Il nuovo “volto” del collegio consultivo tecnico dopo le novità introdotte dal decreto correttivo (d.lgs. n. 209/2024)

Chiara Pagliaroli 10 Febbraio 2025
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Indice

1. Premessa.

Tra gli ambiti di intervento definiti prioritari dalla Relazione illustrativa allo “Schema di decreto legislativo recante disposizioni integrative e correttive al codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36” figura, in corrispondenza del § 3.10, la disciplina del collegio consultivo tecnico (CCT), istituto preordinato alla prevenzione o alla rapida risoluzione delle controversie e delle dispute tecniche di ogni natura, suscettibili di insorgere durante l’esecuzione del contratto.

2. La cornice normativa e il regime temporale di applicazione delle nuove disposizioni.

Il d.lgs. 31 dicembre 2024, n. 209 (c.d. Correttivo) ha apportato diverse modifiche alla disciplina del collegio consultivo tecnico (di seguito, anche solo “Collegio”), con il dichiarato obiettivo di “risolvere le criticità evidenziate”,“proporre soluzioni concrete alle stazioni appaltanti e agli operatori economici”, “assicurare certezza nei rapporti giuridici” (cfr. Relazione illustrativa, p. 15).
Il testo, che è entrato in vigore il 31 dicembre 2024, ossia il giorno stesso della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, modifica gli artt. da 215 a 219 del d.lgs. 31 marzo 2023, n. 36 (c.d. Codice dei contratti pubblici – nel prosieguo, anche solo “Codice”), sostituisce l’All. V.2 e precisa che, nelle more dell’adozione delle nuove Linee guida, deputate a definire i parametri per la determinazione “dei compensi e delle spese non aventi valore remunerativo (…), prevedendone l’erogazione, secondo un principio di gradualità” e “del compenso della segreteria tecnico amministrativa”, continuano ad applicarsi le Linee guida approvate con D.M. 17 gennaio 2022, n. 12 (c.d. Linee guida M.I.M.S.), ancorché per la sola parte relativa alla determinazione dei compensi (art. 1, comma 6, ultimo periodo, All. V.2).
Sul versante temporale, è l’art. 225-bis, comma 5 – introdotto dall’art. 70 del d.lgs. n. 209/2024 e rubricato “Ulteriori disposizioni transitorie” – a stabilire che “Le disposizioni di cui agli articoli da 215 a 219 e all’allegato V.2, la cui entrata in vigore coincide con la data di entrata in vigore della presente disposizione [n.d.r. 31 dicembre 2024] si applicano, in assenza di una espressa volontà contraria delle parti, anche ai collegi già costituiti ed operanti alla medesima data, ad eccezione di quelli relativi ai contratti di servizi e forniture già costituiti alla data di entrata in vigore della presente disposizione”.
La previsione, a differenza dell’art. 224, comma 1, del d.lgs. n. 36/2023 (“Le disposizioni di cui agli articoli da 215 a 219 si applicano anche ai collegi già costituiti ed operanti alla data di entrata in vigore del codice [n.d.r. 1° aprile 2023]”), presenta una formulazione maggiormente articolata che, tuttavia, pone diversi interrogativi.
Da un lato, il Legislatore non ha fornito indicazioni sul termine entro il quale le parti dovrebbero manifestare un’eventuale volontà contraria; dall’altro, non è chiaro se, a fronte di un silenzio assenso iniziale, le parti possano poi rideterminarsi in senso contrario in un secondo momento, neutralizzando, in questo modo, la “forza” usualmente riconosciuta a un meccanismo che è espressione di un principio generale, posto – tra gli altri – a presidio della certezza dei rapporti giuridici.
Al tempo stesso, non viene specificato se il Collegio possa sollecitare una presa di posizione espressa delle parti sull’argomento. Al riguardo, nel silenzio dell’art. 225, comma 5-bis, soccorre la previsione di cui all’art. 4, comma 3, terzo periodo, dell’All. V.2, che consente al Collegio di formulare, ove ritenuto opportuno, osservazioni alle parti, disciplinando, dunque, un potere di natura sollecitatoria.
In quest’ottica, a livello applicativo, si sta registrando la “tendenza” dei Collegi ad assegnare alle parti un termine per l’espressione di un’eventuale volontà contraria in ordine all’applicazione della nuova disciplina, con la precisazione che, in caso di mancata esternazione e comunicazione della ridetta volontà contraria, si intende perfezionato il meccanismo del silenzio assenso, con conseguente applicazione del nuovo quadro normativo.
Guardando alla questione da una diversa angolazione, si pone anche il problema della disciplina applicabile ai procedimenti per l’espressione dei pareri o delle determinazioni già attivati da una o da entrambe le parti, con la proposizione di un quesito scritto e già istruito dal Collegio, se non addirittura in corso di definizione.
Rispetto a questa problematica, sembra difficile immaginare – specie a fronte delle modifiche apportate al testo degli artt. 216 e 217 del Codice – un cambio di impostazione rispetto alla disciplina applicabile, anche per non vanificare il lavoro fatto dai Collegi, che – lo si ricorderà – è volto alla rapida risoluzione delle controversie e delle dispute tecniche.
Fanno eccezione, come visto, i CCT relativi ai contratti di servizi e forniture già costituiti alla data del 31 dicembre 2024, rispetto ai quali continua a trovare applicazione il quadro normativo previgente per espressa voluntas legis.
Non è, però, evidente la sorte dell’istituto rispetto alle procedure di gara di importo pari o superiore a 1 milione di euro indette prima del 31 dicembre 2024 e soggette, come tali, all’obbligo di costituzione obbligatoria del CCT in virtù del previgente art. 215, comma 1, secondo periodo, del Codice.
Il Collegio, infatti, potrebbe ad oggi non essere ancora costituito per una pluralità di ragioni (ad esempio, perché la procedura di gara è ancora in corso oppure perché non è ancora intervenuta la sottoscrizione del contratto d’appalto o perché l’esecuzione non ha ancora avuto inizio o perché non sono ancora stati individuati i componenti del Collegio o il presidente, etc.).
Rispetto a queste ipotesi sembra potersi sostenere che è venuto meno l’obbligo di costituzione obbligatoria del CCT.
L’interpretazione proposta parrebbe coerente, da una parte, con il dato testuale della norma, che esclude dall’ambito di applicazione della nuova disciplina i soli CCT già costituiti al 31 dicembre 2024 e non già quelli ancora da costituire, e, dall’altra, con la scelta del Legislatore a favore della facoltatività dell’istituto. La medesima consentirebbe, inoltre, di evitare che vengano a generarsi oneri finanziari a carico delle commesse pubbliche, quanto meno con riferimento alla parte fissa dei compensi da riconoscere ai componenti dei Collegi.

