Ribasso dei costi della manodopera nel nuovo Codice dei contratti pubblici

Caterina Vinti 14 Marzo 2025
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TAR Lazio, sez. IV, 5 febbraio 2025, n. 2667

Indice

Premessa

La vicenda processuale riguarda principalmente, l’interpretazione del concetto di costo medio orario del lavoro, come indicato nelle tabelle ministeriali.
Il tema si inserisce all’interno del dibattito sulla possibilità di applicare ribassi al costo della manodopera; questione sollevata dall’introduzione dell’art. 41 del d.lgs. n. 36/2023 che, prima face, sembrerebbe escludere tale possibilità. 
Sul punto, il Consiglio di Stato ha fornito un’interpretazione più flessibile della disposizione, ritenendo che il costo della manodopera possa essere oggetto di ribasso, purché ciò sia giustificato da un’efficiente organizzazione aziendale. Resta però aperto il problema della definizione del costo del lavoro, un concetto che ha generato diversi dubbi interpretativi. Nel presente giudizio, il tribunale di primo grado richiama diverse pronunce sul tema, offrendo chiarimenti sulla determinazione del costo del lavoro e distinguendo tra il costo medio orario del lavoro, indicato nelle tabelle ministeriali, e i minimi salariali inderogabili stabiliti dalla legge.
Infine, il Collegio si sofferma anche sull’interpretazione del nuovo art. 110 del d.lgs. n. 36/2023 relativo alla valutazione delle offerte anomale da parte della stazione appaltante.

Il caso di specie

La società vincitrice dell’appalto si è aggiudicata il servizio di riparazione della carrozzeria dei veicoli in uso alla Guardia di Finanza, avendo offerto il maggior ribasso percentuale rispetto alle altre concorrenti. Tra queste vi era anche la società ricorrente, che aveva presentato la seconda offerta più vantaggiosa. 
Quest’ultima ha impugnato l’aggiudicazione, contestando due aspetti: da un lato, il costo della manodopera proposto dall’aggiudicataria, ritenuto inferiore ai minimi salariali stabiliti dal Decreto direttoriale n. 60/2023; dall’altro, la mancata presentazione della licenza prevista dall’art. 28 del T.U.L.P.S., necessaria per la fornitura di mezzi, accessori e materiali destinati alle Forze dell’ordine.

