Tar Puglia – Lecce, sez. II, 15 marzo 2024, n. 386/2024
“(…) Le cause di esclusione individuate dal Codice degli Appalti – in particolare agli artt. 94 e 95 – “integrano di diritto i bandi e le lettere di invito” (art. 10, 2° comma, D. Lgs. n. 36/2023); esse rispondono ad un interesse pubblico primario e, quindi, la loro operatività non può essere lasciata alle scelte discrezionali delle singole stazioni appaltanti.
(…) Nel nuovo codice degli appalti, il principio di tassatività delle cause di esclusione comporta la nullità delle clausole che prevedano cause ulteriori di esclusione, con la conseguenza che simili clausole si considerano non apposte (…)”.
Indice
Il caso di specie
La presente controversia trae origine dalla procedura aperta indetta per l’affidamento dell’appalto integrato avente ad oggetto i “servizi tecnici di progettazione esecutiva e lavori di infrastrutture per la Riqualificazione del Trasporto Pubblico Urbano (…)” nel Comune di Taranto.
Un operatore economico adiva il Giudice amministrativo chiedendo l’annullamento del provvedimento di esclusione adottato dalla Stazione Appaltante nei suoi confronti, ai sensi dell’art. 7 legge n. 241/1990, degli ulteriori atti e dei verbali anche istruttori, nonché di ogni altro atto, provvedimento e verbale di gara relativo alla ammissione o esclusione dei concorrenti.
L’esclusione del concorrente era stata disposta dalla Stazione Appaltante in ragione del presunto mancato possesso dei requisiti tecnico-professionali richiesti dal bando, in particolare per la categoria OG3 (opere stradali e relative opere complementari) e le categorie scorporabili OG9, OG10, OG11, OS1, OS9, OS10, OS17, OS24, OS27.
In via principale, il ricorrente sosteneva che la stazione appaltante avrebbe mal interpretato l’articolo 2, comma 5, dell’Allegato II.12 del D.Lgs. n. 36/2023, il quale disponeva che, ai fini della qualificazione SOA, l’importo della classifica VIII (illimitato), era convenzionalmente fissato a € 20.658.000.
In aggiunta, il predetto affermava di essere pienamente qualificato per partecipare alla procedura d’appalto, in proprio e come capogruppo mandatario di un Raggruppamento Temporaneo di Imprese (RTI) essendo in possesso della qualificazione SOA per la categoria OG3, Classifica VIII e avendo allegato la prescritta cifra di affari, prevista quale requisito ulteriore per concorrere per appalti di importo superiore a € 20.658.000,00.
In particolare, nella ricostruzione della società ricorrente, tale certificazione, secondo la normativa di riferimento, conferiva titolo per partecipare alla gara senza la necessità di frazionare l’importo tra i componenti del RTI o di formare un’associazione temporanea di imprese per coprire i requisiti di qualificazione.
Secondo il ricorrente, il possesso della SOA in OG3 per la Classifica VIII, unita a quella dell’altro partecipante al RTI, avrebbe soddisfatto in pieno i requisiti di qualificazione richiesti per l’intero appalto. Per questo motivo, richiedeva l’annullamento delle clausole del bando di gara, erroneamente interpretate dalla stazione appaltante nel senso di richiedere una diversa ripartizione delle qualificazioni tra i membri del RTI.
In via subordinata, lo stesso proponeva di sanare eventuali carenze di qualificazione mediante una rimodulazione delle quote di partecipazione al RTI, ai sensi dell’art. 97, comma 2, del D. Lgs. n. 36/2023[1], sostenendo di poter colmare eventuali lacune sfruttando il surplus di qualificazione posseduto nella categoria prevalente OG3 e la qualificazione del mandante in altre categorie (OS10 e OS24).
Pertanto, il ricorrente chiedeva l’annullamento degli atti impugnati e delle clausole del bando e del disciplinare relative alla qualificazione e dimostrazione dei requisiti per i raggruppamenti temporanei di imprese, laddove interpretate nel senso di imporre ingiustificate restrizioni in capo al RTI.
Con motivi aggiunti depositati in data 28 dicembre 2023, la parte ricorrente impugnava altresì il provvedimento finale con il quale la Stazione Appaltante aggiudicava la gara in favore di un altro operatore economico sostenendone l’illegittimità per le stesse motivazioni già esposte nel ricorso introduttivo.
