Per il TAR Lazio (TAR Lazio, sez. IV, 1.7.2024 n. 13225) la dilazione temporale del termine per l’impugnazione dell’aggiudicazione a seguito di tempestivo accesso agli atti non opera per le procedure soggette al Codice del 2023[1].
Con la conseguenza che è inammissibile il ricorso avverso l’impugnazione proposto oltre il termine di trenta giorni laddove il concorrente abbia presentato istanza di accesso agli atti riscontrata dall’Amministrazione prima della scadenza.
Indice
L’art. 76 del Codice Appalti del 2016.
L’art. 76 del Codice Appalti del 2016 prevedeva l’obbligo per l’Amministrazione, a seguito di richiesta del concorrente entro il termine di quindici giorni, di fornire all’offerente o al candidato le informazioni relative alle ragioni della sua esclusione, le ragioni dell’aggiudicazione ad altro concorrente e le eventuali comunicazioni intercorse con gli altri concorrenti.
Art. 76 c. 2 d.lgs. 50/2016: Su richiesta scritta dell’offerente e del candidato interessato, l’amministrazione aggiudicatrice comunica immediatamente e comunque entro quindici giorni dalla ricezione della richiesta: a) ad ogni offerente escluso, i motivi del rigetto della sua offerta, inclusi, per i casi di cui all’articolo 68, commi 7 e 8, i motivi della decisione di non equivalenza o della decisione secondo cui i lavori, le forniture o i servizi non sono conformi alle prestazioni o ai requisiti funzionali; a-bis) ad ogni candidato escluso, i motivi del rigetto della sua domanda di partecipazione; b) ad ogni offerente che abbia presentato un’offerta ammessa in gara e valutata, le caratteristiche e i vantaggi dell’offerta selezionata e il nome dell’offerente cui è stato aggiudicato l’appalto o delle parti dell’accordo quadro; c) ad ogni offerente che abbia presentato un’offerta ammessa in gara e valutata, lo svolgimento e l’andamento delle negoziazioni e del dialogo con gli offerenti.
Nell’interpretare tale disposizione, parte della giurisprudenza amministrativa aveva affermato l’operatività di un meccanismo di dilazione temporale del termine di impugnazione pari a quindici giorni.
Sinteticamente, e senza pretese di esaustività, si era affermato che il termine di impugnazione subisse una dilazione temporale (un aumento del termine ordinario) pari a quindici giorni nel caso di presentazione di istanza di accesso agli atti da parte del concorrente per gli atti previsti dall’art. 76 del Codice del 2016 non comunicati di impulso proprio dalla Stazione Appaltante[2], seppur alcune pronunce avessero invece affermato un meccanismo di sospensione del termine di impugnazione per il periodo decorrente dal momento di presentazione dell’istanza sino all’ostensione degli atti[3]. I due orientamenti probabilmente erano legati ad una diversa funzione: il primo riteneva necessario garantire un termine aggiuntivo al concorrente per valutare la documentazione ostesa, mentre il secondo intendeva evitare manovre dilatorie del concorrente che avrebbe altrimenti potuto attendere sino all’ultimo giorno utile per la proposizione dell’istanza salvo poi godere di un meccanismo aggiuntivo del termine di impugnazione.
Questa interpretazione veniva fondata (ed è l’elemento di maggiore rilievo) non solo sulla base del disposto della normativa nazionale, ma anche sulla base della giurisprudenza eurounitaria[4] che aveva segnalato come obbligare il concorrente a proporre ricorso per motivi aggiunti, per poi integrarlo a seguito di accesso agli atti, per garantire il rispetto del termine ordinario di impugnazione non costituisce valida attuazione del principio di tutela giurisdizionale effettiva[5].
Sul punto era intervenuta nel 2020 l’Adunanza Plenaria, che con sentenza n. 12 aveva riconosciuto la piena legittimità del meccanismo di dilazione temporale e l’assenza di un onere di preventiva proposizione di un ricorso <<al buio>>, affermando l’operatività del meccanismo di dilazione temporale per una durata pari a quindici giorni, con l’unica eccezione costituita dall’ipotesi di rifiuti di accesso o adozione di comportamenti dilatori da parte dell’Amministrazione[6].
