Una tesi interpretativa sostenuta dall’ANAC e da parte della dottrina afferma che esisterebbe una radicale incompatibilità tra disciplina dell’equo compenso e disciplina del Codice dei contratti pubblici.
Secondo questa tesi, la legge 49 del 2023 troverebbe applicazione solo con riferimento ai contratti d’opera professionale regolati dagli articoli 2230 e seguenti del Codice civile. Questo presupposto segnerebbe una cesura netta con il Codice dei contratti pubblici, che avrebbe ad oggetto solo i contratti di appalto, caratterizzati da un’organizzazione di impresa e da un obbligo di risultato incompatibile con la struttura dell’attività professionale.
Con il presente contributo si sostiene, in contrasto con la tesi sopra indicata, che non sussista alcun conflitto, se non apparente, tra le due discipline. L’opinione sopra riassuntivamente espressa, infatti, si fonda su una erronea interpretazione della nozione di “appalto” presente sia nel Codice dei Contratti Pubblici che nelle direttive eurounitarie.
Indice
L’ambito di applicazione della legge 49 del 2023 e del Codice dei Contratti Pubblici. Un contrasto apparente
L’ambito applicativo della legge 49 del 2023
La tesi della incompatibilità tra le due discipline[1] si fonda sul disposto dell’art. 2 della legge 49 del 2023.
Questa norma, nel definire l’ambito di applicazione della disciplina, fa riferimento <<ai rapporti professionali aventi ad oggetto la prestazione d’opera intellettuale di cui all’articolo 2230 del Codice Civile>>. La disposizione, pertanto, si applicherebbe soltanto ai rapporti d lavoro autonomo in cui il professionista rende la prestazione senza alcuna organizzazione imprenditoriale[2].
Secondo la tesi della incompatibilità, questa norma non potrebbe consentire di estendere l’ambito di applicazione ai contratti regolati dal Codice del 2023. Il presupposto logico è che quest’ultimo avrebbe ad oggetto solo i contratti di appalto di cui all’art. 1655 del Codice civile, caratterizzati da organizzazione d’impresa e quindi ontologicamente distinti dal contratto d’opera. Le due discipline avrebbero quindi un oggetto differenziato.
Prima di procedere con la disamina degli altri motivi, occorre soffermarsi su questo presupposto nei suoi due pilastri, ossia:
a) la legge 49 del 2023 escluderebbe dal suo ambito di applicazione il contratto di appalto professionale;
b) il Codice del 2023 avrebbe quale unico oggetto l’appalto professionale e non anche il contratto d’opera.
In questo paragrafo tratteremo il primo, rimettendo il secondo al prossimo.
La tesi interpretativa in questione opera una sorta di frammentazione del comma 1, isolando il riferimento all’art. 2230 del Codice civile dal riferimento soggettivo in esso contenuto. Il comma 1 non esaurisce l’ambito di applicazione della disposizione, riferendosi solo ai rapporti con (alcune) imprese private. Quindi, anche a voler ritenere che la disposizione escluda l’appalto di servizi civilisticamente detto, questa limitazione opererebbe solo per questi rapporti.
Diversamente, il comma 3 riferito ai rapporti con le pubbliche amministrazioni non contiene alcun riferimento alla qualificazione civilistica. Esso si riferisce più genericamente alle <<prestazioni rese dai professionisti>>, segno di una estensione dell’ambito di applicazione rispetto al comma 1. Ma, a monte, la stessa interpretazione del comma 1 sconta un grave livello di approssimazione, mostrando ancora una volta una limitazione legata alla lettura atomistica della disposizione. L’art. 1 della legge 49 del 2023, infatti, nell’offrire la definizione di equo compenso fa riferimento alle prestazioni rese dai <<professionisti di cui al comma 2 dell’articolo 1 della legge 14 gennaio 2013, n. 4>>, ossia ai professionisti non soggetti ad obbligo di iscrizione in albi. Ebbene, il comma 5 della disposizione fa riferimento all’esercizio di tale professione anche <<in forma societaria….>>. Ebbene, se la legge 49 del 2023 si applica anche a tali prestazioni, è giocoforza riconoscere che questa si applichi anche all’appalto civilisticamente reso, perché la forma societaria presuppone l’organizzazione di mezzi su cui si fonda l’appalto.
