La revisione dei prezzi e, in generale, tutte le clausole di flessibilità nella fase esecutiva dei contratti e degli appalti pubblici, hanno avuto negli ultimi anni una vita assai tormentata.
Dopo un lungo periodo (iniziato con la Legge n. 109/1994 nota come “legge Merloni”) nel quale il legislatore aveva sostituito la revisione prezzi con il “prezzo chiuso” e, contemporaneamente, aveva disincentivato, per non dire criminalizzato, il ricorso a varianti e variazioni comunque denominate, l’emergenza conseguente al COVID e l’andamento dei prezzi di mercato, hanno portato e forse costretto ad un ripensamento sulla materia, anche in relazione al precedente Codice dei contratti, D.Lgs. n. 50/2016, che all’art. 106 aveva disciplinato la revisione prezzi come clausola facoltativa ed opzionale.
A decorrere dal 2021 il Parlamento ed il Governo in via d’urgenza hanno emanato, in rapida successione, una serie di norme, tutte finalizzate a fronteggiare, attraverso misure di compensazione e di indennizzi, gli aumenti eccezionali dei prezzi di alcuni materiali da costruzione per i contratti in corso di esecuzione.
Ne è scaturito un intrico legislativo di non semplice lettura e, soprattutto, caratterizzato dalla temporaneità e dalla scarsa coerenza complessiva[1]. Non è questa la sede in cui esaminare queste norme, limitandoci qui ad osservare che la loro vigenza fino al 30 giugno 2023, produce ancora effetti per gli appalti il cui bando di gara è stato pubblicato precedentemente a tale data.
Il nuovo Codice dei contratti ha cercato di porre rimedio e, crediamo di poter dire, ha introdotto alcuni elementi di maggiore chiarezza sull’intera materia.
Un aspetto positivo da segnalare, consiste nella migliore puntualizzazione della disciplina, attraverso la focalizzazione di distinti istituti, anche tra loro complementari, ma caratterizzati da diverso profilo concettuale e funzionale: mi riferisco in particolare all’equilibrio contrattuale, alla revisione prezzi e alle clausole d’opzione, rispettivamente disciplinate all’art. 9, all’art. 60 e all’art. 120 del Codice. Distinguere (teoricamente e praticamente) la revisione dei prezzi e la garanzia del mantenimento tra le parti dell’equilibrio contrattuale rappresenta una novità importante e, forse, fino ad ora non del tutto evidenziata.
Proviamo a farlo qui, e la prima osservazione che potremmo sviluppare sta nella diversa collocazione dei due istituti: equilibrio contrattuale come norma di principio e revisione prezzi come norma di dettaglio.
Potremmo dedurne che l’equilibrio contrattuale è genus di cui la revisione prezzi è species ed avremmo così inquadrato i due istituti. Pare a chi scrive più produttivo partire invece da un (apparente) dettaglio rappresentato dal tema della (im)prevedibilità: se infatti analizziamo le definizioni dei due istituti vediamo che la parola “imprevedibile” compare all’art. 9, che ha quale incipit “Se sopravvengono circostanze straordinarie e imprevedibili..….”, mentre non lo ritroviamo all’art. 60, che collega l’applicazione della revisione prezzi al verificarsi di “particolari condizioni di natura oggettiva, che determinano una variazione del costo dell’opera”.
Distinzione di non poco conto e tutt’altro che scontata, atteso che la stessa legge delega aveva indicato di dover prevedere un regime obbligatorio di revisione dei prezzi al verificarsi di particolari condizioni di natura oggettiva “e non prevedibili al momento della formulazione dell’offerta”. Ma, si aggiunge, distinzione essenziale, visto che la fluttuazione dei prezzi e del costo del lavoro, che sono poi il presupposto per applicare la revisione dei prezzi, sono nell’ordine delle cose, non imprevedibili, ed anzi sono previste dai documenti finanziari del Governo e della Banca d’Italia o dallo scadere dei contratti collettivi.
A ben vedere dunque, il nuovo Codice distingue tra le cause imprevedibili ed estranee alla normale alea, disciplinate dall’art. 9, da quelle oggettive ancorché prevedibili, disciplinate dall’art. 60.