Nonostante tale intervento, si erano formati contrasti giurisprudenziali sull’operatività del meccanismo. In particolare:
a) Un primo orientamento sosteneva che il ricorso andasse presentato, anche nel caso di proposizione di istanza di accesso agli atti, entro quarantacinque dalla comunicazione di aggiudicazione, al fine di evitare che il concorrente potesse dilatare il termine di impugnazione tardando la presentazione dell’istanza[7];
b) Per un secondo orientamento invece il concorrente disponeva di un termine di quindici giorni per proporre l’istanza di accesso e, dal momento dell’ostensione degli atti da parte dell’Amministrazione (che doveva avvenire entro quindi giorni dal momento della presentazione dell’istanza) disponeva del termine ordinario di trenta giorni per l’impugnazione degli atti fondata sugli elementi così conosciuti, e ciò anche sulla base di un’interpretazione costituzionalmente orientata[8];
c) Per un terzo orientamento occorreva invece sottrarre al termine di impugnazione i giorni decorsi dalla comunicazione dell’aggiudicazione e la presentazione dell’istanza di accesso agli atti e aggiungere invece i giorni di ritardo dell’Amministrazione nell’ostenderla[9].
Nonostante l’esistenza del contrasto anche interno al Consiglio di Stato non vi era stato un ulteriore intervento dell’Adunanza Plenaria.
Gli articoli 35 e 36 del Codice del 2023 e l’interpretazione del TAR.
Come si è visto, il meccanismo di dilazione temporale del termine di impugnazione del ricorso era fondato (anche, ma non solo) sul disposto dell’art. 76 del Codice che prevedeva un termine entro cui la Stazione Appaltante dovesse ostendere a richiesta del privato alcuni documenti.
In particolare, l’art. 36 del Codice prevede degli specifici obblighi in capo alla Stazione Appaltante, consistenti in:
– Onere di messa a disposizione, al momento della comunicazione dell’aggiudicazione, dell’offerta dell’aggiudicatario, dei verbali di gara e di tutte le informazioni e i documenti sottesi alla decisione;
– Onere di messa a disposizione delle prime cinque offerte classificate ai primi cinque concorrenti;
– Termini processuali ridotti per la contestazione delle decisioni delle Stazioni Appaltanti sull’oscuramento delle offerte;
– Sanzioni pecuniarie nel caso di plurime richieste, rigettate, di secretazione delle offerte.
L’art. 35 del Codice, al comma 1, prevede un obbligo di garantire l’accesso agli atti con modalità informatica.
Sulla base di tale norma la sentenza in commento afferma sic et simpliciter l’impossibilità di affermare la perduranza dell’operatività del meccanismo di dilazione temporale, e ciò in quanto il legislatore non ha riproposto la previsione dell’art. 76 c. 2 del Codice[10].
Pertanto, anche nel caso di proposizione di istanza di accesso agli atti, il concorrente è comunque tenuto a proporre il ricorso entro trenta giorni dalla comunicazione di aggiudicazione di cui all’art. 90 del Codice Appalti del 2023[11].
Conclusioni.
La sentenza, come si è visto, si fonda su una motivazione molto riduttiva: non essendo più il disposto dell’art. 76 c. 2 del Codice del 2016 presente nel Codice del 2023, non è più neanche presente il meccanismo di dilazione temporale del termine di impugnazione.
Interpretazione che appare eccessivamente semplificata, dato che il meccanismo di dilazione temporale non trova fonte tanto nell’art. 76 c. 2, quanto invece nella giurisprudenza eurounitaria e della Corte Costituzionale.
Invero, sembra invece deporre nel senso di una abrogazione del meccanismo di dilazione temporale il disposto dell’art 36 c. 9 del Codice del 2023, per il quale l’aggiudicazione e le decisioni sull’ammissione e sulla valutazione delle offerte anche dei soggetti non aggiudicatari vanno impugnate con decorrenza dalla comunicazione dell’art. 90. L’inciso <<decorre comunque>> sembra prospettare una volontà del legislatore di prevedere l’applicabilità del termine ordinario indipendentemente da ogni circostanza, e quindi indipendentemente dall’esito dell’istanza di accesso.
Previsione questa però che non può che essere sospetta di incostituzionalità per violazione dell’art. 24 e dell’art. 117 quale parametro interposto per le ragioni in precedenza esposte, determinando (nuovamente) un obbligo di proposizione di un ricorso al buio con successivo ricorso per motivi aggiunti, con conseguente aggravio processuale e rischio per il concorrente di dover presentare un ricorso (quello al buio) solo per poter mantenere un diritto di impugnazione al quale potrebbe non avere interesse sulla base degli esiti delle analisi della documentazione ostesa.
