La mancata impugnazione del diniego di accesso agli atti nel termine di trenta giorni di cui all’art. 116 c.p.a., avente carattere decadenziale, non consente la reiterabilità dell’istanza e la conseguente impugnazione del successivo diniego, qualora a questo possa riconoscersi carattere meramente confermativo del primo.
Il caso di specie
La vicenda può essere sinteticamente riassunta. Una società partecipava a una procedura di gara (indetta da ACEA s.p.a.) per l’instaurazione di un partenariato per l’innovazione (artt. 65 d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, di seguito solo “Codice dei contratti pubblici” o “Codice”) destinato alla predisposizione di un apparato tecnologico da installare sui pali di pubblica illuminazione per l’implementazione dei servizi per “smart city”.
La società ricorrente presentava, in data 13 settembre 2021, alla casella pec riservata da ACEA alle procedure di gara, una istanza di accesso agli atti della procedura, richiedendo: “– copia della richiesta di giustificazioni inviata alla società aggiudicataria, nonché delle giustificazioni presentate da tale società e del provvedimento di valutazione della congruità dell’offerta adottato dal RUP e/o dalla Commissione; – copia di eventuali richieste di chiarimenti formulate alle ditte concorrenti e relative risposte e/o documenti integrativi; – copia del provvedimento di aggiudicazione provvisoria (ove disposto) e di aggiudicazione definitiva”. Sulla richiesta, spirato il termine di 30 giorni previsto dalla legge per l’esame e la decisione da parte della P.A. (art. 25 l. n. 241/1990), si formava il silenzio-rigetto, provvedimento non impugnato dalla parte nei tempi e modi di legge (art. 116 d.lgs. n. 104/2010).
Successivamente, il 23 novembre 2021, la stessa società presentava un’altra richiesta di accesso (sempre per la medesima procedura) a tutti gli atti di gara, istanza alla quale, questa volta, rispondeva ACEA con nota del 25 novembre 2021, tramite cui negava l’accesso (nella sentenza si riporta il riferimento al diniego di ostensione dell’offerta tecnica di Apkappa, che avrebbe contenuto segreti tecnici e commerciali: si v. art. 53, comma 5, lett. a Codice).
La ricorrente, preso atto della risposta di ACEA, proponeva dunque ricorso al TAR (in data 27 dicembre 2021, con deposito successivo il 10 gennaio 2022) avverso tale diniego di accesso (e cioè il diniego del 25 novembre 2021), contestando la violazione e falsa applicazione dell’art. 97 Costituzione, dell’art. 53 Codice e rilevando una serie di figure sintomatiche di eccesso di potere.
In particolare, tra le parti costituite in giudizio, ACEA domandava il rigetto del ricorso, anche per la sua asserita tardività.
La decisione del TAR Lazio
Il TAR Lazio ha dichiarato irricevibile il ricorso. Dunque, ha riscontrato (con una pronuncia in rito) la sussistenza di un’ipotesi riconducibile all’art. 35, comma 1, lett. a d.lgs. n. 104/2010 (“1. Il giudice dichiara, anche d’ufficio, il ricorso: a) irricevibile se accerta la tardività della notificazione o del deposito […]).
Il giudice di prime cure ha giustificato la decisione evidenziando come, a fronte di una precedente istanza di accesso agli atti (quella del 13 settembre 2021), la società ricorrente non avrebbe opposto alcun gravame, rendendo così inoppugnabile il silenzio rifiuto formatosi in conseguenza del decorso del termine di 30 giorni previsto dall’art. 25 l. n. 241/1990. Per il tribunale, la mancata impugnazione di (quel) diniego di accesso agli atti nel termine di cui all’art. 116 c.p.a. (avente carattere decadenziale), non consentirebbe, quindi, la reiterabilità dell’istanza e la conseguente impugnazione del successivo diniego (nella fattispecie, quello del 25 novembre 2021), qualora a questo possa (secondo l’interpretazione che ne fornisce il giudice) riconoscersi carattere meramente confermativo del primo provvedimento (diniego).