Il riferimento all’art. 2230 del Codice civile contenuto al comma 1 si rivela essere nient’altro che una clausola di stile con cui si evidenzia non la forma contrattuale, ma l’oggetto, ossia l’esistenza di una prestazione intellettuale per la quale l’ordinamento abbia individuato dei compensi minimi.
D’altronde, escludere le organizzazioni societarie da tale ambito non potrebbe che depotenziare la funzione della disciplina, invogliando le imprese soggette a stipulare contratti con società per poter diminuire i corrispettivi dovuti. In questo modo il professionista persona fisica, in tesi agevolato dalla disciplina dell’equo compenso, si troverebbe in un contesto di mercato in cui partirebbe da uno svantaggio competitivo, con un effetto perverso di tutela formale che si risolve in un danno sostanziale.
L’ambito applicativo del Codice del 2023
La tesi muove anche da un altro presupposto, e cioè che il Codice dei Contratti Pubblici, nel riferirsi all’<<appalto>>, intenda riferirsi al contratto di cui all’art. 1655 del Codice Civile. Vi sarebbe quindi piena sovrapponibilità tra i due istituti, e non potrebbe che concludersi che, come nella struttura civilistica, vi sia una dicotomia tra opera professionale e appalto professionale.
Ma una simile tesi non regge ad una attenta lettura del Codice.
Infatti, nella contrattualistica pubblica l’espressione <<appalto>> non si riferisce al modello dell’art. 1655 del Codice civile, ma estensivamente a tutti i contratti onerosi per la resa di servizi, forniture o lavori.
Sia sufficiente a tal fine la piana lettura dell’Allegato I.1 che, nell’offrire la definizione di <<contratti di appalto>> o <<appalti pubblici>> parla di <<contratti a titolo oneroso stipulati per iscritto tra uno o più operatori economici e una o più stazioni appaltanti e aventi per oggetto l’esecuzione di lavori, la fornitura di beni o la prestazione di servizi>>. Nessun riferimento a organizzazione di mezzi, rischi o impresa: la nozione è autonoma e non corrisponde a quella civilistica. D’altronde, il riferimento al codice civile italiano e alla nostra definizione di appalto sarebbe stata impossibile, essendo il Codice trasposizione (anche in questa definizione) delle direttive europee che naturalmente tengono conto delle diverse discipline nazionali, tra loro molto diverse.
D’altronde, se il legislatore avesse voluto escludere dall’ambito di applicazione del Codice tutti i contratti d’opera professionale, non avrebbe avuto alcuna ragione di specificare, ad esempio, l’esclusione della rappresentanza legale giudiziale, che può essere resa solo come contratto d’opera professionale.
Gli elementi teleologici
La tesi della incompatibilità muove inoltre la propria interpretazione su considerazioni di carattere teleologico, ossia sulla finalità che avrebbe perseguito il legislatore nell’emanare la disciplina dell’equo compenso.
Preliminarmente, si evidenzia il limite dell’interpretazione teleologica, che non può sovvertire il significato letterale delle disposizioni, di cui si è detto nel precedente paragrafo. In altri termini, l’interpretazione teleologica soccorre solo in caso di dubbio, ma nel limite in cui il dubbio effettivamente vi sia, pena l’apertura a forme di interpretatio abrogans. Per cui è solo per dovere di completezza che si analizzino anche tali elementi.
L’interpretazione teleologica offerta dalla tesi dell’incompatibilità muove da due assiomi: quello della tutela del contrante debole e quello della serialità del rapporto.
La tutela del contraente debole
Secondo la tesi in esame, la funzione della disciplina dell’equo compenso sarebbe quella di tutelare il professionista nei confronti di un committente forte che, come tale, è in grado di definire liberamente le condizioni contrattuali per imporle a quello debole.
In disparte la contraddittorietà della tesi in alcuni punti[3], si può concordare (almeno in parte) con la premessa[4] in questione. Ma è la conclusione che se ne trae che lascia perplessi. Si sostiene, infatti, che la posizione di <<debolezza>> del professionista scompaia nel momento in cui si contratta per la stipula di un appalto, perché in questo vi sarebbe una libera contrattazione delle parti[5]. Non si vede come si possa sostenere che vi sia libera contrattazione delle parti in un appalto pubblico, dove l’Amministrazione predefinisce le condizioni del contratto aprendo alla negoziazione solo alcuni elementi, e solo entro i limiti che essa stessa predefinisce, alle volte relativi solo al corrispettivo (con conseguente generarsi di fenomeni di dumping).