3. L’ambito di applicazione.


3.1 Ambito soggettivo.
Il Correttivo è intervenuto anche sull’ambito di applicazione delle disposizioni sul collegio consultivo tecnico, chiarendo che le medesime si applicano – in virtù della lettera i-bis), introdotta nel testo dell’art. 141, comma 3, del Codice dall’art. 47, lett. a), n. 3, del d.lgs. n. 209/2024 – anche alle stazioni appaltanti e agli enti concedenti operanti nei settori speciali, quali i settori del gas e dell’energia termica, dell’elettricità, dell’acqua, del trasporto ferroviario, tranviario, filoviario, mediante autobus, dei porti e degli aeroporti, dei servizi postali, dell’estrazione, produzione o prospezione di petrolio, gas, carbone o di altri combustibili solidi.
È, invece, venuto meno – per effetto del superamento delle previgenti Linee guida M.I.M.S. (v. punto 1.1.1.) – il riferimento: i)a tutti i soggetti pubblici e privati tenuti all’osservanza delle disposizione del codice”, ivi inclusi, quindi, i soggetti privati titolari di permesso di costruire o di altro titolo abilitativo, che assumono in via diretta l’esecuzione delle opere di urbanizzazione a scomputo, totale o parziale, del contributo previsto per il rilascio del permesso di costruire o che eseguono le relative opere in regime di convenzione, ad eccezione delle ipotesi disciplinate dall’art. 16, comma 2-bis, del d.P.R. n. 380/2001 (c.d. T.U. Edilizia); ii) ai “commissari nominati ai sensi dell’art. 4 e 4-ter del decreto-legge 18 aprile 2019, n. 32 ove abbiano assunto le funzioni di stazione appaltante ai sensi del comma 3 del medesimo art. 4”.
Questi soggetti dovrebbero potersi considerare ricompresi nell’ambito di applicazione soggettivo dell’istituto in virtù della definizione di stazione appaltante contenuta nell’art. 1, lett. a), dell’All. I.1 al d.lgs. n. 36/2023 (n.d.r.qualsiasi soggetto, pubblico o privato, che affida contratti di appalto di lavori, servizi e forniture e che è comunque tenuto, nella scelta del contraente, al rispetto del codice”).
È, però, vero che la questione presenta un grado di complessità maggiore in relazione alle opere di urbanizzazione a scomputo oneri per via della previsione contenuta nell’art. 1, secondo periodo, dell’All. I.12 al Codice, ai sensi della quale “In relazione alla fase di esecuzione del contratto si applicano esclusivamente le norme che disciplinano il collaudo di cui all’art. 116 del codice”.

3.2 Ambito oggettivo.
Quanto all’ambito di applicazione oggettivo, l’art. 62, lett. b), del d.lgs. n. 209/2024, nel sostituire il secondo periodo dell’art. 215, comma 1, del Codice, ha fatto venire meno l’obbligo di costituzione obbligatoria del CCT per le forniture e i servizi di importo pari o superiore a 1 milione di euro.  
Viceversa, ha trovato conferma la costituzione obbligatoria del Collegio per i lavori diretti alla realizzazione di opere pubbliche di importo pari o superiore alle soglie di rilevanza europea, con la precisazione che devono intendersi incluse anche quelle “realizzate tramite contratti di concessione o di partenariato pubblico-privato”, coerentemente con le indicazioni fornite dal Servizio Supporto Giuridico del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (MIT) nel parere n. 2874 del 29 ottobre 2024.
Nell’attuale quadro normativo, la costituzione del Collegio è rimessa all’esclusiva volontà delle parti ed è, dunque, facoltativa: i) per i lavori di importo inferiore alle soglie di rilevanza europea; ii) per i servizi e le forniture, a prescindere dal loro importo.
A queste ipotesi, si aggiunge quella (peculiare) del CCT ante operam,incaricato di “risolvere problemi tecnici o giuridici di ogni natura suscettibili di insorgere anche nella fase antecedente alla esecuzione del contratto, ivi comprese le determinazioni delle caratteristiche delle opere e le altre clausole e condizioni del bando o dell’invito, nonché la verifica del possesso dei requisiti di partecipazione e dei criteri di selezione e di aggiudicazione” e già conosciuto nel sistema previgente, la cui costituzione è rimessa alla scelta delle stazioni appaltanti e degli enti concedenti (art. 218).