In tal senso, prosegue il giudice (il punto, nella sentenza, rileva solo a fini argomentativi e non altera l’indagine del TAR sulle conseguenze giuridiche rivenienti dalla sequenza di provvedimenti di rigetto di istanze di accesso), non potrebbe rilevare in contrario il fatto che l’istanza del 13 settembre 2021 (e cioè la prima istanza di accesso) sarebbe stata indirizzata a una casella pec che ACEA non avrebbe destinato a ricevere istanze di accesso, ma solo a inviare ai concorrenti comunicazioni non destinate a ricevere risposta. Ciò in quanto, trattandosi comunque di casella destinata alle comunicazioni legate alle procedure di gara, sarebbe stato onere dell’istante verificare il decorso del termine di silenzio-rifiuto: “…avendo la società deliberatamente scelto di indirizzare la propria domanda a tale casella (comunque riconducibile alla stazione appaltante); non potendo il mancato assolvimento di tale onere costituire causa di rimessione in termini”.
Il ricorso, come detto, è stato in definitiva ritenuto irricevibile.
Alcuni profili ricostruttivi
In questa decisione sono due i profili in evidenza: il primo, di carattere sistematico, riguarda il tema degli atti “meramente confermativi”, pure in riferimento alla disciplina dell’accesso agli atti delle gare pubbliche (che non presenta peculiarità rispetto al profilo generale della questione); il secondo attiene specificamente alla valutazione, operata dal giudice nel caso in esame, del contenuto dell’atto della P.A. – il successivo diniego (espresso) di accesso agli atti – il quale è stato ritenuto meramente confermativo del primo silenzio-rifiuto (su questo secondo profilo si dirà nell’ultimo paragrafo).
Sul primo aspetto. Come è noto, in dottrina e in giurisprudenza esiste la categoria degli atti amministrativi “meramente confermativi” (o di “conferma impropria”) e di “conferma” in senso proprio.
Sul tema, sono ancora attuali le parole di M.S. Giannini (Diritto amministrativo, II, Milano, 1993, pagg. 560-561). “Adottato un provvedimento, una figura soggettiva che ne è lesa propone una domanda di riesame, adducendo ragioni che, a sua opinione, rendono difettoso il provvedimento; il decidente, colpito dalle argomentazioni del domandante, riapre il procedimento, procede a nuova ponderazione degli interessi al lume delle argomentazioni del domandante, ma alla fine si convince che il provvedimento adottato era buono; dice questo nel nuovo provvedimento che adotta, il quale pertanto «conferma» il provvedimento adottato in precedenza. Questa è la conferma propria, o conferma in senso stretto. Vi può essere però una fattispecie in cui, adottato il provvedimento, sempre una figura soggettiva che se ne reputi lesa proponga una domanda di riesame, adducendo le sue ragioni; ricevuta la domanda il decidente trovi però che dette ragioni erano già state esaminate e ponderate nel procedimento che aveva portato all’adozione del precedente atto. Dice questo al domandante, in un atto che è una conferma impropria; impropria perché in realtà non vi è stato un procedimento di riesame, ma solo una constatazione di fatto”.
Ove l’amministrazione, senza riesercitare il potere (e dunque senza riaprire il procedimento), rifiuti il riesame, essa emana un atto che si limita a ribadire il proprio precedente provvedimento: tale atto è ritenuto di natura non provvedimentale e, peraltro, non impugnabile (atto meramente confermativo). Se, diversamente, l’organo pubblico, sulla istanza del privato, riapra il procedimento, verificando però l’insussistenza dei vizi denunciati e “confermi” il precedente procedimento lasciandolo immutato, questo atto deve configurarsi di conferma (propria). In questo caso, si tratta di un nuovo provvedimento, siccome frutto dell’esercizio di un potere. Esso, come è stato rilevato: “…produce effetti novativi della statuizione dell’atto di primo grado; la sua caducazione travolge l’atto confermato, atteso che esso si sostituisce all’atto confermato nella disciplina del rapporto sostanziale” (E. Casetta, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2000, 517).