Ancora, si sostiene[6] che l’organizzazione societaria sarebbe sempre immune da posizioni di debolezza, trattandosi di organizzazioni complesse che agiscono secondo logiche industriali e in forme strutturate. A contraddire questa tesi sia sufficiente ricordare l’esistenza di forme di debolezza contrattuale nei rapporti di subfornitura, segno che anche le imprese possono ritrovarsi vittime di un soggetto in grado di imporre la propria volontà.
Questo elemento teleologico, quindi, più che confermare la tesi, sembra contraddirla.
La serialità della prestazione
Altro elemento teleologico è costituito dall’intenzione (asserita) perseguita dal legislatore di tutelare il professionista solo nell’ambito dei rapporti seriali.
Questa tesi muove da un dato letterale, ossia l’utilizzo al comma 1 dell’art. 2 della legge 49 del 2023 dell’espressione <<convenzione>> intesa come <<accordo quadro>>, ossia contratto che regola una serie di rapporti successivi. Secondo gli interpreti di questa tesi[7], la posizione di debolezza del contraente si avrebbe solo a fronte di accordi di massima che vincolerebbero il soggetto pro-futuro e nei quali emergerebbe una posizione di dominio del committente.
Invero, l’affermazione si scontra sia con il dato testuale sia con la struttura stesso del Codice.
Sotto il profilo testuale, il comma 2 della disposizione parla di qualsiasi <<accordo preparatorio o definitivo>>, quindi non solo alla convenzione strettamente intesa, ma ad ogni contratto. Ancora, e ben più dirimente, il comma 5 dell’art. 3 che parla sia di <<convenzione>> sia di <<contratto>>. Il riferimento al secondo elemento sarebbe privo di significato se dovesse ritenersi la disciplina applicabile, anche con riferimento alle pubbliche amministrazioni, solo alle convenzioni.
Inoltre, anche l’appalto pubblico può essere seriale. Basti pensare al fatto che il d.lgs. 36/2023 regola anche gli accordi quadro stipulati dalle Amministrazioni, ossia regola quelle <<convenzioni>> che sarebbero oggetto solo della legge 49 e che la renderebbero inapplicabile al Codice del 2023.
Dopo il correttivo
Le considerazioni sopra espresse depongono quindi per l’applicabilità della disciplina dell’equo compenso anche agli appalti pubblici.
Nel testo quindi ante-correttivo non si può che concludere per la piana applicazione della legge 49 del 2023, con la limitazione della concorrenza economica solo ai fattori esclusi dai minimi tariffari come, ad esempio, gli oneri accessori e le spese generali.
Occorre però chiedersi se queste conclusioni restino ferme anche per la disciplina introdotta dal correttivo.
Come è noto, questa disciplina ha modificato l’art. 8 del Codice del 2023, che dapprima si limitava ad affermare seccamente l’obbligo per le Amministrazioni di rispettare il principio dell’equo compenso (dando origine alla problematica interpretativa dell’applicabilità della legge 49 del 2023 al mondo degli appalti pubblici) e adesso specifica che questo rispetto avviene <<secondo le modalità previste dall’articolo 41, commi 15-bis, 15-ter e 15-quater>>.
Questi commi di nuova introduzione, in breve, hanno introdotto un sottosistema di regolamentazione dei corrispettivi dovuti per le sole prestazioni d’opera intellettuale afferenti ai servizi tecnici.
Molto brevemente, le disposizioni in questione:
– Prevedono che la concorrenza sul prezzo possa esplicarsi, nel caso di aggiudicazione fondata sul miglior rapporto qualità/prezzo, solo sul 35% del corrispettivo determinato secondo l’Allegato I.13. Il restante 65% assume la forma di un prezzo fisso[8]. Inoltre, al punteggio economico non può essere attribuito più del 30% dei punteggi totali e va determinato applicando una specifica formula matematica;
– Prevedono che comunque si applichi, nel caso di ricorso al minor prezzo nelle procedure sottosoglia, il metodo di esclusione automatica delle offerte anomale;
– Prevedono che, nel caso di affidamento diretto, il corrispettivo pattuito non può essere inferiore del 20% a quello previsto dall’Allegato I.13.
Queste previsioni certamente sciolgono il dubbio sull’applicazione della legge 49 del 2023 ai contratti soggetti al Codice, ma solo con riferimento espresso ai servizi tecnici.