Il Comune di Taranto e la società controinteressata si costituivano in giudizio chiedendo il rigetto del ricorso per irricevibilità, inammissibilità e infondatezza nel merito.
Il giudizio di primo grado
In via preliminare, il Tribunale, accogliendo l’eccezione sollevata dalla Difesa erariale, dichiarava il difetto di legittimazione passiva delle Amministrazioni statali chiamate in giudizio, ad eccezione del Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità sostenibili, in quanto unica amministrazione competente per l’intervento e, dunque, parte necessaria del giudizio ai sensi dell’art. 12-bis del D.L. n. 68/2022.
Sempre in via preliminare, il g.a. rigettava l’eccezione di tardività e inammissibilità del ricorso sollevata dalla difesa del Comune e dalla controinteressata, per la mancata tempestiva impugnazione delle clausole del bando che disciplinano il requisito di partecipazione (nella specie, il paragrafo 3.3 e 9.2 del disciplinare). A riguardo, avendo la ricorrente partecipato alla procedura de qua nella forma di RTI – in cui entrambe le società raggruppate possedevano la categoria OG3 illimitata – secondo il Tribunale, la lesività delle previsioni della lex specialis si sarebbe manifestata solo a seguito del provvedimento di esclusione, in quanto soltanto in tale momento sarebbe stata effettivamente conoscibile dall’operatore economico la circostanza che la categoria OG3 non poteva intendersi illimitata, alla stregua della lettura delle disposizioni di gara operata dalla stazione appaltante.
L’interpretazione data dalla Stazione appaltante, secondo cui tale requisito poteva essere soddisfatto solo in RTI, in base al valore convenzionale attribuito alla categoria OG3 Classifica VIII, sarebbe stata smentita dagli stessi atti di gara, che permettevano la partecipazione anche di concorrenti singoli alla procedura, in conformità con i principi di favor partecipationis e di accesso al mercato, oltre che alla normativa vigente. In tal senso, il par. 5 del disciplinare, rubricato “Soggetti ammessi in forma singola o associata”, consentiva la partecipazione di tutti gli operatori economici di cui all’art. 65 del Codice, inclusi i concorrenti singoli.
Esaurite le questioni preliminari, il Collegio procedeva all’esame del merito.
La censura con cui la ricorrente deduceva che la classifica illimitata VIII avrebbe ricoperto qualsiasi importo di lavori, purché accompagnata dal requisito aggiuntivo della cifra d’affari richiesto per appalti di importo superiore a € 20.658.000,00, veniva ritenuta fondata.
Le disposizioni dell’Allegato II.12 del D. Lgs. n. 36/2023, a parere del Giudice, confermavano, infatti, come la classifica illimitata VIII fosse idonea a qualificare un concorrente per qualsiasi importo di lavori, purché accompagnata dalla cifra d’affari richiesta (requisito che la ricorrente ha dichiarato di possedere).
Nello specifico, i commi 5 e 6 dell’art. 2 del citato Allegato, stabilivano quanto segue: “L’importo della classifica VIII (illimitato), ai fini del rispetto dei requisiti di qualificazione, è convenzionalmente fissato a euro 20.658.000”; “Per gli appalti di importo a base di gara superiore a euro 20.658.000, l’operatore economico, oltre alla qualificazione conseguita nella classifica VIII, deve aver realizzato, nel quinquennio antecedente la data di pubblicazione del bando, una cifra di affari, ottenuta con lavori svolti mediante attività diretta e indiretta, non inferiore a 2,5 volte l’importo a base di gara; il requisito è comprovato secondo quanto previsto all’articolo 18, commi 7 e 8, ed è soggetto a verifica da parte delle stazioni appaltanti”.
Una piana lettura di queste disposizioni, nella ricostruzione del g.a., avrebbe reso evidente come, per lavori esorbitanti il limite convenzionale di qualificazione, il concorrente dovesse possedere, oltre alla qualificazione di classifica VIII, l’ulteriore requisito della cifra d’affari, accumulata nell’ultimo quinquennio, come richiesto dalla Stazione appaltante nel par. 9.2 del Disciplinare.
Pertanto, il Collegio riteneva che l’importo di € 20.658.000 costituisse un valore fissato per legge, e che per importi superiori fosse necessario e sufficiente possedere anche il requisito della cifra d’affari.