Il provvedimento di conferma è, dunque, un vero e proprio nuovo provvedimento (in quanto tale impugnabile, come vedremo), l’atto meramente confermativo no, perché appunto non rappresenta una nuova determinazione, sia pure identica nel contenuto alla precedente, bensì la manifestazione della decisione dell’amministrazione di non ri-tornare sulle scelte già effettuate.
La giurisprudenza ha sostanzialmente fatto da contrappunto alle ricostruzioni della dottrina.
La distinzione tra atti confermativi (o di conferma in senso proprio) e meramente confermativi è stata ravvisata nella circostanza che l’atto successivo sia stato adottato – o meno – senza una nuova istruttoria e una nuova ponderazione degli interessi. Si esclude che possa considerarsi meramente confermativo, rispetto a un provvedimento precedente, l’atto la cui adozione sia stata preceduta da un riesame della situazione che aveva condotto al precedente provvedimento, mediante la rivalutazione degli interessi in gioco e una nuova indagine degli elementi di fatto e di diritto che caratterizzano la fattispecie considerata. L’atto meramente confermativo (che, come si dirà, non è impugnabile), ricorre diversamente allorché l’amministrazione si limiti a dichiarare l’esistenza di un suo precedente provvedimento, senza compiere alcuna nuova istruttoria e senza una nuova motivazione (si cfr., da ultimo, Cons. Stato, sez. II, 14 gennaio 2022, n. 272 e la giurisprudenza ivi richiamata: Cons. Stato, sez. II, 31 maggio 2021, n. 4157; sez. IV, 29 agosto 2019, n. 5977; sez. V, 10 aprile 2018, n. 2172; sez. IV, 12 settembre 2018, n. 5341; sez. IV, 27 gennaio 2017, n. 357; sez. VI, 30 giugno 2017, n. 3207; id. 12 ottobre 2016, n. 4214 e 29 febbraio 2016, n. 812).
Dunque, gli atti meramente confermativi sono quelli che, a differenza degli atti “di conferma”, si connotano per la ritenuta insussistenza, da parte del soggetto pubblico, di valide ragioni di nuova apertura del procedimento conclusosi con la precedente determinazione.
Mancando detta “riapertura” – che andrà illustrata all’interessato chiarendogli che la questione risulta già delibata con precedente “espressione provvedimentale” (a cui si opera integrale richiamo) – non risulterà neppure la conseguente nuova ponderazione degli interessi coinvolti, attività valutativa tipica dei c.d. “provvedimenti di secondo grado”. Tali atti (meramente confermativi), comunque espressione di “lata discrezionalità amministrativa”, sono (anche) insuscettibili di autonoma impugnazione per carenza di un carattere autonomamente lesivo (su tali profili, si v. Cons. Stato, sez. III, 24 dicembre 2021, n. 8590 e la giurisprudenza ivi richiamata: Cons. Stato, sez. V, 4 ottobre 2021, n. 6606; id. 8 novembre 2019, n. 7655; id. 17 gennaio 2019, n. 432; id., sez. III, 27 dicembre 2018, n. 7230; id., sez. IV, 12 settembre 2018, n. 5341; id., sez. VI, 10 settembre 2018, n. 5301; id., sez. III, 8 giugno 2018, n. 3493; id., sez. V, 10 aprile 2018, n. 2172; id. 27 novembre 2017, n. 5547; id., sez. IV, 27 gennaio 2017, n. 357; id. 12 ottobre 2016, n. 4214; id. 29 febbraio 2016, n. 812).