4. La costituzione del collegio consultivo tecnico.

L’art. 3, comma 1, primo periodo, dell’All. V.2 stabilisce che il CCT è costituito (e non “deve essere costituito a iniziativa della stazione appaltante”, come nel testo del previgente art. 2, comma 1, primo periodo, dell’All. V.2) “prima della data di avvio dell’esecuzione o comunque non oltre dieci giorni da tale data”.
A tale riguardo, si ricorda che, nei casi di appalto integrato, la giurisprudenza ha ritenuto “illegittima la decisione della stazione appaltante di posticipare la nomina del C.C.T. ad una fase successiva a quella della consegna della progettazione (ossia all’inizio dei «lavori»)”, venendo in rilievo un contratto con un “oggetto negoziale unico, consistente tanto nella progettazione quanto nell’esecuzione dei lavori” (così T.A.R. Sicilia Catania, Sez. I, 20 giugno 2022, n. 1638).
L’inottemperanza o il ritardo nella costituzione del Collegio sono valutabili, nel caso di affidamenti di importo superiore alla soglia di rilevanza europea, sia ai fini della responsabilità dirigenziale ed erariale sia, nei rapporti tra la stazione appaltante e l’operatore economico, sotto il profilo della buona fede contrattuale. In particolare, in caso di inottemperanza o di ritardo imputabili all’operatore economico “è rimessa alla valutazione della stazione appaltante la violazione della buona fede contrattuale ai sensi dell’art. 1375 c.c. (…) unitamente alla possibilità di ricorrere al Presidente del tribunale ordinario competente (…) in una logica di perseguimento dell’interesse pubblico all’esecuzione dell’opera, dunque, conservativa della procedura di aggiudicazione svolta per l’affidamento del contratto (…).” (cfr. delibera ANAC n. 265 del 7 giugno 2022)[1].
L’art. 3, comma 2, primo periodo, dell’All. V.2, nel riconfermare che il CCT si intende costituito (e non più istituito) al momento dell’accettazione dell’incarico da parte del presidente, chiarisce – a tacitazione di qualsiasi dubbio interpretativo – che non vi è la necessità di “ulteriori formalizzazioni degli incarichi rispetto all’atto di nomina dei membri del Collegio”.
Per il resto, è rimasta invariata la disciplina relativa alla seduta d’insediamento (art. 3, commi 2 e 3, All. V.2) da tenersi, entro i quindici giorni successivi alla data di accettazione dell’incarico da parte del presidente, alla presenza dei legali rappresentanti delle parti, tenuti a rendere a verbale “dichiarazione in merito alla eventuale volontà di non attribuire alle pronunce del Collegio valore di lodo contrattuale ai sensi dell’articolo 808-ter del codice di procedura civile”.

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5. La composizione del collegio consultivo tecnico.


5.1 Formazione e composizione.
Per effetto delle modifiche introdotte dall’art. 62, lett. a), del d.lgs. n. 209/2024, il CCT è formato “in modo da garantire l’indipendenza di giudizio e valutazione” (art. 215, comma 1).
Questo concetto avrebbe richiesto, ad avviso della Commissione Speciale del Consiglio di Stato, un “completamento chiarificatore ulteriore, anche per dirimere i dubbi finora insorti sulla natura dell’istituto, tale da meglio precisare la detta posizione di indipendenza non solo in fase costitutiva, ma anche funzionale” (così Cons. Stato, Commissione Speciale, 2 dicembre 2024, parere n. 1463, sub punto 53.2)[2].
Viceversa, ha trovato conferma la composizione a tre componenti o a cinque, in caso di “complessità dell’opera e di eterogeneità delle professionalità richieste”, con la sola espunzione dell’aggettivo “motivata” (art. 1, comma 1, All. V.2).

5.2 Requisiti.
Quanto ai requisiti, possono essere nominati componenti del Collegio gli ingegneri, gli architetti, i giuristi e gli economisti, in possesso di comprovata esperienza nel settore degli appalti, delle concessioni e degli investimenti pubblici, anche in relazione allo specifico oggetto del contratto.
L’esperienza e la qualificazione sono comprovate dal possesso di uno dei requisiti richiesti dall’art. 2, comma 1, dell’All. V.2.
Rispetto al sistema previgente, i requisiti richiesti per la nomina a presidente o a membro del Collegio sono ora i medesimi; è stata così superata la previsione contenuta nel previgente punto 2.4.2., lett. c), delle Linee guida M.I.M.S., che escludeva la categoria professionale dei giuristi del libero Foro dal novero di coloro che potevano essere nominati presidenti del CCT, la cui efficacia, peraltro, era già stata sospesa dal T.A.R. Lazio Roma, Sez. III, con ordinanza n. 2585 del 19 aprile 2022.
L’unico elemento di differenziazione riguarda il periodo temporale da prendere in considerazione per dimostrare il possesso dei requisiti: mentre il possesso del requisito deve essere comprovato con riferimento a un periodo minimo di cinque anni(e non più di dieci)per la nomina come membrodel Collegio, per la nomina a presidente il periodo minimo richiesto continua a essere di dieci anni (art. 2, comma 2, All. V.2).
Ferma questa premessa di inquadramento generale, la formulazione dell’art. 2, comma 1, dell’All. V.2 non pare coerente e sembra, al contrario, foriera di problematicità.
La norma, in particolare, per come formulata in corrispondenza della lett. a) (n.d.r.patrocinio o assistenza di parte pubblica o privata in contenziosi amministrativi o civili nel settore dei lavori pubblici”), non sembra consentire la “spendita” dell’esperienza maturata nello svolgimento dell’attività di consulenza stragiudiziale; il che, però, risulta piuttosto singolare, viste le regole di funzionamento del CCT e considerata, altresì, la qualificazione del medesimo in termini di “organismo consultivo e di mediazione e conciliazione[3], elementi questi ultimi che, di fatto, avvicinano l’istituto più al mondo dei meccanismi di alternative dispute resolution (ADR) che a quello del processo.
Per quel che concerne, invece, i professori universitari nelle materie degli appalti, delle concessioni e degli investimenti pubblici (v. lett. d), mentre nel sistema previgente la qualifica di professore universitario di ruolo era richiesta per la sola nomina a presidente del CCT (v. punto 2.4.2., lett. b), c) e d), delle Linee guida M.I.M.S.), nel sistema attuale la qualifica è estesa tout court anche per la nomina a componente, tant’è che non figura più tra i requisiti il possesso del titolo di dottore di ricerca di cui al punto 2.4.3., lett. b) e c), delle Linee guida M.I.M.S. Ciò parrebbe significare, all’atto pratico, che potranno spendere il requisito “accademico” solamente i professori di I e di II fascia.
Infine, occorre tener presente che, nel caso di costituzione facoltativa del CCT in relazione ai contratti di appalto di servizi e forniture, i requisiti dei componenti del Collegio andranno ricavati in via analogica da quelli previsti dal Legislatore prendendo a riferimento il settore dei lavori pubblici.