La decisione del TAR

Con il primo motivo di impugnazione, la società ricorrente contestava che il ribasso del 65% sul costo della manodopera proposto dall’aggiudicataria fosse inferiore ai minimi salariali indicati nel Decreto direttoriale n. 60/2023. Infatti, il Decreto fissava il costo medio orario del lavoro a tempo indeterminato in Euro 20,80 e il costo medio orario del lavoro a tempo determinato in Euro 19,20, mentre il ribasso si traduceva in un costo orario di Euro 17,50.
Il Collegio, a tal riguardo, rileva che la ricorrente sia caduta in errore nell’assumere i valori indicati nel decreto direttoriale come parametro per l’individuazione del minimo salariale. Il Decreto menziona il “costo medio orario del lavoro” riferendosi al costo medio orario indicato nelle tabelle ministeriali per il personale dipendente delle imprese dell’industria metalmeccanica e della installazione e di impianti, concetto ben diverso dal “minimo retributivo” inteso quale soglia minima salariale per garantire la conformità all’art. 36 della Costituzione. Di conseguenza, la ricorrente avrebbe errato nel ritenere che le tabelle ministeriali non potessero essere derogate.  Il Collegio, invero, ha messo in luce che questi valori svolgono solamente una funziona indicativa del costo della manodopera, ben potendo l’impresa discostarsene quando concorre per l’affidamento di un contratto pubblico. Pertanto, la censura sotto questo profilo risulta infondata.
Analogamente, è risultata infondata la contestazione della ricorrente in merito alla mancata a verifica dell’anomalia dell’offerta da parte della stazione appaltante
Il T.a.r. Lazio sottolinea che la nuova impostazione del procedimento di verifica delle offerte anomale introdotta con il Codice n. 36/2023 ha eliminato le soglie di anomalia il cui superamento determinava l’obbligo per la stazione appaltante di procedere alla valutazione. Ne consegue che il nuovo art. 110, d.lgs. n. 36/2023 rimette alla discrezionalità della stazione appaltante l’individuazione di offerte che appaiono prima facie anomale  e che devono, quindi, essere sottoposte a valutazione; trattandosi di discrezionalità che “investe sia l’an che il quomodo della verifica di congruità” delle offerte, ne discende che la stazione appaltante ha la facoltà di decidere, a sua discrezione, se avviare o meno il sub-procedimento per verificare eventuali anomalie nell’offerta.
Inoltre, anche nel caso in cui scelga di avviare il subprocedimento di verifica delle anomalie, il giudizio finale rimane una decisione discrezionale e non può essere oggetto di sindacato dal giudice, tranne nei casi in cui risulti manifestamente illogico.
Il collegio, inoltre, mettendo in luce le caratteristiche di questa nuova impostazione, ne fornisce anche una giustificazione di tipo sistematico, richiamando gli artt. 1 e 2 del Codice. Tali disposizioni fissano rispettivamente, il principio del risultato, che costituisce criterio prioritario dell’esercizio discrezionale della p.a. nell’affidamento dei contratti pubblici, e il principio di fiducia che favorisce e valorizza l’iniziativa e l’autonomia decisionale dei funzionari pubblici, in particolare per le valutazioni e le scelte per l’acquisizione e l’esecuzione delle prestazioni secondo il principio del risultato.
Sembrerebbe, quindi, che la scelta del legislatore di garantire maggiore discrezionalità in capo alle stazioni appaltanti sia giustificata dai nuovi principi che sorreggono l’intera disciplina dei contratti pubblici, volti ad attribuire maggiore fiducia alle amministrazioni anche in vista di un efficiente raggiungimento del risultato.
A tal proposito, appare quindi ancora più giustificata la scelta del legislatore di rendere facoltativa la determinazione delle stazioni appaltanti di avviare o meno il subprocedimento in questione, in quanto costituirebbe “espressione di un potere discrezionale” dell’amministrazione disporre l’avvio della verifica delle offerte solo ove queste appaiano anormalmente basse “in base ad elementi specifici”, senza la necessità di fornire un’espressa motivazione.
Pertanto la scelta della Guardia di finanza di non procedere alla verifica dell’anomalia dell’offerta, viene considerata dal T.a.r “né illogica, né irragionevole”.
Infatti, il Collegio ha evidenziato che lo scostamento dai valori indicati nelle tabelle ministeriali, specialmente se minimo, non “legittima di per sé l’attivazione del giudizio di anomalia”, poiché i valori ivi indicati si basano su dati statistici che non tengono conto di tutti i fattori specifici che possono influenzare il costo medio del lavoro. In particolare, nelle tabelle si fa riferimento a un numero medio di ore lavorate, ottenuto dalla sottrazione dalle ore contrattuali di quelle non lavorate. Nondimeno queste ultime non sono sempre prevedibili con certezza, poiché potrebbero cambiare a seconda dei casi specifici. Ne discende la distinzione giurisprudenziale tra “costo reale” ossia l’ammontare dovuto al lavoratore per le ore effettivamente lavorate, e il “costo della specifica commessa” che per diversi fattori, può essere inferiore al “costo totale reale”, ossia alla somma del costo reale di ogni singolo lavoratore.
Dunque, il collegio rileva che la circostanza che il costo del lavoro non sia eguale per tutte le imprese partecipanti a una gara d’appalto non costituisce una vicenda anomala ed anzi è ben possibile che gli operatori economici scelgano di realizzare economie di scala che conducono a differenze di costi salariali tra i vari datori di lavoro.
Infine, sul punto i giudici affermano che la verifica dell’anomalia delle offerte ed il controllo sul rispetto dei minimi salariali sottendono due obiettivi diversi.
La prima è diretta a tutelare la stazione appaltante, affinché non siano aggiudicati contratti ad imprese che non siano poi in grado di eseguire le prestazioni per aver richiesto un corrispettivo poco remunerativo; il secondo invece, è diretto a tutelare il diritto alla giusta remunerazione del lavoratore.
Ne consegue che le contestazioni della ricorrente relative all’eccessivo ribasso, formulate in termini di insostenibilità economica dell’offerta, risultano infondate, considerato che il costo del lavoro offerto dall’aggiudicataria era comunque superiore rispetto a quello previsto dal CCNL “Metalmeccanici- settore artigianato”. Il Collegio ha ritenuto quindi che non vi fossero indici sufficienti per ritenere l’offerta economicamente insostenibile, con la conseguente legittimità della scelta della stazione appaltante di non sottoporre la stessa alla procedura di valutazione ex art. 110 d.lgs. n. 36/2023.
L’ultima censura aveva ad oggetto la contestazione della mancata produzione, da parte dell’impresa aggiudicataria, della licenza richiesta dall’art. 28 T.U.L.P.S. per la fornitura di mezzi, accessori e materiali destinati alle Forze dell’ordine.
Il Collegio sottolinea che il servizio di riparazione della carrozzeria dei veicoli della Guardia di finanza costituisce un servizio di “semplice manutenzione e riparazione”, non comportando la gestione di armi o munizioni e quindi di materiali connessi all’equipaggiamento militare. Ne consegue che l’autorizzazione per lo svolgimento di tale attività non solo non è richiesta normativamente ma sarebbe pure estranea alla ratio stessa della disposizione ex art. 28 T.U.L.P.S., in quanto quest’ultima è volta alla tutela della sicurezza pubblica nell’ambito della gestione di oggetti potenzialmente pericolosi e sensibili e che quindi il legislatore preferisce affidare a soggetti autorizzati così da evitare usi impropri di tali strumenti.
Pertanto anche tale censura risulta infondata, essendo l’oggetto dell’appalto avulso dal confine della norma del T.U.L.P.S.