Si è appena fatto cenno all’impugnazione degli atti meramente confermativi/di conferma propria. Sul piano processuale, la rilevanza della distinzione sta in ciò. Diversamente dall’atto meramente confermativo (non impugnabile perché privo di autonomo contenuto lesivo), l’atto di conferma va a sostituire l’atto confermato, rendendo improcedibile per difetto di interesse il ricorso originariamente proposto contro quest’ultimo: l’interesse del ricorrente, come ha chiarito la Corte costituzionale (Corte cost., 21 dicembre 2021, n. 248), si sposta dunque dall’annullamento del primo atto all’annullamento del secondo, che lo ha sostituito (e che, pertanto, il ricorrente ha l’onere di impugnare, eventualmente con motivi aggiunti: si richiama Cons. Stato, sez. II, 12 giugno 2020, n. 3746; può essere segnalata, per completezza, anche la sentenza dell’Adunanza plenaria n. 15 del 24 luglio 1997, secondo cui l’improcedibilità dell’impugnazione per il sopravvenire di un nuovo provvedimento deve essere esclusa quando quest’ultimo abbia natura confermativa, qualora cioè si limiti a dichiarare l’esistenza di un precedente provvedimento, a richiamarlo, ovvero a reiterarlo, riprodurlo senza manifestare alcun connotato di autonomia decisoria, circostanza questa che comporta, in caso di annullamento del primo provvedimento, la conseguenziale caducazione dell’atto confermativo).
La non impugnabilità dell’atto meramente confermativo, invece, discende, per un verso, dal riconoscimento della carenza assoluta di interesse ad ottenere l’annullamento giurisdizionale, poiché la sua eliminazione dal mondo giuridico non sarebbe in grado di rimuovere una lesione comunque imputabile all’atto confermato ove questo non sia stato impugnato; per altro verso, ove viceversa quest’ultimo sia stato già impugnato, per l’inutilità di imporre un onere di impugnazione di atti che vengono in essere con un contenuto meramente riproduttivo di altri già gravati in sede giurisdizionale e destinati ad essere travolti dall’annullamento dei primi (Cons. Stato, sez. V, 19 maggio 2009, n. 3072; Cons. Stato, sez. V, 9 luglio 2015, n. 3462).
Dunque, l’omessa impugnazione dell’atto meramente confermativo non implica la sopravvenuta improcedibilità del ricorso proposto avverso il provvedimento confermato, mentre la sua impugnazione è sempre inammissibile se non è stata preceduta da quella contro l’atto confermato (Cons. Stato, sez. IV, 15 giugno 2016, n. 2637).
Per concludere sul punto, l’adozione di un nuovo atto, quando non sia meramente confermativo di un provvedimento precedente già oggetto di impugnazione giurisdizionale, ma costituisca (nuova) espressione di una funzione amministrativa, comporta la pronuncia d’improcedibilità del giudizio in corso per sopravvenuta carenza di interesse (a meno che l’atto non sia impugnato con motivi aggiunti), trasferendosi l’interesse del ricorrente dall’annullamento dell’atto impugnato, sostituito dal nuovo provvedimento, all’annullamento di quest’ultimo.
Note sulla sentenza
La decisione in esame, come accennato, ha dichiarato l’irricevibilità del ricorso introduttivo del giudizio in quanto, ha sostenuto il giudice, il primo rifiuto (tramite silenzio significativo) alla (prima) richiesta di accesso agli atti di gara non sarebbe stato impugnato dalla ricorrente nei termini previsti dal rito speciale (art. 116 d.lgs. n. 104/2010).
Reiterata l’istanza di accesso agli atti, il provvedimento ostativo alla richiesta della parte (questa volta “espresso” dall’amministrazione tramite comunicazione) sarebbe stato, invece, considerato dal tribunale come meramente confermativo del primo. Dunque, non essendo stato impugnato nei termini il primo provvedimento (adottato tramite silenzio rigetto) ed essendo stato valutato il secondo rigetto della richiesta di accesso (adottato con provvedimento espresso) quale atto meramente confermativo del primo (secondo l’opinione del giudice), la parte sarebbe decaduta dall’esercizio dell’azione di contestazione disciplinata dal Codice del processo amministrativo.