5.3 Cause di incompatibilità.
Per la disciplina delle cause di incompatibilità – che ha carattere tassativo, visto l’impiego dell’avverbio “esclusivamente” – occorre riferirsi all’art. 2, commi 3 e 4, dell’All. V.2.
Ivi si stabilisce, in particolare, che non possono essere nominati componenti del Collegio coloro che:
a) si trovano in una situazione di conflitto di interessi ai sensi dell’art. 16 del d.lgs. n. 36/2023;
b) versano in una situazione di incompatibilità ai sensi dell’art. 53 del d.lgs. n. 165/2001 o hanno svolto, per la parte pubblica o per l’operatore economico, attività di controllo, verifica[4], progettazione, approvazione, autorizzazione, vigilanza o direzione dell’esecuzione o dei lavori in relazione al contratto di appalto o alle sue fasi pregresse, salvo che l’attività sia stata svolta nell’ambito di organi collegiali consiliari;
c) hanno svolto, con riguardo ai lavori o servizi oggetto dell’affidamento, attività di collaborazione nel campo giuridico, amministrativo o economico per una delle parti. Tale previsione vale, però, per il solo presidente del Collegio;
d) hanno svolto l’incarico di consulente tecnico d’ufficio[5].
Viene, poi, chiarito che la sussistenza di cause di incompatibilità a carico dei membri o del presidente del Collegio può essere fatta valere dalle parti mediante istanza di ricusazione da proporre al presidente del Tribunale competente ai sensi dell’art. 810 c.p.c. (art. 2, comma 4, All. V.2).

5.4 Dimissioni e revoca.
Completano, infine, il quadro normativo di riferimento le previsioni contenute nell’art. 5, commi 3 e 4, dell’All. V.2, ai sensi delle quali:
i. le dimissioni dei componenti del CCT sono ammissibili solo in presenza di giusta causa o di giustificato motivo; alla sostituzione si provvede nelle forme e nei modi previsti per la nomina;
ii. i componenti del CCT non possono essere revocati successivamente alla costituzione del Collegio.
Quest’ultima precisazione sembra superare l’orientamento giurisprudenziale riconducibile alla pronuncia della I Sezione del T.A.R. Calabria, Catanzaro, n. 1582 dell’11 novembre 2024, che, nel dichiarare il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo sulla domanda di annullamento dell’atto di revoca dell’incarico di componente del CCT, aveva precisato quanto segue: “Se paritaria è la posizione dei contraenti, pubblico e privato, altrettanto è a dirsi rispetto al rapporto che si viene ad instaurare fra la parte contrattuale, sia essa pubblica o privata, da un lato, e i componenti di parte da essa scelti per la composizione del Collegio Consultivo Tecnico. Rapporto che (…) può ricondursi alla figura del mandato (artt.1703 ss. c.c.) ed ha natura fiduciaria. Nella scelta del componente di parte da indicare per il costituendo Collegio Consultivo Tecnico, la stazione appaltante non esercita un potere pubblicistico bensì un potere di natura privatistica. Lo stesso è a dirsi per la decisione di revocare quella scelta, ove il rapporto di fiducia venga meno. Anche in questo caso, l’amministrazione esercita un potere privato il cui sindacato è sottratto alla giurisdizione del giudice amministrativo, in quanto a venire in rilievo è una posizione di diritto soggettivo, non di interesse legittimo”.