Resta quindi dubbio se:
– La legge 49 del 2023 si applichi agli altri servizi professionali soggetti al Codice;
-Se, nel caso di inapplicabilità della legge 49 del 2023, si applichino i limiti previsti dall’art. 41 del Codice in analogia anche agli altri servizi professionali.
Gli altri servizi professionali e l’applicabilità della legge 49 del 2023
Il riferimento contenuto all’art. 8 (che costituisce un principio generale) ai commi 15-bis, 15-ter e 15-quater ha fatto ritenere ad alcuni interpreti[9] che le regole previste da tali disposizioni possano applicarsi a tutti i servizi professionali con un processo per analogia.
L’art. 8, nella sua portata letterale, sembra in effetti affermare che le regole contenute nei suddetti commi siano espressione di un principio generale per il quale, nei contratti pubblici, la legge 49 del 2023 non può più operare seccamente, dovendo invece riferirsi ad un principio di equa ribassabilità, ossia alla possibilità per i concorrenti di ribassare gli importi posti a base di gara entro dei limiti. A tal fine, altro non è necessario che sostituire le regole sull’applicazione dell’importo a base d’asta per i servizi tecnici con quelli previsti dal relativo tariffario di riferimento. D’altronde, una diversa tesi interpretativa creerebbe una disparità di trattamento, prevedendo tutele più rigide solo per alcuni servizi professionali e tutele attenuate per gli altri.
Resta però fermo che l’articolo 8 non opera per i contratti esclusi dal Codice[10], tra cui rientrano, ad esempio, quelli di rappresentanza in giudizio per le Amministrazioni. Per questi la legge 49 del 2023 non incontra un limite legato a deroghe o incompatibilità con altre disposizioni normative e si applica nella sua pienezza, per le ragioni dette in precedenza.
Le critiche al sistema dell’equa ribassabilità. La parte fissa: dubbi sulla razionalità e sulla concorrenza
Allo strumento introdotto dal legislatore sono state poste diverse critiche.
Una prima critica riguarda la limitazione della concorrenza sotto il profilo economico.
Si sostiene, in particolare, che la norma avrebbe determinato una (eccessiva) restrizione della concorrenza sul prezzo[11].
Indubbiamente, la norma opera una restrizione e limitazione forte della concorrenza economica. Non solo, infatti, la competizione viene limitata solo ad una parte del corrispettivo posto a base d’asta, ma viene anche previsto che questa possa incidere solo entro un massimo del 30% del punteggio complessivo e con l’utilizzo di una formula matematica che scoraggia i ribassi corposi, determinando delle differenze di punteggio limitate anche a fronte di differenze notevoli tra i ribassi.
Questo, però, non determina profili di incompatibilità con il diritto eurounitario. Le direttive del 2014, infatti, superano una visione prettamente economicista della concorrenza, prevedendo persino che questa possa essere del tutto esclusa[12] anche in ragione di prezzi fissi imposti o di meccanismi volti a garantire l’equità della remunerazione[13]. A maggior ragione, si deve ritenere del tutto legittima la scelta non di un annullamento (che sarebbe comunque stato ammesso) ma di una compressione della competizione economica, specie in un contesto (quello dei servizi professionali) dove la qualità è presidio necessario del risultato anche a tutela dell’Amministrazione.
Semmai il tetto del 30% potrebbe essere sospetto di incompatibilità comunitaria, come era stato rilevato dall’AGCM[14] con riferimento al precedente Codice. In merito, il punteggio massimo potrebbe essere considerato una violazione in quanto le direttive rimettono la ponderazione dei punteggi alle Amministrazioni e non alla disciplina nazionale, configurando quindi una facoltà per queste[15]. Ma si potrebbe obiettare che la ponderazione residua nella fissazione del coefficiente della formula da impiegare e, soprattutto, che se il prezzo può anche essere del tutto escluso come criterio, a maggior ragione si deve ritenere legittima una disciplina meno intrusiva che la ammette ma ne individua anche i limiti.
Ancora, si sostiene che la fissazione del 35% come parte ribassabile sarebbe sospetta di irrazionalità, non essendo agevole coglierne il fondamento razionale. Si afferma, in particolare, che non vi sarebbe un principio razionale alla base, ma solo un dato matematico e storico, ossia la media dei ribassi per l’affidamento dei servizi di ingegneria[16]. Ma, se così è, la norma in realtà ha un fondamento razionale, e cioè proprio il fatto che il mercato ha individuato la soglia del 65% come quella minima per la resa del servizio.