Una prima considerazione. Come si può notare, il tribunale, nel valutare le conseguenze della mancata contestazione del primo diniego (in rapporto con il secondo rifiuto), non ha utilizzato la categoria dell’inammissibilità (art. 35, comma 1, lett. b d.lgs. n. 104/2010) del ricorso proposto avverso il rifiuto espresso dall’amministrazione sulla seconda istanza di accesso, categoria a cui il giudice avrebbe potuto accedere considerato il tratto non impugnabile dell’atto (valutato) meramente confermativo, ma ha ritenuto l’irricevibilità dell’impugnazione (avverso il secondo rifiuto di accesso agli atti di gara). Dunque, non una carenza assoluta di interesse nella posizione del soggetto ricorrente (valutazione che usualmente pertiene la contestazione di atti meramente confermativi), ma una decadenza dalla tutela giurisdizionale prodotta dalla omessa impugnazione del primo diniego di accesso.
Il giudice, in parole semplici, dice: siccome non hai impugnato il primo rifiuto (definito con un silenzio-rigetto), dato che il secondo diniego (questa volta con provvedimento espresso) io lo considero atto meramente confermativo del primo, allora ti reputo decaduto dall’azione di tutela giurisdizionale.
La sentenza, a mio sommesso avviso, presenta un profilo di interesse, ma anche profili di problematicità (che attengono, come accennato in apertura di questo commento, alla valutazione del contenuto dell’atto della P.A. – il secondo diniego espresso di accesso agli atti – che è stato ritenuto meramente confermativo del primo silenzio-rifiuto).
L’interesse, in ragione della pronuncia di irricevibilità del ricorso, riguarda lo spostamento dell’attenzione dell’interprete dal tema della non impugnabilità dell’atto meramente confermativo (e pertanto dell’inammissibilità dell’azione per carenza di interesse) a quello della decadenza dall’azione volta alla tutela giurisdizionale (e quindi dell’irricevibilità del ricorso), nel caso non sia stato (previamente) impugnato il provvedimento oggetto di successiva (mera) conferma.
Dunque, risulta degno di nota il passaggio da una valutazione (del tribunale) prettamente legata alla non sussistenza di una condizione dell’azione (l’interesse ad agire, art. 100 c.p.c.), all’applicazione (sempre da parte del giudicante) di una misura in un certo senso sanzionatoria, derivante dal mancato rispetto della disciplina processuale dettata per instaurare il giudizio.
La modifica dell’angolo di visuale non è indifferente: sebbene inammissibilità e irricevibilità operino su piani distinti, il rischio – valorizzando l’irricevibilità – è quello di favorire l’adozione di provvedimenti giurisdizionali tranchant (per lo più ancorati al tratto meramente confermativo), non in grado di cogliere a pieno (di fatto penalizzando il ricorrente) il contenuto dell’atto contestato in giudizio, che potrebbe essere sì meramente confermativo, ma anche di conferma in senso proprio, ovvero solo “apparentemente confermativo” e dunque un vero e proprio nuovo provvedimento amministrativo con piena autonomia giuridica, senza reale legame con la pregressa statuizione del soggetto pubblico.
I tratti che si ritengono problematici riguardano, invece, la valutazione operata nel giudizio di cui si tratta del (secondo) diniego della P.A. all’accesso agli atti.
Ricostruiamo solo un momento la sequenza. Con una prima istanza di accesso (quella del 13 settembre 2021), l’azienda aveva chiesto, in pratica, una serie di atti riconducibili alla fase di verifica dell’anomalia dell’offerta, oltre alla copia del provvedimento di aggiudicazione provvisoria (oggi, proposta di aggiudicazione) e di aggiudicazione definitiva (oggi, aggiudicazione). La P.A., come si è visto, non aveva dato riscontro alcuno all’istanza, formandosi per l’effetto un silenzio-rifiuto divenuto inoppugnabile per mancata contestazione. Successivamente, con una seconda istanza, la società aveva richiesto, tra l’altro, l’accesso all’offerta tecnica della controinteressata, accesso poi negato (con nota del 25 novembre 2021) dalla stazione appaltante per la presenza di segreti tecnici e commerciali.