6. L’attività del collegio consultivo tecnico.

Quanto all’attività del Collegio, l’art. 63 del d.lgs. n. 209/2024 ha inciso in maniera significativa sul testo dell’art. 216 del Codice, a cominciare dalla rubrica, che è stata modificata da “Pareri obbligatori” a “Pareri e determinazioni obbligatorie”.
Il comma 1 amplia il novero delle ipotesi in cui è obbligatoria l’acquisizione del parere o, su concorde richiesta delle parti, di una determinazione del Collegio, in origine circoscritte ai soli casi di sospensione, volontaria o coattiva, dell’esecuzione.
La disposizione in esame stabilisce, infatti, che “Nei casi di iscrizione di riserve, di proposte di variante e in relazione ad ogni altra disputa tecnica o controversia che insorga durante l’esecuzione di un contratto di lavori di importo pari o superiore alle soglie di rilevanza europea, è obbligatoria l’acquisizione del parere o, su concorde richiesta delle parti, di una determinazione del Collegio”, con l’ulteriore precisazione che“Se le parti convengono altresì che le determinazioni del collegio assumono natura di lodo contrattuale ai sensi dell’art. 808-ter del Codice di procedura civile, è preclusa l’esperibilità dell’accordo bonario per la decisione sulle riserve”.
Per quel che concerne le riserve, hanno trovato conferma sia l’obbligo di iscrizione delle medesime nel rispetto della disciplina vigente (art. 4, comma 1, secondo periodo, All. V.2), sia la previsione (già contenuta nel previgente punto 4.1.3., secondo periodo, delle Linee guida M.I.M.S.) secondo cui “Se l’appaltatore, al fine di non incorrere in decadenze, iscriva riserve senza formulare anche il relativo quesito al CCT, il quesito deve essere formulato dal responsabile del procedimento se la riserva è tale da incidere sulla regolare esecuzione dei lavori” (art. 4, comma 1, ultimo periodo, All. V.2), a dimostrazione di una responsabilizzazione sempre maggiore del responsabile unico del progetto (RUP), tuttora impropriamente denominato responsabile del procedimento.
Resta, tuttavia, da comprendere il valore da attribuire alle pronunce del Collegio in riferimento ai CCT già costituti.
Poiché, infatti, le nuove norme potranno retroagire e operare come regole di funzionamento di Collegi già operanti, laddove le Parti abbiano concordato di attribuire valore di lodo contrattuale alle decisioni del CCT, parrebbe ragionevole interpretare la norma in modo che il RUP si attenga a quanto già concordato, presentando il quesito (obbligatorio) sulle riserve con il valore già convenuto.
La norma non fornisce indicazioni neppure per affrontare la diversa ipotesi in cui il RUP contravvenga all’obbligo su di esso gravante, laddove l’appaltatore iscriva le riserve senza formulare anche il relativo quesito.
Nello specifico, non vengono precisate né le conseguenze che deriverebbero da questa omissione (si potrebbe ipotizzare un’eventuale sanzionabilità della condotta del RUP sotto il profilo della responsabilità erariale), né viene chiarito se il Collegio può in qualche modo (e con quali modalità) “richiamare” il RUP all’osservanza dell’obbligo, considerato che, anche nell’impianto attuale, resta confermato che “In nessun caso il CCT si può pronunciare in assenza dei quesiti di parte”, pena la nullità delle determinazioni eventualmente assunte (art. 4, comma 1, quarto periodo, All. V.2).
Uno degli aspetti più innovativi della novella riguarda sicuramente l’obbligo di acquisire il parere obbligatorio del Collegio non solo in relazione a ogni altra disputa tecnica o controversia che insorga durante l’esecuzione del contratto, ma anche rispetto alle proposte di variante.
Rispetto alle proposte di variante, si registra tuttavia un’ambiguità terminologica nel concetto stesso di “proposte di variante”, che difatti figura, all’interno del Codice, nel solo testo dell’art. 216, comma 1, atteso che nelle rimanenti disposizioni si trovano espressioni, quali varianti, varianti in corso d’opera, perizie di variante, perizie di variante e suppletive, modifiche, variazioni e varianti contrattuali.
Non è parimenti chiaro in che termini il Collegio possa esprimersi sulle proposte di variante e come questo nuovo potere possa conciliarsi, in concreto, con i poteri (di stampo pubblicistico) attribuiti al RUP e al direttore dei lavori (DL).
L’acquisizione del parere è ora obbligatoria anche nei casi di risoluzione contrattuale (art. 216, comma 2). Ciò parrebbe significare che, in assenza della pronuncia del Collegio, le parti non possano disporre la risoluzione del contratto. Anche rispetto a questa fattispecie non sono evidenti le conseguenze legate a un’eventuale violazione del precetto, né è certo se la previsione operi anche rispetto alle ipotesi di risoluzione di diritto.
Le modifiche apportate al testo dell’art. 216 vanno, poi, lette in combinato disposto con quelle dell’art. 217, rubricato “Determinazioni facoltative”, in luogo di “Determinazioni”.
L’art. 217, al comma 1, stabilisce, infatti, che “Quando l’acquisizione del parere o della determinazione non è obbligatoria, le determinazioni del collegio consultivo tecnico assumono natura di lodo contrattuale ai sensi dell’art. 808-ter del codice di procedura civile se le parti, successivamente alla nomina del Presidente e non oltre il momento dell’insediamento del collegio, non abbiano diversamente disposto. La possibilità che la pronuncia del collegio consultivo tecnico assuma natura di lodo contrattuale è esclusa nei casi in cui è richiesta una pronuncia sulla risoluzione, sulla sospensione coattiva o sulle modalità di prosecuzione dei lavori”. Il comma 2 specifica ulteriormente che “Se le parti, ai sensi di quanto disposto dal comma 1, escludono che la determinazione possa valere come lodo contrattuale, la stessa, anche se facoltativa, produce comunque gli effetti di cui al comma 3 dell’articolo 215”.
L’ambito di operatività della previsione in esame non può che ricavarsi per esclusione dalla lettura delle due norme. Ciononostante, riesce difficile immaginare quale possa essere lo spazio di operatività in concreto di questa disposizione, dal momento che la pronuncia del Collegio è, comunque, obbligatoria, oltre che nei casi di iscrizione di riserve e di proposte di variante, “in relazione ad ogni altra disputa tecnica o controversia che insorga durante l’esecuzione del contratto”.
Inoltre, proprio in ragione dell’ampliamento del raggio d’azione del Collegio, sorprende che una delle ipotesi per le quali era previsto, in origine, l’intervento obbligatorio del CCT, ossia la sospensione coattiva, figuri ora nel testo dell’art. 217, deputato, di contro, a disciplinare i casi di “Determinazioni facoltative”.
Quanto, infine, al valore da riconoscere alle pronunce del Collegio, occorre ricordare che la possibilità che la decisione del Collegio assuma natura di lodo contrattuale è esclusa nei casi in cui è richiesta una pronuncia sulla “risoluzione, sulla sospensione coattiva o sulle modalità di prosecuzione dei lavori” (art. 217, comma 1, ultimo periodo).

