essere censurata dal giudice amministrativo entro limiti molto ristretti, e cioè solo se la stessa risulti caratterizzata da una macroscopica abnormità o arbitrarietà ovvero da un palese travisamento dei fatti.
Nel caso di specie non risulta che la determinazione assunta dalla stazione appaltate sia affetta da tali macroscopici vizi.
La pronuncia offre alcune importanti chiavi interpretative per definire le corrette modalità cui la stazione appaltante si deve attenere qualora proceda a un affidamento diretto.
In primo luogo va ricordato che – come chiaramente indicato dall’articolo 50, comma 1, lettera a), D.lgs. 36 – la richiesta di preventivi e lo svolgimento di una previa consultazione di mercato rappresenta una eventualità ma non certo un obbligo per l’ente appaltante.
Pur nella consapevolezza che un sondaggio di mercato risponde all’esigenza di avere dei parametri di riferimento economici ai fini dell’affidamento, ciò non toglie che, tenuto conto di tutte le circostanze del caso concreto, sia legittimo che l’ente appaltante affidi il contratto a un determinato soggetto senza alcun preventivo confronto con possibili offerte di altri operatori.
Qualora l’ente appaltante proceda alla consultazione di mercato, può legittimante circoscrivere il numero dei soggetti cui richiedere i preventivi/offerte e, soprattutto, non è tenuto a prendere in considerazione offerte che siano pervenute spontaneamente da parte di operatori non invitati.
Il concreto svolgimento della selezione può avvenire senza alcun particolare adempimento formale. Non è necessaria la nomina di una commissione giudicatrice, non è richiesta la seduta pubblica né la compilazione di una graduatoria.
Quanto ai criteri di scelta, fermo restando la possibilità che la stazione appaltante si autovincoli fissandoli preventivamente, è altresì del tutto legittimo che la scelta avvenga secondo la più ampia discrezionalità e senza alcun vincolo precostituito.
L’unico limite è che la stessa sia sorretta da un’adeguata motivazione, così da renderla immune da quei vizi di palese illogicità o evidente travisamento nei fatti che possono legittimare un’eventuale censura da parte del giudice amministrativo.

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