Le seconde, per le quali il Codice stabilisce che siano obbligatoriamente inserite clausole nei documenti iniziali di gara, sono oggettive ma non imprevedibili, poiché si attivano al verificarsi della condizione di cui all’art. 60, comma 2, e si risolvono, come vedremo, in un calcolo matematico in applicazione delle clausole stabilite nei documenti di gara; le prime invece sono imprevedibili e hanno una struttura essenzialmente metodologica in quando descrivono una possibile procedura entro la quale può essere previsto un loro riconoscimento a favore della parte svantaggiata (stazione appaltante o operatore economico affidatario).
Da quanto descritto emerge una seconda ed altrettanto importante conseguenza: le clausole di revisione prezzi sono predeterminate nei documenti di gara e dunque non sono negoziabili o rinegoziabili. infatti le clausole di revisione prezzi attengono al prezzo ed alla sua erogazione in sede di esecuzione.
La predisposizione delle clausole di revisione dei prezzi da parte delle stazioni appaltanti costituisce potere amministrativo e può essere contestata in relazione alla loro conformità al disposto dell’art. 60 del Codice dei contratti. Pertanto la partecipazione degli operatori ad una procedura sottende l’accettazione della clausola di revisione, che resta immodificabile in sede esecutiva. In alternativa l’operatore economico potrà adire al giudice amministrativo per mettere in dubbio la sua legittimità.
Al contrario, il mantenimento dell’equilibrio contrattuale dinanzi a situazioni imprevedibili ed esorbitanti la normale alea, nei contratti di durata, è garantito dall’art.9 che, esplicitamente, rimanda a modalità di negoziazione e rinegoziazione.
Le clausole di eventuale rinegoziazione riguardano la salvaguardia dell’equilibrio contrattuale, per motivi imprevedibili e diversi rispetto a quelli disciplinati dalla clausola di revisione prezzi; sono eventuali e non obbligatorie anche perché, anche a prescindere da esse, la collocazione della conservazione dell’equilibrio contrattuale tra le norme di principio fa sì che questo istituto assuma ex lege il ruolo di garanzia della tutela di interessi che potrebbero anche non trovare adeguata sistemazione in singole disposizioni e nemmeno nella lex specialis di gara.
Come può vedersi, l’iniziale indicazione per cui l’equilibrio contrattuale è genus entro il quale opera anche l’istituto della revisione prezzi non è, completamente azzeccato, sussistendo importanti aspetti di eterogeneità come sopra descritti. L’opinione di chi scrive è che si tratti di due istituti diversi e complementari pure a presidio di interessi tra loro assimilabili.
L’equilibrio contrattuale è anche principio innovativo, che intende incoraggiare un diverso modo di atteggiarsi delle stazioni appaltanti e dei suoi funzionari, più attento alla dialogicità con gli operatori economici, per mantenere ottimali condizioni di gestione degli appalti, nella consapevolezza della possibile convergenza tra la tutela dei loro interessi con l’interesse pubblico al perseguimento del risultato oltre che di altri interessi generali di primario rilievo quali la stabilità economica e la tutela dei lavoratori adibiti agli appalti. Non a caso l’art. 120, comma 8, stabilisce che il contratto è sempre modificabile ai sensi dell’articolo 9 e nel rispetto delle clausole di rinegoziazione contenute nel contratto e che nel caso in cui non si pervenga al nuovo accordo entro un termine ragionevole, la parte svantaggiata può agire in giudizio per ottenere l’adeguamento del contratto all’equilibrio originario, “salva la responsabilità per la violazione dell’obbligo di rinegoziazione”.
Dunque il nuovo Codice riesce, innovativamente, a fornire una qualificazione della revisione prezzi, distinguendola da altri istituti che nella precedente normativa risultavano tra loro confusi.
Purtroppo però l’art. 60 del D.Lgs. n. 36/2023 lascia anche aperti una serie di problemi irrisolti e dubbi interpretativi che rendono la norma di difficile attuazione.