Del resto, in tal senso deponeva anche la recente giurisprudenza del Consiglio di Stato[2] secondo cui la “cifra d’affari” rappresenterebbe un “requisito aggiuntivo di partecipazione” richiesto per le gare di elevato importo, evidenziando altresì che il valore convenzionale della SOA con classifica illimitata sarebbe rilevante anche per l’applicazione del quinto premiale nelle categorie scorporabili del c.d. “subappalto qualificante“.
Ragionando diversamente, secondo il Tribunale, non si sarebbe compreso il motivo per cui la classifica VIII venisse definita dal legislatore come “classifica a portata qualificatoria illimitata“. Dunque, essendo la classifica VIII il livello più alto nel sistema di qualificazione (che va dalla classifica I alla VIII), l’importo ad essa attribuito non avrebbe limitato la portata qualificatoria, né avrebbe rappresentato un vincolo alla capacità dell’operatore economico, ma avrebbe dovuto costituire una soglia oltre la quale le stazioni appaltanti dovevano prevedere – nella lex specialis – l’ulteriore requisito della cifra d’affari.
Difatti, nel caso in cui le disposizioni fossero state interpretate come proposto dalla stazione appaltante (ossia limitando sempre la SOA di categoria illimitata al valore convenzionale di € 20.658.000,00 – incrementato del quinto, fino a € 24.789.600,00 -), le clausole del bando sarebbero risultate nulle sia per violazione delle norme sul sistema di qualificazione dei lavori pubblici, dei principi del risultato e accesso al mercato (artt. 1 e 3 c.c.p.), sia per contrarietà all’art. 68 c. 11 d.lgs. 36/2023, e agli artt. 19 e 58 della Direttiva 2014/24 (poiché imponendo un RTI con classifiche OG3 per la VIII e VII categoria, sarebbe stato violato il divieto di imporre requisiti minimi e di forme obbligatorie di raggruppamento), nonché per contrasto con il principio di tassatività delle cause di esclusione (art. 10 d.lgs. n. 36/2023).
Conclusivamente, per le ragioni esposte, il Tar Puglia accoglieva il ricorso – per come integrato da motivi aggiunti – “per l’evidente pregiudizialità logico giuridica del motivo di gravami esaminato in via prioritaria”.
Brevi profili ricostruttivi
Sono molteplici gli aspetti di interesse affrontati nella sentenza in parola.
Anzitutto occorre rilevare che le cause di esclusione previste dal nuovo Codice degli Appalti, in particolare agli artt. 94 e 95, “integrano di diritto i bandi e le lettere di invito” (art. 10, comma 2, D. Lgs. n. 36/2023), e rispondono a un interesse pubblico primario, pertanto, la loro applicazione non può essere rimessa alla discrezionalità delle singole stazioni appaltanti.
Tale disposizione è figlia del consolidato orientamento amministrativo secondo il quale l’eterointegrazione della lex specialis può operare solo in presenza di norme settoriali a carattere imperativo (ex multis, Cons. Stato, Sez. V, 28 agosto 2019, n. 5922; T.A.R. Piemonte, I, 29 luglio 2022, n. 702.).
In virtù del principio di tassatività ex art. 10 d.lgs 36/2023, le clausole del disciplinare che prevedono cause di esclusione aggiuntive rispetto a quelle normativamente previste, sono da considerarsi nulle e, quindi, non apposte. Si badi bene: tale nullità si circoscrive a eventuali clausole introduttive di inediti requisiti di partecipazione a pena di esclusione, senza estendersi all’intero provvedimento.
Del resto, in tempi non troppo lontani è stata la stessa Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato[3] ad aver codificato una nullità parziale che non si estende all’intero provvedimento, ma che sia limitata alle clausole non conformi.
Dal combinato disposto dall’art. 100 comma 12 e dall’art. 10 comma 2 d.lgs. 36/2023, la normativa sui requisiti di qualificazione deve considerarsi inderogabile, potendo le stazioni appaltanti richiedere “esclusivamente i requisiti di partecipazione previsti” dal medesimo art. 100.
Se, dunque, è vero che lo stesso Codice prevede margini di discrezionalità in capo all’Amministrazione, consentendole di introdurre requisiti speciali, economico-finanziari e tecnico-professionali (art. 10 comma 3 e art. 103), si tratta di una discrezionalità i cui confini possono ben essere limitati rispetto all’interesse pubblico principale, nonché al principio del risultato. A conferma di ciò, la sentenza in esame richiama il criterio di ragionevolezza e proporzionalità, statuendo che i requisiti tecnico-economici di partecipazione devono essere valutati in modo ragionevole, onde evitare soluzioni eccessivamente restrittive o anticoncorrenziali.
