La comunicazione e l’informazione antimafia sono strumenti di natura cautelare e preventiva, volti a neutralizzare l’effetto distorsivo che la presenza e l’attività di operatori in rapporto di collegamento qualificato con il crimine organizzato può generare nei rapporti con la Pubblica amministrazione e nell’economia nazionale. Tali misure si inquadrano in una prospettiva di salvaguardia dell’ordine pubblico economico, della libera concorrenza tra le imprese e del buon andamento della pubblica amministrazione nonché di bilanciamento tra la tutela dei predetti valori e la libertà di iniziativa economica riconosciuta dall’art. 41 della Costituzione; si traducono pertanto in una particolare forma (normalmente, temporanea) di incapacità giuridica del soggetto (persona fisica o giuridica) che ne è destinatario ad essere titolare di rapporti con la Pubblica Amministrazione (Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 6 aprile 2018, n. 3). In particolare, lo strumento dell’interdittiva antimafia è modellato mediante l’utilizzo di tecniche di tutela anticipata basate su un catalogo di situazioni sintomatiche, aperto al costante aggiornamento indotto dalla pervasività e dalla mutevolezza del fenomeno criminale. Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, ai fini dell’adozione di un’interdittiva antimafia occorre individuare e indicare specifici elementi di fatto rivelatori di possibili connessioni o collegamenti con le organizzazioni criminali. La valutazione della sussistenza del pericolo di infiltrazione mafiosa non deve tuttavia raggiungere il livello di certezza probatoria “oltre ogni ragionevole dubbio” proprio dell’accertamento penalistico con finalità sanzionatoria ma, nella logica di una tutela avanzata e anticipata nel contrasto alle attività della criminalità organizzata, deve basarsi su un ragionamento induttivo, di tipo probabilistico, volto alla formulazione di una prognosi assistita da un attendibile grado di verosimiglianza, secondo la logica del “più probabile che non”, in grado di desumere da elementi sintomatici e indiziari il tentativo di ingerenza della criminalità organizzata nell’attività imprenditoriale (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, 6 giugno 2022, n. 4616). Infatti, il principio del “più probabile che non” deve essere riferito “al principio della c.d. probabilità cruciale”, secondo cui il provvedimento di prevenzione può essere adottato quando l’ipotesi dell’infiltrazione mafiosa deve ritenersi più probabile rispetto a “tutte le altre ipotesi messe insieme”, quando cioè presenta una soglia di significatività tale da essere superiore a qualunque altra spiegazione logica, laddove l’esistenza di spiegazioni divergenti fornite da qualche elemento concreto, implicherebbe un ragionevole dubbio” (Consiglio di Stato, sez. III, 11 maggio 2020, n. 2962, 5 settembre 2019 n. 6105 e 26 settembre 2017, n. 4483).
Il diritto amministrativo della prevenzione antimafia non sanziona perciò fatti penalmente rilevanti né reprime condotte illecite, ma mira a scongiurare una minaccia per l’ordine pubblico economico ovvero l’infiltrazione mafiosa nell’attività imprenditoriale e la probabilità che siffatto “evento” si realizzi.
Il pericolo dell’infiltrazione mafiosa, quale emerge dalla legislazione antimafia, non può tuttavia sostanziarsi in un sospetto della pubblica amministrazione ma deve ancorarsi a condotte sintomatiche e fondarsi su una serie di elementi fattuali, taluni dei quali tipizzati dal legislatore (art. 84, comma 4, del d. lgs. n. 159 del 2011: si pensi, per tutti, ai cc.dd. delitti spia), mentre altri, “a condotta libera”, sono lasciati al prudente e motivato apprezzamento discrezionale dell’autorità amministrativa, che può desumere il tentativo di infiltrazione mafiosa, ai sensi dell’art. 91, comma 6, del d.lgs. n. 159 del 2011, da provvedimenti di condanna non definitiva per reati strumentali all’attività delle organizzazioni criminali, unitamente a concreti elementi da cui risulti che l’attività di impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose o esserne in qualche modo condizionata (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, 5 settembre 2019, n. 6105).