Il dubbio di compatibilità con il diritto europeo sulle tariffe minime
La dottrina ha infine sollevato un possibile contrasto con la disciplina eurounitaria (aggiuntivo rispetto a quelli già analizzati) delle disposizioni sulla remunerazione dell’equo compenso.
Sotto un primo profilo, si afferma che il correttivo avrebbe introdotto dei sottominimi e, quindi, delle tariffe inderogabili. Secondo la giurisprudenza della CGUE, queste sarebbero ammesse solo al fine di tutelare l’interesse pubblico generale. Ma la funzione del correttivo non sarebbe quella di tutelare un interesse pubblico generale, ma di tutelare solo l’interesse del professionista all’equa remunerazione.
Si tratta di una visione parcellizzata del ruolo del professionista nel mercato pubblico e della funzione perseguita dal legislatore.
Non è vero che garantire una adeguata remunerazione significhi solo tutelare il professionista: significa anche tutelare la qualità della prestazione. È chiaro che minore è il corrispettivo, minore è l’impegno del soggetto che rende la prestazione, tenuto a cercare di massimizzare il proprio utile a fronte di costi fissi e materiali che anche il professionista sopporta. Per questa via, la fissazione del minimo è fissazione di una condizione necessaria per perseguire il risultato finale, ossia il servizio professionale richiesto. Risultato che è essenziale nell’economia pubblica, soprattutto se si considera che, ad esempio, l’errore di progettazione è tipica materia del contendere con effetti nefasti per l’Amministrazione che abbia già aggiudicato l’appalto. Concentrare la concorrenza sull’elemento qualitativo anziché economico significa confrontare le offerte sulle garanzie di affidabilità, nella consapevolezza che l’aggiudicatario non sarà chiamato a cercare di ridurre i propri costi avendo un margine di utile che gli consente di acquisire le risorse necessarie per la migliore prestazione.
Note
[1] Di recente espressa da R. Mangani, Il Consiglio di Stato: dall’equo compenso all’equo ribasso, in appaltiecontratti.it. Questo articolo costituirà il punto di riferimento delle posizioni che depongono per una differenza ontologica tra le due discipline per il pregio delle argomentazioni (seppur da me ritenute infondate) espresse.
[2] R. Mangani, cit., << la tipologia contrattuale cui si è voluto riferire il legislatore della legge 49/2023 è chiaramente individuata e coincide con il contratto avente ad oggetto una prestazione d’opera intellettuale nei termini di cui all’articolo 2230 del codice civile>>.
[3] R. Mangani, cit., nell’esporla afferma che effettivamente la posizione di contraente debole potrebbe essere assunta anche dal soggetto che operi <<in forma … anche societaria>>, il che appare in contrasto con la tesi per cui lo svolgimento della prestazione a mezzo d’impresa impedirebbe l’applicabilità delle disposizioni anche ai contratti di appalto civilisticamente intesi.
[4] Seppur non si possa parlare di certezza. Infatti, la disciplina ben potrebbe essere volta a limitare e vietare fenomeni di dumping, ossia di guerra al ribasso economico che non può che concludersi con una riduzione della qualità delle prestazioni. La limitazione soggettiva della disciplina si spiegherebbe, sulla base di questo approccio, con l’esigenza di evitare che l’imposizione del minimo possa, di riflesso, colpire clienti che per ragioni economiche potrebbero non essere in grado di pagare i minimi. L’esperienza pratica d’altronde dimostra che i compensi tabellari talvolta vanno parametrati alle condizioni economiche del cliente soprattutto se singola persona fisica, che può trovarsi nella necessità di avvalersi del professionista anche senza avere un vantaggio economico dalla sua prestazione.
[5] R. Mangani, cit., afferma che << Al contrario, tale ratio non troverebbe spazio in tutti quei rapporti contrattuali in cui il contenuto delle relative condizioni, anche economiche, è il risultato di una libera contrattazione tra le parti. E ciò è quello che accade tipicamente nei contratti di appalto, in cui i contraenti definiscono il contenuto della prestazione richiesta che non è seriale né ripetitiva, ma si connota in relazioni a caratteri specifici e puntuali>>.
[6] R. Mangani, cit., afferma che è << … difficile ipotizzare che possano essere considerate ‘contraenti deboli’ le organizzazioni complesse e che svolgono le loro prestazioni secondo logiche industriali, come le società di ingegneria o gli altri soggetti che agiscono in forme strutturate con un’articolata organizzazione di impresa>>.
