Gli amministratori ed i soci di una società destinataria di interdittiva antimafia non sono titolari di legittimazione attiva all’impugnazione di tale provvedimento

Consiglio di stato – Adunanza plenaria, 28 gennaio 2022, n. 3

Michele Di Michele 3 Marzo 2022
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Informazione antimafia interdittiva: legittimazione a ricorrere in capo ad ex amministratori e soci della società attinta – Non sussiste

1. Premessa

L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato  (sentenza 28 gennaio 2022, n. 3) ha enunciato il principio di diritto per cui gli amministratori ed i soci di una società destinataria di interdittiva antimafia non sono titolari di legittimazione attiva all’impugnazione di tale provvedimento.

La questione era stata sollevata dal Consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana (sez. giur., 19 luglio 2021, n. 726) nell’ambito di una controversia relativa all’impugnazione, da parte dei soci, della certificazione interdittiva, emessa dalla Prefettura di Agrigento nei confronti della società per azioni di riferimento, lamentando la perdita della gestione dell’azienda, nella quale avevano investito ingenti capitali.

Si era dunque posta la necessità di comprendere se in capo agli azionisti di una società destinataria di una interdittiva antimafia sussista (o meno) una legittimazione a ricorrere autonoma rispetto a quella spettante in capo alla società attinta.

2. la rimessione della questione all’Adunanza Plenaria

La sentenza non definitiva del C.G.A., nel rimettere la questione all’Adunanza Plenaria, rilevava come non si registri un orientamento univoco nella giurisprudenza del Consiglio di Stato.

Secondo un primo orientamento, il ricorso proposto da soggetti diversi dall’impresa destinataria dell’interdittiva è inammissibile per carenza di legittimazione attiva, in quanto il decreto prefettizio può essere impugnato solo dal soggetto che ne patisce gli effetti diretti sulla sua posizione giuridica di interesse legittimo (in tal senso Cons. Stato, sez. III, 14 ottobre 2020 n. 6205, 22 gennaio 2019 n. 539, 16 maggio 2018 n. 2895, 11 maggio 2018 nn. 2824 e 2829).

Un secondo orientamento (Cons. Stato, sez. III, 4 aprile 2017 n. 1559) ha invece riconosciuto la legittimazione ad impugnare l’informativa a favore degli ex amministratori della società in ragione della lesione concreta ed attuale della situazione professionale e patrimoniale dei soggetti che abbiano dovuto rinunciare all’incarico di amministratori della società, nonché sotto il profilo della potenziale lesione dell’onore e reputazione personale dei soggetti sui quali nel provvedimento venga ipotizzato un condizionamento mafioso.

Il C.G.A., aveva espresso chiaramente la propria posizione in favore del secondo orientamento sopra citato, e ciò quantomeno nei casi in cui gli azionisti della società attinta alleghino di subire un pregiudizio diretto ed immediato dall’interdittiva (pregiudizio che può manifestarsi, ad esempio, nella impossibilità di effettuare scelte imprenditoriali strategiche e quindi compromissione degli investimenti economici profusi nell’azienda nonché nella lesione della dignità e reputazione, quanto ai soggetti le cui vicende personali e familiari costituiscano diretto oggetto di motivazione).

A supporto della tesi favorevole al riconoscimento di una autonoma legittimazione ad agire, il Giudice remittente esponeva la considerazione per cui, dall’analisi degli artt. 84 e 91 d.lgs. n. 159/2011, emerge che i provvedimenti interdittivi sono emanati in esito ad un procedimento amministrativo connotato da una natura tendenzialmente cautelare e con finalità preventiva dell’infiltrazione mafiosa, al quale, secondo la giurisprudenza, non possono essere estese le garanzie del contraddittorio di cui alla l. n. 241/1990, e ciò nonostante la decisione prefettizia si basi generalmente su accertamenti di fatto complessi, in qualche caso addirittura di tipo indiziario, nell’ambito dei quali ben possono manifestarsi significativi margini di errore.