Inoltre, la valutazione di tali elementi non deve essere effettuata in modo atomistico, ma complessivo, in quanto un solo elemento in sé potrebbe non assumere sufficiente significatività e non superare il limite della probabilità cruciale ma, preso in considerazione nel complesso degli altri elementi mediante una valutazione prognostica di tipo globale, può completare, a fini probabilistici, la valutazione condotta dall’Autorità amministrativa.
Gli elementi raccolti, quindi, non vanno considerati separatamente, dovendosi piuttosto stabilire se sia configurabile un quadro indiziario complessivo, dal quale possa ritenersi attendibile l’esistenza di un condizionamento da parte della criminalità organizzata (Consiglio di Stato, sez. III, 13 aprile 2018, n. 2231, Consiglio di Stato, sez. III, 18 aprile 2018, n. 2343; 30 marzo 2018, n. 2031;7 febbraio 2018, n. 820; 20 dicembre 2017, n. 5978; 12 settembre 2017, n. 4295). La giurisprudenza amministrativa ha, infatti, progressivamente definito un nucleo oramai consolidato di situazioni-tipo, sintomatiche ed indiziarie della ricorrenza del pericolo di infiltrazione mafiosa, e in grado di sviluppare e completare il dettato legislativo, secondo un criterio di “tassatività sostanziale”. Gli elementi da valutare a tal fine, nell’esercizio del potere discrezionale che la legge attribuisce all’Autorità prefettizia, sono costituiti non solo dai provvedimenti “sfavorevoli” del giudice penale, ma anche dalle sentenze di proscioglimento o di assoluzione (da cui emergano valutazioni del giudice su fatti che, pur non superando la soglia della punibilità penale, sono però sintomatici della contaminazione mafiosa), dalla proposta o dal provvedimento di applicazione di taluna delle misure di prevenzione previste dallo stesso d.lgs. n. 159 del 2011, dai rapporti di parentela (laddove assumano una intensità tale da far ritenere una conduzione familiare e una “regia collettiva” dell’impresa, nel quadro di usuali metodi mafiosi fondati sulla regia “clanica”), dai contatti o dai rapporti di frequentazione, conoscenza, colleganza, amicizia, da vicende anomale nella formale struttura dell’impresa e nella sua gestione (incluse le situazioni in cui la società compie attività di strumentale pubblico sostegno a iniziative, campagne antimafia, antiusura, antiriciclaggio, allo scopo di mostrare un “volto di legalità” idoneo a stornare sospetti o elementi sostanziosi sintomatici della contaminazione mafiosa), dalla condivisione di un sistema di illegalità, volto ad ottenere i relativi “benefici”.
Come già chiarito (Consiglio di Stato, Sez. III, 3 maggio 2016, n. 1743), la motivazione del provvedimento prefettizio deve indicare i concreti elementi di fatto e le ragioni in base alle quali gli elementi emersi nel corso del procedimento, da valutare nella loro globalità, ancorché risalenti nel tempo, siano tali da indurre alla perdita di fiducia nei confronti dell’imprenditore.
L’Autorità amministrativa deve esternare “compiutamente le ragioni della propria valutazione nel provvedimento amministrativo, e verificare che gli elementi fattuali, anche quando “tipizzati” dal legislatore, non vengano assunti acriticamente a sostegno del provvedimento interdittivo, ma siano dotati di individualità, concretezza ed attualità, per fondare secondo un corretto canone di inferenza logica la prognosi di permeabilità mafiosa … Il giudice amministrativo è, a sua volta, chiamato a valutare la gravità del quadro indiziario, posto a base della valutazione prefettizia in ordine al pericolo di infiltrazione mafiosa, e il suo sindacato sull’esercizio del potere prefettizio, con un pieno accesso ai fatti rivelatori del pericolo, consente non solo di sindacare l’esistenza o meno di questi fatti, che devono essere gravi, precisi e concordanti, ma di apprezzare la ragionevolezza e la proporzionalità della prognosi inferenziale che l’autorità amministrativa trae da quei fatti secondo un criterio che, necessariamente, è probabilistico per la natura preventiva, e non sanzionatoria, della misura in esame” (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, 5 settembre 2019, n. 6105).