[7] R. Mangani, cit., afferma che << Appare quindi coerente con la ratio della normativa sull’equo compenso una lettura interpretativa secondo cui il termine ‘convenzione’ non sarebbe stato utilizzato dal legislatore in senso generalizzato, ma per qualificare puntualmente determinati rapporti contrattuali, caratterizzati dallo svolgimento di una serie di attività in un determinato periodo temporale e a specifiche condizioni economiche. In questa tipologia contrattuale il committente svolge spesso un ruolo dominante nel prestabilire le relative condizioni, e i margini di negoziazione del professionista privato risultano correlativamente ridotti.>>
[8] E’ dibattuto se questa previsione si applichi solo ad (alcuni) appalti sopra soglia o meno.
Chi sostiene l’applicazione limitata fonda la propria tesi sul richiamo, contenuto nella norma, all’articolo 108 comma 2, che fa riferimento ai <<contratti relativi all’affidamento dei servizi di ingegneria e architettura e degli altri servizi di natura tecnica e intellettuale di importo pari o superiore a 140.000 euro>>. In merito, però, va evidenziato che le norme relative agli appalti soprasoglia si applicano, se non espressamente derogate, anche agli appalti sottosoglia, a norma dell’art. 48 del Codice. Inoltre, la cifra indicata (€ 140.000) in realtà è inferiore alla soglia comunitaria per le amministrazioni non centrali, e pertanto già nel suo testo letterale afferma l’applicabilità anche almeno ad alcuni degli appalti sottosoglia.
[9] La tesi è stata espressa da M. Montalti nella sua relazione al convegno formativo sugli appalti pubblici dopo il correttivo del 30 Gennaio 2025.
[10] Ai quali si possono applicare solo gli articoli 1, 2 e 3.
[11] R. Mangani, cit: << La disposizione che impone l’indicata suddivisione va peraltro letta in coordinamento con l’altra previsione, sopra ricordata, secondo cui nell’ambito dell’offerta economicamente più vantaggiosa l’elemento prezzo non può superare il peso ponderale del 30% ai fini dell’aggiudicazione. Ciò significa che il confronto concorrenziale per la componente economica è confinato al 35% del corrispettivo che a sua volta incide per una percentuale massima del 30% in sede di scelta della migliore offerta. Nei fatti, una concorrenza molto limitata sotto il profilo economico.
A ciò si deve aggiungere che la percentuale del 35%, proprio perché non risponde ad alcun principio razionale, sembra piuttosto trarre origine da un dato di esperienza, secondo cui tale percentuale non è lontana dai ribassi medi che storicamente sono stati registrati nelle gare per l’affidamento dei servizi di ingegneria.
Il che porta a ritenere che potrebbe ragionevolmente verificarsi il fenomeno secondo cui i concorrenti, relativamente alla percentuale ribassabile del 35%, si attesteranno in maniera omogenea su ribassi molto elevati o addirittura pari al 100%. Ciò significa sostanzialmente restringere ancora di più ed in molti casi annullare la concorrenza sotto il profilo economico, concentrando la selezione della migliore offerta in termini esclusivamente qualitativi>>
[12] Art. 67 direttiva 2014/24/UE: << L’elemento relativo al costo può inoltre assumere la forma di un prezzo o costo fisso sulla base del quale gli operatori economici competeranno solo in base a criteri qualitativi.>>
[13] Considerando 92 della direttiva 2014/24/UE: << Qualora disposizioni nazionali determinino la remunerazione di taluni servizi o impongano un prezzo fisso per determinate forniture, si dovrebbe precisare che resta possibile valutare il rapporto qualità/prezzo sulla base di fattori diversi dal solo prezzo o dalla sola remunerazione>> .
[14] AGCM, AS1422 – NORMATIVA IN MATERIA DI CRITERI DI AGGIUDICAZIONE DI APPALTI
[15] Art. 67 p. 5 direttiva 2014/24/UE.
[16] R. Mangani, cit: << A ciò si deve aggiungere che la percentuale del 35%, proprio perché non risponde ad alcun principio razionale, sembra piuttosto trarre origine da un dato di esperienza, secondo cui tale percentuale non è lontana dai ribassi medi che storicamente sono stati registrati nelle gare per l’affidamento dei servizi di ingegneri>>
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