Tra i problemi irrisolti, quello dell’indicazione degli indici di riferimento (a cura di ISTAT) per la determinazione della variazione dei prezzi su cui applicare la revisione. Con riguardo ai contratti di lavori, si fa riferimento agli indici sintetici di costo di costruzione (ICP) ma attualmente questi sono disponibili solo per fabbricati residenziali e capannoni industriali o per tronchi stradali e gallerie.
Ai fini della determinazione della variazione dei prezzi di servizi e forniture il nuovo Codice dei contratti individua esplicitamente i seguenti quattro indici ISTAT:
· Paniere dell’Indice dei Prezzi al Consumo (IPC);
· Indici dei Prezzi alla Produzione dei Servizi (IPPS);
· Indici dei Prezzi alla Produzione dell’Industria (IPPI);
· Indici di Retribuzione Contrattuale (IRC).
La difficoltà sostanziale di applicazione della norma è dovuta alla mancanza di una modalità per associare ai predetti indici le varie tipologie di lavori, servizi, forniture, in modo da determinare variazioni congruenti con specifiche tipologie di appalti. Anche l’incidenza dei vari indici con i relativi pesi da attribuire non trova nella norma alcuna indicazione. Risulta che sia in corso presso il MIT un tavolo di lavoro che dovrebbe produrre un apposito decreto ministeriale attuativo, in grado di definire le modalità di calcolo e le possibili associazioni tra le categorie di lavori, le tipologie di servizi, e i vari indici; nel frattempo le stazioni appaltanti svolgono gare e, in carenza di una disciplina transitoria, hanno l’oneroso compito di scrivere clausole di revisione prezzi applicabili e conformi al Codice dei contratti. Clausole che per essere legittime devono comunque far riferimento agli indici ISTAT sopra citati (e disponibili nel sito ufficiale di ISTAT).
Tra i dubbi interpretativi ne segnaliamo in particolare uno, attinente al quantum dovuto all’operatore economico. Infatti la norma riconosce la revisione prezzi in caso di “variazione del costo dell’opera, della fornitura o del servizio, in aumento o in diminuzione, superiore al 5 per cento dell’importo complessivo e operano nella misura dell’80 per cento della variazione stessa, in relazione alle prestazioni da eseguire”.
Dunque, in caso di variazione del 6%, si riconosce l’80% del 6% o la parte residua oltre il 5% e cioè l’80% dell’1%? La norma ha come soggetto la “variazione superiore al …” e consente di poter ritenere che la variazione debba essere considerata solo per la parte eccedente il 5%. Ma la costruzione della frase lascia adito ad ambiguità che, ove non chiarite in un eventuale correttivo, fatalmente determineranno nuovi contenziosi e ostacoli al perseguimento efficiente dei risultati degli appalti. Non resta, anche in questo caso, di supplire in sede di predisposizione della lex specialis di gara scegliendo la soluzione ritenuta più corretta e maggiormente equilibrata in relazione all’interesse pubblico.
Che dire, infine in materia di applicabilità della revisione prezzi anche ai contratti di fornitura, senza distinguere tra le somministrazioni periodiche e continuative e le compravendite?
Pare a chi scrive che gli acquisti, qualificabili come contratti di “dare” e ad efficacia istantanea, non siano in alcun modo compatibili con l’istituto della revisione prezzi (potendo invece essere suscettibili di sopravvenuta eccessiva onerosità in fase di consegna con applicazione del principio di equilibrio del contratto).
In questo caso, se proprio riteniamo di dover predisporre una clausola di revisione prezzi, dovremmo esplicitarla negando la revisione prezzi con la motivazione che i contratti ad efficacia immediata non sono compatibili con questo istituto.
Come si vede, in conclusione di questo breve excursus dell’istituto della revisione dei prezzi, alcuni temi risultano ben affrontati dalla norma, ma nel contempo emergono nuovi problemi. Se il grande filosofo Popper affermava che la vita è risolvere problemi, bisogna riconoscere che il nostro legislatore non manca mai di darcene materia.
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[1] Art. 1 septies Legge 24 luglio 2021, n.106; art. 1, comma 398, legge 30 dicembre 2021, n 234; art. 29 decreto-legge 27 gennaio 2022, n. 4; art. 25 Decreto -legge 1° marzo 2022, n. 17
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