E dunque, “il sacrificio delle garanzie procedimentali potrebbe essere bilanciato dalla possibilità di far valere le proprie ragioni in sede giurisdizionale anche da parte dei soggetti che sono immediatamente e gravemente incisi dal provvedimento prefettizio, sebbene non formalmente diretti destinatari dello stesso” pena l’evidente tensione con “principi eurounitari (n.d.r.: cioè il principio del contraddittorio prima dell’adozione di provvedimenti che incidono sensibilmente su interessi di soggetti specifici), oltre che con i principi costituzionali di cui agli artt. 24 e 111 Cost.”.

In presenza del richiamato contrasto giurisprudenziale, la sentenza di rimessione ha quindi sottoposto all’Adunanza Plenaria la questione “relativa alla possibilità, o meno, di riconoscere, in capo ad ex amministratori e soci di una società attinta da interdittiva antimafia, autonoma legittimazione a ricorrere, avuto riguardo alla situazione giuridica dedotta in giudizio, che si pretende direttamente ed immediatamente pregiudicata dall’interdittiva (a causa della sostituzione degli organi di gestione, con perdita, da parte degli ex amministratori, delle cariche ricoperte, e quindi pregiudizio professionale; impossibilità di effettuare scelte imprenditoriali strategiche e quindi compromissione degli investimenti economici profusi nell’azienda, quanto ai soci; con lesione della dignità e reputazione, quanto ai soggetti le cui vicende personali e familiari costituiscano diretto oggetto di motivazione)”.

3. La decisione dell’Adunanza Plenaria

L’Adunanza Plenaria, nell’esprimersi in senso contrario al riconoscimento di una autonoma legittimazione in capo ai soci della società attinta da interdittiva antimafia, muove dal presupposto che la giurisdizione amministrativa è tipicamente di natura soggettiva ed è dunque strettamente correlata alla titolarità della posizione soggettiva azionata nel processo.

La legittimazione e l’interesse al ricorso“, si afferma nella pronuncia in commento, “trovano giustificazione nella natura soggettiva della giurisdizione amministrativa, che non risulta preordinata ad assicurare la generale legittimità dell’operato pubblico, bensì tende a tutelare la situazione soggettiva del ricorrente, correlata ad un bene della vita coinvolto nell’esercizio dell’azione autoritativa oggetto di censura (Consiglio di Stato, Ad. Plen., 7 aprile 2011, n. 4)“.

A tale proposito è stato enfatizzato che ciò che differenzia l’interesse legittimo dal diritto soggettivo “è la sua inerenza alla esistenza e, soprattutto, all’esercizio del potere amministrativo: l’interesse legittimo, infatti, non è percepibile sul piano, per così dire, “statico”, senza, cioè, che la pubblica amministrazione abbia esercitato o negato di esercitare, nei confronti del soggetto, il potere del quale essa è titolare“.

Da ciò consegue che si ha legittimazione al ricorso soltanto laddove l’ampliamento o la compressione del patrimonio giuridico derivi direttamente dall’esercizio del potere amministrativo.

Al contrario, laddove non è individuabile tale posizione di stretta inerenza all’esercizio del potere pubblico, ma purtuttavia sono enucleabili generiche posizioni di interesse (anche derivanti da rapporti, quale che ne sia la fonte, intercorrenti tra il soggetto in relazione con il potere amministrativo ed ulteriori soggetti), queste ultime – che ben possono ricevere indirettamente e/o di riflesso, un “pregiudizio” – legittimano i loro titolari a spiegare (unicamente) un intervento in giudizio, ma non già ad impugnare autonomamente il provvedimento lesivo della sfera giuridica del soggetto con il quale intrattengono a diverso titolo rapporti giuridici.

Medesime considerazioni valgono sul piano della partecipazione procedimentale:

  • la partecipazione piena – quale forma di tutela “anticipata” in sede procedimentale delle proprie situazioni giuridiche – è riconosciuta ai soli destinatari diretti del provvedimento che l’amministrazione intende assumere a conclusione del procedimento amministrativo (v. art. 7 l. 241/90);
  • una ulteriore forma di partecipazione è invece riconosciuta a quei soggetti, portatori di interessi pubblici o privati “cui possa derivare un pregiudizio dal provvedimento” (v. art. 9 l. 241/90).

E tali differenti forme di partecipazione procedimentale si riflettono su distinte situazioni in sede processuale, quali quella della legittimazione ad agire o a resistere, per un verso; ovvero dell’intervento (ad adiuvandum o ad opponendum), per altro verso.