In particolare, “il sindacato giurisdizionale sull’atto adottato dal Prefetto … è pieno ed effettivo, in termini di full jurisdiction … perché non solo investe, sul piano della c.d. tassatività sostanziale, l’esistenza di fatti indicatori di eventuale infiltrazione mafiosa, posti dall’autorità prefettizia a base del provvedimento interdittivo, ma sindaca anche, sul piano della c.d. tassatività processuale, la prognosi inferenziale circa la permeabilità mafiosa dell’impresa” (Consiglio di Stato, Sez. III, 10 agosto 2020, n. 4979).
Tali principi giurisprudenziali hanno ricevuto l’avallo della Corte Costituzionale.
L’impianto normativo delle interdittive antimafia è conforme alla Costituzione (artt. 3 e 41), proprio in quanto, in base alla giurisprudenza del giudice amministrativo, da un lato, il potere discrezionale dell’autorità pubblica deve essere esercitato in base ad una “attenta valutazione” degli elementi sintomatici del pericolo di infiltrazione mafiosa ed il provvedimento interdittivo deve essere sorretto da una “motivazione accurata” e, dall’altro, tali valutazioni sono sottoposte ad un “vaglio giurisdizionale pieno ed effettivo”, non limitato “ad un controllo estrinseco”, ma esteso “ad un esame sostanziale degli elementi raccolti dal prefetto, verificandone la consistenza e la coerenza” (Corte Costituzionale, 26 marzo 2020, n. 57).
In ogni caso, come da ultimo ribadito da Consiglio di Stato, sez. III, 5 marzo 2024, n. 2179, “[il] sindacato giurisdizionale logicamente esercitabile sull’ampia discrezionalità di apprezzamento riservata al Prefetto nell’adozione dell’interdittiva antimafia, … pur pieno e profondo, non può spingersi fino a sostituire alle non illogiche deduzioni e valutazioni della competente Autorità amministrativa quelle dell’organo giudicante (Corte cost., sentenze 27 febbraio 2019 e n. 24, 24 luglio 2019, n. 195; Cons. Stato, sez. III, sentenze del 3 maggio 2016, n. 1743, 4 maggio 2018, n. 2655, 5 settembre 2019, n. 6105, 24 aprile 2020, n. 2651, 23 dicembre 2022, n. 11265, 18 luglio 2023, n. 7052, 17 ottobre 2023, n. 9016, 30 ottobre 2023, n. 9329, nonché, della Sez. I, parere n. 487/2023 del 20 marzo 2023)”.
Con riferimento allo specifico profilo relativo alla risalenza degli elementi indiziari, la giurisprudenza ha precisato che l’interdittiva antimafia può essere legittimamente fondata anche su fatti che sono risalenti nel tempo, purché dall’analisi complessiva delle vicende esaminate emerga, comunque, un quadro indiziario che sia idoneo a giustificare il necessario giudizio di attualità e di concretezza del pericolo di infiltrazione mafiosa (Consiglio di Stato, Sez. III, 10 aprile 2024, n. 3263, Consiglio di Stato, Sez. III, 15 aprile 2024, n. 3391); infatti “la motivazione del provvedimento prefettizio deve indicare i concreti elementi di fatto e le ragioni in base alle quali gli elementi emersi nel corso del procedimento, da valutare nella loro globalità, ancorché risalenti nel tempo, siano tali da indurre a concludere in ordine alla perdita di fiducia nei confronti dell’imprenditore” (cfr. TAR Campania – Salerno, 23 giugno 2023, n. 1526).
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Diritto processuale amministrativo – Contenzioso appalti – Informazione interdittiva antimafia – Sindacato giurisdizionale sull’atto adottato dal Prefetto – Sindacato pieno ed effettivo – Full jurisdiction – C.d. tassatività sostanziale – C.d. tassatività processuale
TAR Campania Salerno sez. I 31 dicembre 2024 n. 2657
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