7. Le riunioni periodiche.

Un ulteriore elemento di novità si ricava dalla lettura dell’art. 4, comma 3, ultimo periodo, dell’All. V.2, che estende a tutti i Collegi l’obbligo di “svolgere riunioni periodiche per monitorare l’andamento dei lavori” e di “formulare, ove ritenuto opportuno, osservazioni alle parti”, già previsto dal punto 4.1.2. delle Linee guida M.I.M.S. in relazione alle opere comprese o finanziate, in tutto o in parte, nell’ambito del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) e del Piano Nazionale Complementare (PNC).
Al netto della modifica – che non ha incontrato il parere favorevole del Consiglio di Stato, che, difatti, ne aveva suggerito l’espunzione[6] – e a prescindere dal fatto che saranno i singoli Collegi a stabilire la periodicità delle riunioni, anche in ragione della complessità dei contratti, e a informarne le parti, continua a non essere chiaro (come nel sistema previgente) il valore da riconoscere, in concreto, alle osservazioni eventualmente formulate dal Collegio alle parti, così come rimangono ignote le conseguenze discendenti da un’eventuale violazione delle medesime.

8. I compensi.

Il Correttivo è intervenuto anche sulla disciplina dei compensi.
Il nuovo art. 1, comma 4, dell’All. V.2 stabilisce che la parte fissa del compenso del Collegio (e non del compenso spettante ai singoli componenti) non può superare gli importi definiti dall’art. 6, comma 7-bis, del d.l. n. 76/2020 (c.d. decreto Semplificazioni)[7] e, in ogni caso:
a) l’importo pari allo 0,02% per la parte del valore dell’appalto eccedente i 1000 milioni di euro, in caso di Collegio composto da tre componenti;
b) l’importo pari allo 0,03% per la parte del valore dell’appalto eccedente i 1000 milioni di euro, in caso di Collegio composto da cinque componenti.
È poi il comma 5, primo periodo, a ribadire che “il compenso complessivo spettante al Collegio non può superare il triplo della parte fissa” e a precisare – innovando sul punto la disciplina previgente – che i componenti del Collegio hanno diritto a un rimborso delle spese a carattere non remunerativo.
La definizione dei parametri per la determinazione dei compensi e delle spese non aventi valore remunerativo – da rapportare al valore del contratto e alla complessità dell’opera, nonché all’esito e alla durata dell’impegno richiesto e al numero e alla quantità delle determinazioni assunte, prevedendone l’erogazione secondo un principio di gradualità– non è però contenuta all’interno del Codice, ma è demandata ad apposite Linee guida, da adottare con decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, previo parere conforme del Consiglio superiore dei lavori pubblici (art. 1, comma 6, All. V.2).
La scelta del Legislatore non ha incontrato il parere favorevole del Consiglio di Stato, che con il parere n. 1463/2024, ha formulato le seguenti osservazioni:
i. “appare opportuno che i criteri di determinazione del compenso, corredati da tabelle di quantificazione, siano direttamente previsti nell’Allegato, con una formulazione la più chiara ed esauriente possibile” (cfr. punto 84.2, lett. c);
ii. “non appare chiara la previsione che aggiunge al compenso dovuto a favore dei componenti le spese «non aventi valore remunerativo» (concetto in sé ossimorico); inoltre, la definizione di tali compensi e spese non dovrebbe essere demandata alle linee guida ministeriali, ma dovrebbe trovare disciplina nel Codice, in modo da renderne nota l’entità in modo trasparente e stabile pur se soggetta a regolamento di delegificazione” (v. punto 84.2, lett. c).
Nelle more dell’adozione delle nuove Linee guida continueranno ad applicarsi, rispetto alla determinazione dei compensi, le Linee guida M.I.M.S. (art. 1, comma 6, ultimo periodo, All. V.2).
Altri elementi di novità si ricavano dalle previsioni che seguono.
L’art. 1, comma 5, ultimo periodo, dell’All. V.2 stabilisce che ai componenti del collegio consultivo tecnico non si applica l’art. 3 della l. n. 136/2010 in materia di tracciabilità dei flussi finanziari. Ciò significa che ai componenti dei Collegi non potrà più essere richiesta l’apertura di conti correnti appositamente dedicati (ancorché in via non esclusiva) all’incarico e che si dovrebbe poter procedere, previo assenso delle parti, alla chiusura dei conti correnti medio tempore già aperti in relazione ai CCT già costituiti.
È stato previsto, infine, che, in caso di sostituzione del componente dimissionario, il compenso spettante al sostituto “sarà pari alla parte fissa non ancora maturata dal componente dimissionario e alla parte variabile che dovesse maturare” (art. 5, comma 3, ultimo periodo, All. V.2).
In relazione a quest’ultimo aspetto, pur essendo vero che la questione non dovrebbe porsi pro futuro, vista la codificazione del principio di gradualità nell’erogazione dei compensi, una qualche indicazione di maggior dettaglio (specie se di carattere operativo) avrebbe potuto “orientare” la risoluzione delle problematiche connesse con la ripetizione delle somme spettanti al sostituto nell’ipotesi in cui la parte fissa del compenso sia stata corrisposta in un’unica soluzione e non a rate.

9. Lo scioglimento del collegio consultivo tecnico.

Ai sensi dell’art. 219, comma 1, del d.lgs. n. 36/2023, “Il collegio consultivo tecnico è sciolto al termine dell’esecuzione del contratto oppure, nelle ipotesi in cui non ne è obbligatoria la costituzione, anche in un momento anteriore su accordo delle parti”.
La disposizione in esame è stata innovata dal Correttivo con l’aggiunta del comma 1-bis.
In particolare, in base al precitato comma 1-bis, il contratto si considera eseguito alla data di sottoscrizione dell’atto di collaudo o di regolare esecuzione (n.d.r. certificato di collaudo o di regolare esecuzione), salvo che non sussistano riserve o altre richieste in merito al collaudo stesso; in quest’ultima ipotesi, il Collegio è sciolto con l’adozione della relativa pronuncia.
Deve presumersi, ragionando per analogia, che nel caso di servizi e forniture, il contratto si considererà eseguito al momento della sottoscrizione del certificato di verifica di conformità o di regolare esecuzione, salva la possibilità – trattandosi di un’ipotesi di costituzione facoltativa – di scioglimento anticipato del Collegio previo accordo delle parti.