Nel caso di specie, il comma 4 dell’art. 100 espressamente dispone che “il sistema di qualificazione per gli esecutori di lavori pubblici, articolato in rapporto alle categorie di opere e agli importi, è disciplinato dall’allegato II.12” e che “il possesso di attestazione di qualificazione in categorie e classifiche adeguate rappresenta condizione necessaria e sufficiente per dimostrare i requisiti di partecipazione e per eseguire l’appalto“.
La soluzione prospettata dal giudice nella sentenza in parola risulta coerente con i criteri interpretativi del favor partecipationis, in base ai quali, in caso di clausole ambigue con portata escludente, occorre privilegiare l’interpretazione che favorisce la massima partecipazione.
Brevi considerazioni conclusive
La sentenza del TAR Puglia, sez. II, n. 386/2024 del 15 marzo 2024, si sofferma sui requisiti di partecipazione nelle gare d’appalto pubbliche, con particolare riferimento ai criteri di capacità economico-finanziaria e tecnico-professionale.
Nello specifico, sulla scorta dell’articolo 100 d.lgs. n. 36/2023 in materia di qualificazione degli esecutori di lavori pubblici, il Tribunale ha chiarito che le stazioni appaltanti non hanno discrezionalità nel definire requisiti di partecipazione diversi da quelli stabiliti dalla legge.
Ed infatti, la predetta disposizione stabilisce che le stazioni appaltanti possono richiedere esclusivamente i requisiti indicati dal Codice, evitando di introdurre criteri aggiuntivi che possono restringere arbitrariamente la partecipazione dei potenziali concorrenti.
In sostanza, l’amministrazione non può imporre criteri di esclusione ulteriori rispetto a quelli previsti dalla legge, se non in casi eccezionali espressamente previsti.
Oltre a quanto sopra riportato, la sentenza in esame assume rilevanza non solo nel quadro giurisprudenziale italiano, ma anche in quello comunitario, inserendosi nel solco del principio interpretativo secondo cui i requisiti di partecipazione alle gare devono essere applicati in un’ottica di favor partecipationis, privilegiando soluzioni che consentono una più ampia partecipazione possibile, evitando esclusioni ingiustificate degli operatori economici e garantendo una concorrenza equa tra i partecipanti.
La decisione, pertanto, ribadisce e delinea i confini della discrezionalità delle stazioni appaltanti al momento della previsione dei requisiti di partecipazione alle gare, in un’ottica cautelativa della par condicio tra i concorrenti e dell’equilibrio tra interesse pubblico e concorrenza leale tra gli operatori economici.
Note
[1] Tale norma consente, infatti, la modifica della composizione del raggruppamento in caso di difetto dei requisiti di qualificazione.
[2] Cfr. sentenza del Consiglio di Stato, Sez. V, del 3 gennaio 2023, n. 91, la quale, riferendosi alla disciplina contenuta nel precedente art. 61, comma 2, del d.P.R. n. 207/2010, ha affermato:
– che l’indicazione convenzionale dell’importo di € 20.658.000, “per una qualificazione SOA che in astratto dovrebbe consentire di eseguire lavori senza limiti di importo […] porta a ritenere che anche chi si trovi in questa condizione – per non subire un trattamento deteriore rispetto agli altri operatori con classifica inferiore – debba poter accedere all’incremento premiale della propria classifica e acquisire in questo modo una più ampia qualificazione”;
– che «irrilevante… appare, ai fini della soluzione della questione posta, la previsione contenuta nell’ultimo comma dell’art. 61 cit. [ora riproposta nell’Allegato II.12 cit. – N.d.R.] secondo cui “Per gli appalti di importo a base di gara superiore a euro 20.658.000, l’impresa, oltre alla qualificazione conseguita nella classifica VIII, deve aver realizzato, nel quinquennio antecedente la data di pubblicazione del bando, una cifra di affari, ottenuta con lavori svolti mediante attività diretta ed indiretta, non inferiore a 2,5 volte l’importo a base di gara…”; si tratta, infatti, di un ulteriore requisito di partecipazione imposto per le gare di rilevante importo, non incompatibile con quanto precedentemente affermato relativamente alla possibilità di incrementare di un quinto anche la qualificazione SOA con classifica illimitata».
[3] V. sentenza del 16 ottobre 2020, n. 22.
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