Il tortuoso percorso per l’individuazione della disciplina regolante il Collegio consultivo tecnico

A cura dell’Avv. Paolo Carbone

3 Giugno 2024
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Sommario
1.  Premessa – 2. Primo rebus – Qual è la disciplina applicabile al Collegio consultivo tecnico sino all’emanazione del regolamento del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti sostitutivo dell’Allegato V.2.? 3. Secondo rebus – Quali norme disciplinano il Collegio consultivo tecnico costituito in relazione ad appalti finanziati – in tutto o in parte – con fondi del PNRR o del PNC? 4. Terzo rebus – Le norme regolanti il Collegio consultivo tecnico si applicano anche ai soggetti operanti nei settori speciali? – 5. Conclusioni 
 
1. Premessa
 
Fondamentale operazione per la corretta applicazione della disciplina di qualsiasi istituto giuridico è l’esatta ricognizione delle norme che lo regolano. Questa ricognizione è particolarmente delicata non solo perché da essa dipende la corretta applicazione dell’istituto, ma anche perché il legislatore italiano sembra dilettarsi nel creare trappole agli interpreti, atteso che anche quando sembra voler consegnare ad un unico corpus normativo l’intera disciplina di un settore, finisce poi con il collocare disposizioni relative a quel settore al di fuori di quel corpus, quasi a sfidare l’operatore nella individuazione di tutte le norme regolanti la materia.
Questo problema si pone anche in ordine alle norme che regolano il collegio consultivo a partire dal 1° luglio 2023.
La finalità di questo breve scritto è quella di verificare quali siano le norme che regolano il Collegio consultivo tecnico sino all’emanazione del regolamento di cui dell’art. 215, comma 1°, 3° periodo, del d. lgs. 31 marzo 2023. n. 36.
Inoltre, sempre per definire l’ambito di applicazione, sarà esaminata l’applicabilità delle norme regolanti il Collegio consultivo tecnico ai soggetti operanti nei settori speciali.         
 
2. Primo rebus – Qual è la disciplina applicabile al Collegio consultivo tecnico sino all’emanazione del regolamento del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti sostitutivo dell’Allegato V.2.?
 
Le disposizioni del Codice dei contratti pubblici, entrate in vigore il 1° aprile 2023, hanno acquistato efficacia il 1° luglio 2023, giusta l’art. 229 del d. lgs. 31 marzo 2023, n. 36.  
Sino alla data di efficacia delle disposizioni contenute nel d. lgs. n. 36 del 2023, la disciplina del Collegio consultivo tecnico era ripartita tra gli artt. 5 e 6 del d. l. 16 luglio 2020, n. 76 – convertito con legge 11 settembre 2020, n. 120 – e le disposizioni contenute nel d. m. del Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibile 17 gennaio 2022, n. 12 e successive modificazioni. 
A partire dal 1° luglio 2023, sono diventate efficaci le norme contenute nel d. lgs. n. 36 del 2023 e, pertanto, in relazione al Collegio consultivo tecnico, trovano applicazione le disposizioni contenute negli articoli da 215 a 219 del d. lgs. n. 36 del 2023, nonché le disposizioni contenute nell’allegato al citato d. lgs. n. 36 del 2023, denominato V.2.
Apparentemente, sembra una semplice successione di norme nel tempo ma un esame maggiormente attento suggerisce ulteriori riflessioni originate da tre osservazioni:
l’art. 224, comma 1° del d. lgs. n. 36 del 2023 prescrive che «Le disposizioni di cui agli articoli da 215 a 219 si applicano anche ai collegi già costituiti ed operanti alla data di entrata in vigore del codice»;    
l’art. 215, comma 1°, terzo periodo, del d.lgs. 31 marzo 2023, n. 36 dispone che «in sede di prima applicazione del codice, l’allegato V.2 è abrogato a decorrere dalla data di entrata in vigore di un corrispondente regolamento adottato ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sentito il Consiglio superiore dei lavori pubblici, che lo sostituisce integralmente anche in qualità di allegato al codice»;
l’art. 226 del d. lgs. n. 36 del 2023 riporta l’elenco delle disposizioni abrogate, prevede che a partire del 1° luglio 2023, è abrogato il d. lgs. 18 aprile 2016, n. 50[1], ma non riporta nell’ambito delle disposizioni abrogate gli artt. 5 e 6 del d. l. n. 76 del 2020 – che, anzi, viene espressamente richiamato all’art. 1, comma 5, primo periodo, dell’Allegato V.2 – né il d.m. Ministero infrastrutture e mobilità sostenibili n. 12 del 2022, espressamente richiamato nell’art. 1, comma 3°, terzo periodo sempre dell’Allegato V.2.
Poiché, certamente, non v’è stata una abrogazione esplicita, occorre verificare se possa sostenersi ricorra una abrogazione tacita[2].
 
La dottrina ha affermato che «sulla base testuale dell’art. 15 d. p. la dottrina distingue tra abrogazione espressa (quando la volontà novativa risulta da una esplicita dichiarazione del legislatore) e l’abrogazione tacita (nel senso di incompatibilità tra la norma anteriore e quella successiva, oppure in quello di una regolamentazione nuova della materia)»[3], per passare poi ad affermare che «in un ordinamento come quello italiano, che ammette l’abrogazione tacita (per incompatibilità e nuova regolamentazione della materia) l’attenzione della dottrina è stata rivolta soprattutto ai problemi emergenti da quest’ultima. Se la volontà del legislatore è l’unica norma di riconoscimento, il modello è costituito dalla abrogazione espressa: su di esso sono stati configurati i casi di abrogazione tacita (ex art. 15) che sono stati considerati tassativi»[4], non foss’altro che per evitare contaminazione tra interpretazione e abrogazione, nella consapevolezza che «l’abrogazione tacita o implicita è allora abrogazione «interpretativa» e porta con sé una serie di inconvenienti in relazione alla determinabilità dei confini dell’ordinamento giuridico»[5].
 
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