10. La segreteria tecnico amministrativa.

Per i lavori di particolare complessità (da ricondursi presumibilmente agli appalti di lavori complessi, per come definiti dall’art. 2, lett. d), dell’All. I.1 al Codice) il Collegio si avvale (e non “può decidere di avvalersi, previa adeguata motivazione” in qualsiasi momento, come previsto dal previgente punto 4.4.1. delle Linee guida M.I.M.S.) di una segreteria tecnico amministrativa per le attività istruttorie e di supporto amministrativo, composta da uno o più componenti, scelti e nominati dal presidente (art. 8, comma 1, All. V.2).
L’art. 8 dell’All. V.2 non contiene alcun riferimento ai requisiti richiesti per la nomina a componente della segreteria tecnico amministrativa, né allude al possesso di specifiche competenze.
Ciononostante, è verosimile che i presidenti dei Collegi continuino a scegliere i componenti della segreteria tra persone di loro fiducia, in possesso di competenze adeguate all’incarico da assumere; al tempo stesso, è plausibile che i componenti della segreteria continueranno a rendere a verbale una dichiarazione che attesti, se non altro, l’insussistenza di cause di incompatibilità a loro carico.
Quanto al compenso, alla segreteria tecnico amministrativa è ora riconosciuto “un compenso in misura determinata dal 3 al 10 per cento del compenso spettante a ogni singolo componente del CCT” (art. 8, comma 2, primo periodo, All. V.2) e non più “un compenso fino ad un massimo del 20% dei compensi fissi e variabili di ciascun componente del CCT, a carico degli stessi componenti del CCT”, come previsto dal previgente punto 7.6.1. delle Linee guida M.I.M.S.
Il compenso, pur continuando a essere posto a carico dei componenti del CCT, verrà poi “liquidato direttamente a cura delle parti con le medesime modalità e tempistiche previste per i componenti del Collegio” (art. 8, comma 2, secondo periodo, All. V.2).

11. L’Osservatorio permanente.

Il Correttivo è intervenuto anche sulla disciplina dell’Osservatorio permanente, istituito presso il Consiglio superiore dei lavori pubblici, ridisegnando la disciplina dell’accesso agli atti detenuti dall’Osservatorio stesso.
Se le Linee guida M.I.M.S. stabilivano, al punto 8.1.3., che “L’Osservatorio garantisce l’accesso, da parte dei soggetti interessati ai sensi della legge n. 241/1990 e l’accesso civico ai sensi del decreto legislativo n. 33/2013, ai dati in proprio possesso”, l’art. 6, comma 3, dell’All. V.2 dispone che l’accesso agli attidetenuti dall’Osservatorio e dai Collegi è consentito “nei limiti di legge e salve le disposizioni del codice di procedura civile in relazione alle determinazioni dei collegi aventi natura di lodo contrattuale ai sensi dell’articolo 808-ter del medesimo codice di procedura civile, mediante istanza formulata alle stazioni appaltanti e agli enti concedenti in base agli articoli 35 e 36 del codice”.
La previsione in esame pare, a una prima lettura, foriera di criticità.
Da un lato, non è chiaro a cosa il Legislatore intenda riferirsi con l’inciso “salve le disposizioni del codice di procedura civile in relazione alle determinazioni dei collegi aventi natura di lodo contrattuale ai sensi dell’articolo 808-ter del medesimo codice di procedura civile”. Dall’altro, il rinvio all’art. 36 del d.lgs. n. 36/2023 pare erroneo, considerato che tale disposizione reca una disciplina c.d. “super speciale” e presuppone che l’accesso agli atti e ai documenti elencati in corrispondenza del comma 1 (n.d.r. offerta dell’operatore economico risultato aggiudicatario, verbali di gara, atti, dati e informazioni presupposti all’aggiudicazione) abbia luogo senza la presentazione di alcuna istanza.
Se ne desume che occorrerà, al più, riferirsi all’art. 35, comma 1, del Codice, a mente del quale le stazioni appaltanti e gli enti concedenti assicurano, in modalità digitale, l’accesso agli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici “ai sensi degli articoli 3-bis e 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241 e degli articoli 5 e 5-bis del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33”.
Nonostante ciò, residuano diversi interrogativi in relazione, a mero titolo esemplificativo: i) ai soggetti che assumono la veste di controinteressati ai sensi dell’art. 22, comma 1, lett. c), della l. n. 241/1990, considerato che gli atti detenuti dall’Osservatorio si riferiscono agli atti di costituzione e di scioglimento del Collegio e alle principali pronunce assunte; ii) ai rapporti tra le stazioni appaltanti e gli enti concedenti e l’Osservatorio, visto che è quest’ultimo il soggetto a cui i presidenti trasmettono i documenti richiamati in corrispondenza del punto i) che precede, essendo incaricato, ex lege, di “assicurare il monitoraggio dell’attività dei collegi consultivi tecnici” (art. 6, comma 1, All. V.2).

12. Brevi considerazioni finali.

L’intervento del Legislatore era atteso proprio per via delle incertezze interpretative che si erano riscontrate a livello applicativo.
Se la novella ha chiarito alcuni aspetti, altri sono rimasti irrisolti, altri sono destinati ad emergere con l’applicazione delle nuove norme e altri, ancora, affioreranno quando si assisterà all’emanazione delle nuove Linee guida ministeriali in tema di compensi.
Se l’obiettivo di fondo era il potenziamento dell’istituto, al momento non si riesce ad intravedere con nitidezza la ricaduta pratica delle novità introdotte, in special modo in assenza dell’attenuazione del principio della domanda di parte, che, anche nel sistema attuale, continua a “governare” l’attività dei collegi consultivi tecnici, persino nelle ipotesi di acquisizione obbligatoria anche solo del parere del CCT.