Ora, date queste premesse, il TAR, in ciò accogliendo le difese di ACEA, ha considerato il ricorso introduttivo del giudizio (posto con l’impugnazione della nota del 25 novembre 2021) irricevibile, poiché la società non avrebbe impugnato il primo diniego (quello intervenuto per silenzio) e valutando il secondo atto di rigetto (quello di novembre) meramente confermativo del primo.
Questa tesi, a mio parere, si presta ad alcune “suggestioni”, che qui ovviamente si possono solo accennare. Innanzitutto, emerge il tema della corrispondenza (o meno) tra richieste di accesso agli atti formulate in differenti momenti da un soggetto. Se non vi è esatta coincidenza tra i documenti di cui si chiede l’ostensione, come può ritenersi meramente confermativo un provvedimento che nega l’accesso ad atti (almeno in parte) non richiesti nell’istanza precedente (tanto più se su quest’ultima si è formato solo un silenzio)? Questo non è invece (forse) il frutto di una differente valutazione del soggetto pubblico e perciò una determinazione ulteriore autonomamente impugnabile (solo per completezza espositiva si ricorda che non si ha diniego meramente confermativo allorché la successiva istanza di accesso sia fondata su fatti nuovi e su di una diversa prospettazione della legittimazione all’accesso: Cons. Stato, sez. V, 6 novembre 2017, n. 5099; Cons. Stato, sez. VI, 29 maggio 2020, n. 3392; T.A.R. Lazio, Roma, sez. III, 9 marzo 2022, n. 2739)?
Ancora, la parte che riceve una (nuova) istanza di accesso agli atti, se ritiene che questa sia ripetitiva di una richiesta precedente su cui si è formato un silenzio-rifiuto non opposto, perché deve preoccuparsi di riaprire l’istruttoria statuendo nel merito della richiesta? Se lo fa, dato che esiste un principio di auto-responsabilità nello svolgimento dell’attività pubblica, questo comportamento non è suscettibile di rimettere in termini la parte che ha richiesto (nuovamente) l’accesso?
E ancora, è agevole ritenere come meramente confermativo di un precedente provvedimento che si è formato per silenzio – e che dunque non esprime alcuna motivazione apparente della pubblica amministrazione – un successivo atto (espresso) di rifiuto che prende posizione su di una nuova istanza di accesso a documenti (almeno in parte) non richiesti in precedenza? A questo proposito, si vuole solo segnalare che, in materia edilizia, la giurisprudenza ha chiarito che il provvedimento adottato dall’amministrazione successivamente al silenzio rigetto formatosi sull’istanza di sanatoria presentata ai sensi dell’art. 36 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 non può mai assumere le caratteristiche dell’atto meramente confermativo del precedente silenzio con valore legalmente tipico di diniego, ma costituisce atto di conferma in senso proprio a carattere rinnovativo, il quale – per la sua idoneità ad incidere sulla realtà giuridica, modificandola – non potrà che riaprire i termini per la proposizione del ricorso giurisdizionale da parte di quanti ne vogliano contestare la legittimità: T.A.R. Napoli, sez. VIII, 30 gennaio 2020, n. 452, T.A.R. Lazio, Latina, 2 luglio 2012, n 528; T.A.R. Napoli, sez. VIII, 28 aprile 2022, n. 2931.
Infine, quali elementi deve verificare il giudice per dimostrare che un atto successivo (espresso) è meramente confermativo del provvedimento precedente se quest’ultimo non ha motivazione? Forse non sarebbe necessario indagare funditus il contenuto delle istanze del privato oppure gli esiti dell’istruttoria eventualmente condotta dall’amministrazione?
SENTENZE CITATE
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