Inoltre questo meccanismo indurrebbe l’ente pubblico a negare l’accesso agli atti al fine di indurre il concorrente a desistere dalla contestazione processuale, così favorendo prassi lesive dell’art. 24 della Costituzione.
Non resta che attendere l’evoluzione giurisprudenziale sul tema e le eventuali decisioni del Consiglio di Stato, autore di una norma della quale però non spiega gli effetti nella relazione, non evincendosi quindi se effettivamente l’intento fosse quello di porre fine ad un meccanismo di dilazione temporale a salvaguardia degli esiti dell’aggiudicazione, così perseguendo e favorendo il risultato materiale della procedura ma non il suo risultato legale in contrasto con lo stesso principio del risultato per come configurato nel nuovo Codice.
Note
[1] Si tratta di una tesi che, per quanto appaia innovativa e priva di riscontro diretto nel testo normativo, è stata prospettata anche in dottrina. Si veda, in particolare F, Giallombardo, L’accesso nel contesto del nuovo codice dei contratti pubblici, laddove afferma che <<una simile ipotesi, se non del tutto esclusa dai primi due commi dell’art. 36, d.lgs. n. 36/2023, può senz’altro dirsi più remota: potrebbero, ad esempio, risultare problematici i casi della mancata – integrale – pubblicazione dei documenti menzionati nel primo comma o di malfunzionamenti della piattaforma informatica (che, ad esempio, non consente di visualizzare tutti i documenti. In tali casi, peraltro, vi sarebbe verosimilmente spazio, più che per un ricorso oltre il termine di legge, per proporre un ricorso per motivi aggiunti, avuto presente che l’art. 36, co. 9, d.lgs. n. 36/2023, afferma che il termine di impugnazione dell’aggiudicazione, nonché della ammissione e valutazione delle offerte diverse da quella della aggiudicazione decorre comunque dalla comunicazione dell’aggiudicazione>>. L’autore non si interroga però sui possibili profili di incompatibilità con il diritto eurounitario, dato che si avrebbe nuovamente un onere di proposizione di ricorsi al buio seguiti da ricorsi per motivi aggiuntivi, oltre che con il diritto costituzionale. In merito non può che rinviarsi alla sentenza della Corte Costituzionale 6.10.2021 n. 204, per la quale <<sono compatibili con l’art. 24 Cost., oltre che con il diritto dell’Unione Europea, ove applicabile, quelle sole interpretazioni del quadro normativo per effetto delle quali la parte ricorrente disponga di un termine non inferiore a trenta giorni per agire in giudizio, e comunque per proporre motivi aggiunti, tenuto conto della data in cui essa ha preso conoscenza, o avrebbe dovuto prendere conoscenza usando l’ordinaria diligenza, dei profili di illegittimità oggetto dell’impugnativa. Si tratta, infatti, del termine discrezionalmente scelto dal legislatore per la proposizione sia del ricorso principale, sia dei motivi aggiunti, per i quali ultimi non è stabilita normativa alcuna dimidiazione di esso>>.
[2] Cons. Stato, sez. V, 20.9.2019 n. 6251: <<la dilazione temporale … può ora ragionevolmente essere fissata nei quindici giorni previsti dal richiamato comma 2 dell’art. 76 d.lgs. n. 50 per la comunicazione delle ragioni dell’aggiudicazione.
[3] Cons. Stato, sez. V, 2.9.2019 n. 6064: <<Può … ritenersi che il termine di trenta giorni per l’impugnativa del provvedimento di aggiudicazione non decorra sempre dal momento della comunicazione, ma può essere incrementato da un numero giorni pari a quello necessario affinché il soggetto che si ritenga leso dall’aggiudicazione possa avere piena conoscenza del contenuto dell’atto e dei relativi profili di illegittimità ove questi non siano oggettivamente evincibili dalla richiamata comunicazione; in ogni caso il termine di impugnazione comincia a decorrere solo a partire dal momento in cui l’interessato abbia avuto piena cognizione degli atti della procedura>>.