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Note

[1] La questione del ritardo nella costituzione del CCT è stata affrontata, con riferimento a un’ipotesi di ritardo imputabile alla stazione appaltante, anche nella delibera ANAC n. 231 dell’8 maggio 2024, con cui si è confermato “il ritardo intercorso nella costituzione del CCT (a tutt’oggi non formalizzata), non potendosi assumere quale elemento esimente il prospettarsi delle condizioni dichiarate dalla S.A. per addivenire ad un recesso contrattuale, con conseguente valutazione circa l’opportunità di «non procedere alla nomina dei propri componenti e alla individuazione del Presidente»”.
 
[2] Per questa ragione, il Consiglio di Stato aveva suggerito di inserire, alla fine del primo periodo, il seguente ulteriore periodo: “I componenti del collegio in quanto tali esercitano una funzione giustiziale di pubblico interesse e non sono perciò, sotto nessun profilo, qualificabili come operatori economici che prestano servizi a favore delle amministrazioni e degli enti aggiudicatori, né la costituzione del collegio e la scelta dei suoi componenti è riconducibile, in alcun modo, ad una selezione competitiva ad evidenza pubblica disciplinata dal presente Codice”.
[3] Relazione illustrativa allo “Schema definitivo di Codice dei contratti pubblici in attuazione dell’articolo 1 della legge 21 giugno 2022, n. 78, recante «Delega al Governo in materia di contratti pubblici»”, p. 251.
[4] Si veda al riguardo la delibera ANAC n. 22 del 22 gennaio 2025, nella parte in cui si afferma che “La previsione sembra quindi volta ad evitare situazioni nelle quali il coinvolgimento in precedenti fasi del ciclo dell’affidamento possa incidere sullo svolgimento in modo obiettivo dei compiti affidati al CCT, e cioè sulla risoluzione delle dispute emerse in fase esecutiva, che potrebbero astrattamente riguardare compiti o prestazioni svolti dal medesimo soggetto in precedenza. In particolare, può ritenersi che la ratio sia volta ad evitare che un soggetto che abbia svolto un ruolo determinante nella verifica della progettazione possa pronunciarsi su una disputa relativa alla progettazione stessa, eventualmente emersa in fase esecutiva. (…) appare necessario un approccio sostanzialistico nell’individuazione dei soggetti e dei compiti svolti in precedenza e che poi danno luogo al divieto, non tanto legato al formale conferimento di un incarico, quanto ad uno svolgimento effettivo delle attività di verifica della progettazione che poi precludono l’assunzione dell’incarico di membro del CCT. In sintesi, deve ritenersi che colui che abbia svolto un qualsiasi ruolo sostanzialmente incidente sull’attività di verifica della progettazione di un’opera non possa poi assumere l’incarico di componente del CCT del relativo contratto. La rilevanza del ruolo svolto non può che essere valutata in concreto, rispetto alle effettive attività svolte dal soggetto, ma in ogni caso con un approccio prudenziale connaturato alla ratio essendi delle incompatibilità che giocoforza mirano ad evitare il verificarsi di situazioni astrattamente incidenti sul bene giuridico tutelato, e cioè l’oggettività dei giudizi cui è chiamato il CCT. Ed appare evidente che se un soggetto abbia in precedenza contribuito a verificare un progetto non possa essere oggettivo nel valutare eventuali e successive dispute che dovessero sorgere sul medesimo progetto”.
[5] Specularmente, “Il soggetto che, avendo ricoperto l’incarico di componente o presidente del Collegio consultivo tecnico, sia nominato Consulente tecnico d’ufficio in un giudizio avente ad oggetto il medesimo affidamento, è tenuto a rifiutare l’incarico oppure ad astenersi ai sensi dell’articolo 192 c.p.c., ricorrendo l’ipotesi di cui all’articolo 51, comma 1, del medesimo codice” (così ANAC, 9 marzo 2021, delibera n. 206).
[6] Così Cons. Stato, parere n. 1463/2024, cit., sub punto 84.3, laddove si afferma che “tale prescrizione appare distonica rispetto alla funzione di carattere decisorio dell’organo e rischia di snaturarne la natura giustiziale”.
[7] Ai sensi dell’art. 6, comma 7-bis, del d.l. n. 76/2020, “In ogni caso, i compensi dei componenti del collegio consultivo tecnico, determinati ai sensi del comma 7, non possono complessivamente superare con riferimento all’intero collegio:
a) in caso di collegio consultivo tecnico composto da tre componenti:
1) l’importo pari allo 0,5 per cento del valore dell’appalto, per gli appalti di valore non superiore a 50 milioni di euro;
2) l’importo pari allo 0,25 per cento per la parte del valore dell’appalto eccedente 50 milioni di euro e fino a 100 milioni di euro;
3) l’importo pari allo 0,15 per cento per la parte del valore dell’appalto eccedente 100 milioni di euro e fino a 200 milioni di euro;
4) l’importo pari allo 0,10 per cento per la parte del valore dell’appalto eccedente 200 milioni di euro e fino a 500 milioni di euro;
5) l’importo pari allo 0,07 per cento per la parte del valore dell’appalto eccedente 500 milioni di euro;
b) in caso di collegio consultivo tecnico composto da cinque componenti:
1) l’importo pari allo 0,8 per cento del valore dell’appalto, per gli appalti di valore non superiore a 50 milioni di euro;
2) l’importo pari allo 0,4 per cento per la parte del valore dell’appalto eccedente 50 milioni di euro e fino a 100 milioni di euro;
3) l’importo pari allo 0,25 per cento per la parte del valore dell’appalto eccedente 100 milioni di euro e fino a 200 milioni di euro;
4) l’importo pari allo 0,15 per cento per la parte del valore dell’appalto eccedente 200 milioni di euro e fino a 500 milioni di euro;
5) l’importo pari allo 0,10 per cento per la parte del valore dell’appalto eccedente 500 milioni di euro”.

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