Brevi considerazioni conclusive

Con questa pronuncia il T.a.r. Lazio ha fornito importanti chiarimenti in ordine al costo medio del lavoro nell’ambito degli appalti pubblici.
In particolare, il Collegio, richiamando diverse pronunce del C.d.S. ha prima specificato come debba essere determinato il costo del lavoro e successivamente ha messo in luce la distinzione tra il costo del lavoro medio, indicato nelle tabelle ministeriali e i minimi salariali.
Relativamente alla determinazione del costo del lavoro, il T.a.r. Lazio ha rilevato che questo debba essere considerato nel complesso dell’organizzazione aziendale, e non singolarmente; ciò poiché un operatore economico potrebbe scegliere di realizzare economie di scala cui può conseguire un costo del lavoro inferiore rispetto a quello di altri operatori purché ovviamente questo non violi le soglie previste dai relativi contratti collettivi.
A tal proposito il Collegio ha segnalato un’importante distinzione: il costo del lavoro medio è un concetto ben diverso dal minimo salariale. Infatti, mentre il primo coincide con un calcolo statistico realizzato dal Ministero per indicare il costo sostenuto mediamente dal datore del lavoro per il singolo lavoratore, i minimi salariali sono le retribuzioni minime negoziate nell’ambito dei CCNL. Di conseguenza mentre la violazione dei minimi salariali determinerebbe l’esclusione della gara salvo che il ribasso non sia dovuto a giustificate efficienze organizzative, lo scostamento del costo rispetto alle tabelle ministeriali non desterebbe problematiche particolari, e, soprattutto se minimo, non determinerebbe un’esclusione per anomalia ex art. 110 d.lgs. n. 36/2023. Peraltro, spiega il Collegio, la valutazione dell’anomalia è ad oggi rimessa alla discrezionalità della stazione appaltante poiché con la nuova disciplina sono state eliminate le soglie fissate ex lege (art. 97 d.lgs. n. 50/2016) il cui superamento determinava l’avvio dell’istruttoria.
Come accennato nelle premesse, il presente giudizio si colloca in un contesto in cui è oggetto di ampio dibattito la possibilità di applicare un ribasso sul costo della manodopera. Le interpretazioni dell’articolo 41, comma 14, sono infatti divergenti e si articolano in due principali orientamenti: da un lato, vi è chi considera il ribasso un mezzo per aggirare i livelli minimi di retribuzione stabiliti dai CCNL; dall’altro, vi è chi ritiene illegittima qualsiasi clausola della lex specialis che imponga un divieto assoluto di ribasso, in quanto contraria al principio di libera concorrenza negli appalti. 
Diventa quindi essenziale trovare un equilibrio tra due principi spesso in conflitto: da un lato, la libertà di iniziativa economica, che consente alle imprese di organizzarsi nel modo che ritengono più efficace per raggiungere i propri obiettivi; dall’altro, la tutela della dignità del lavoro, che garantisce condizioni occupazionali rispettose sia dal punto di vista sociale e umano, sia sotto il profilo economico.

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