[4] CGUE, sez. V, 8.5.2014, C-161/13: <<Si deve … rilevare che una possibilità, come quella prevista dall’articolo 43 del decreto legislativo n. 104/2010, di sollevare “motivi aggiunti” nell’ambito di un ricorso iniziale proposto nei termini contro la decisione di aggiudicazione dell’appalto non costituisce sempre un’alternativa valida di tutela giurisdizionale effettiva. Infatti, in una situazione come quella di cui al procedimento principale, gli offerenti sarebbero costretti a impugnare in abstracto la decisione di aggiudicazione dell’appalto, senza conoscere, in quel momento, i motivi che giustificano tale ricorso>>
[5] Sotto tale profilo si potrebbe rilevare il contrasto di un obbligo di proposizione preventiva di un ricorso <<al buio>> non solo con l’art. 117 della Costituzione ma anche con l’art. 24. Ciò anche in quanto, in precedenza, il meccanismo in questione determinava anche una maggiorazione di costi per il concorrente, obbligato a pagare due volte il contributo unificato (occorre però interrogarsi oggi se la modifica apportata all’art. 120 c. 7 del Codice del Processo Amministrativo, per il quale non vi è un obbligo di pagamento del contributo unificato per impugnazione di nuovi atti della procedura con motivi aggiunti, determini anche l’esenzione da tale pagamento nel caso di ricorso per motivi aggiunti proposto avverso non atti nuovi ma atti preesistenti per ragioni diverse. In merito nessuna indicazione è stata fornita dalla relazione al Codice del 2023. In merito si vedano anche le considerazioni espresse alla nota 1.
[6] Cons. Stato, Ad. Plen., 2.7.2020 n. 12, la quale dichiara di aderire all’orientamento così riassunto: <<si è precisato che la “dilazione temporale” prima fissata in dieci giorni per l’accesso informale ai documenti di gara (disciplinato dall’art. 79, comma 5 quater, del “primo codice” ma non più disciplinato dal “secondo codice”) si debba ora ragionevolmente determinare in quindici giorni, termine previsto dal vigente art. 76, comma 2, del “secondo codice” per la comunicazione delle ragioni dell’aggiudicazione su istanza dell’interessato>>.
[7] Cons. Stato, sez. V, 16.4.2021 n. 3127: <<una volta avuta conoscenza del provvedimento di aggiudicazione, in una delle diverse modalità possibili – ed anche attraverso le forme di comunicazione e di pubblicità individuate nel bando di gara (non solo per aver avuto comunicazione ai sensi dell’art. 76, comma 5, del codice) – il concorrente pregiudicato è tenuto nel termine di quarantacinque giorni a presentare istanza di accesso ai documenti e a proporre impugnazione, salvo l’ipotesi eccezionale di comportamento ostruzionistico tenuto dall’amministrazione. E’ chiaro, poi, che più tempestiva è l’istanza di accesso che il concorrente presenti una volta avuta conoscenza dell’aggiudicazione, maggiore sarà il tempo a sua disposizione per il ricorso giurisdizionale; quel che non può consentirsi è che il concorrente possa, rinviando nel tempo l’istanza di accesso agli atti di gara, posticipare a suo gradimento il termine ultimo per l’impugnazione dell’aggiudicazione>>.
[8] Cons. Stato, sez. V, 15.3.2022 n. 1792
[9] TAR Lazio, sez. III-quater, 15.12.2020 n. 13550.
[10] Dal testo della sentenza: <<Proprio in tema di accesso agli atti, il nuovo Codice ha introdotto una disposizione innovativa, l’art. 35 … Di conseguenza, nella specie non è applicabile l’art. 76, comma 2 del (previgente) d.lgs. 50/2016 (“su richiesta scritta dell’offerente e del candidato interessato, l’amministrazione aggiudicatrice comunica immediatamente e comunque entro quindi giorni dalla ricezione della richiesta”), disposizione abrogata dal nuovo codice dei contratti pubblici: il che rende, parimenti, inapplicabile il peculiare termine di proroga del termine impugnatorio elaborato dalla giurisprudenza, nei termini sopra indicati>>
[11] Dal testo della sentenza: <<Nella specie, l’istanza di accesso ai documenti è stata presentata dalla ricorrente in data 30.4.2024 (cioè il giorno successivo alla pubblicazione della graduatoria sulla piattaforma di gara) e la stazione appaltante ha riscontrato tale istanza in data 20.5.2024, cioè, comunque, abbondantemente entro la scadenza (29.5.2024) del termine impugnatorio di 30 giorni dalla comunicazione ai sensi dell’art. 90 del d.lgs. 36/2023 (e non ai sensi dell’art. 76 del d.lgs. 50/2016) sulla propria piattaforma telematica. Ma il ricorso è stato, però, notificato in data 14.6.2024: si tratterebbe di un ricorso tempestivo sotto il vigore del previgente codice dei contratti, ma sotto il vigore del vigente d.lgs. 36/2023 è da ritenere tardivo>>.
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