In buona sostanza, dunque, la questione sottoposta all’Adunanza Plenaria postula l’individuazione della sussistenza (o meno) in capo agli amministratori ed ai soci della società attinta da interdittiva antimafia di una posizione giuridica personale e immediata nei confronti del potere pubblico che si assume illegittimamente esercitato, con la conseguenza che solo nel caso in cui tale posizione venga individuata su di essa potrà fondarsi la legittimazione ad agire in giudizio a tutela della posizione medesima, in piena attuazione degli articoli 24 e 113 Cost.

Ebbene, ritiene l’Adunanza Plenaria, in linea con il prevalente orientamento della giurisprudenza del Consiglio di Stato (si veda, inter alia, Cons. Stato, sez. III, 22 gennaio 2019 n. 539), che “il decreto prefettizio può essere impugnato dal soggetto che ne patisce gli effetti diretti, e quindi, dal destinatario dell’atto, e cioè dalla società, in quanto solo il destinatario subisce la lesione immediata e diretta alla sua posizione giuridica soggettiva di interesse legittimo che consente il ricorso dinanzi al giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 7, comma 1, c.p.a.”.

Mentre, con riferimento alla posizione dei soci, “la posizione degli stessi in rapporto alla persona giuridica/società per azioni“, in quanto priva di una relazione diretta con il potere pubblico, “esclude la loro legittimazione ad agire, non essendo individuabile una loro titolarità di interesse legittimo“.

Appare dunque evidente, nella ricostruzione offerta dall’Adunanza Plenaria, che

  • nonostante tra la società ed i soci (e amministratori) vi sia un vincolo di natura contrattuale che consente alle persone fisiche di poter svolgere una funzione indispensabile perché la società stessa possa operare,
  • gli amministratori e/o i soci “non siano destinatari diretti dell’esercizio del potere amministrativo“.

La “relazione diretta“, idonea a fondare la legittimazione ad agire, sussiste dunque solo tra potere amministrativo e persona giuridica, mentre il pregiudizio subito dai soci risulta ha natura riflessa emergendo da un diverso rapporto (di natura contrattuale o di altro tipo) che li lega al destinatario diretto (la società).

Ma questo rapporto“, conclude l’Adunanza plenaria è “estraneo alla relazione intersoggettiva tra destinatario dell’atto e pubblica amministrazione” ed è quindi “inidoneo a far sorgere situazioni di interesse legittimo” impedendo quindi “di configurare sul piano processuale la legittimazione ad agire nei confronti del provvedimento di interdittiva antimafia“.

4. Brevi considerazioni conclusive

L’impostazione seguita dall’Adunanza Plenaria può essere così sintetizzata: non vi è legittimazione ad agire (non può esservi legittimazione) in capo ai soci e amministratori in quanto non sussiste una relazione personale e diretta che lega questi ultimi al potere amministrativo esercitato.

Tra la società (diretta destinataria del provvedimento) e i soci esiste uno schermo, dato dalla relazione contrattuale, che estromette questi ultimi dalla relazione intersoggettiva con la pubblica amministrazione e, dunque, impedisce di qualificare la posizione giuridica dei soci quale interesse legittimo.

Tale ricostruzione comporta l’effetto di escludere qualsiasi tipo di tutela nei confronti di soci e amministratori che, rispetto all’interdittiva resa nei confronti della loro società, si vedono preclusi qualsiasi forma di contraddittorio in sede sia procedimentale sia (stante il pronunciamento qui in commento) processuale.

E ciò, si badi, anche nell’ambito di una situazione in cui, stante l’intervenuto commissariamento della società attinta, si è verificato un evidente disallineamento di interessi tra i soci e amministratori da un lato e società persona giuridica dall’altro.

Non appare dunque del tutto condivisibile il passaggio della pronuncia in esame in cui – con riferimento al recente d.l. 6 novembre 2021 n. 152, che nell’introdurre modifiche agli artt. 92 e 93 del d. lgs. n. 159/2011, prevede forme di partecipazione del soggetto destinatario del provvedimento di informazione antimafia interdittiva – si afferma che “Tale nuova disciplina …stempera le perplessità espresse dalla sentenza di rimessione in ordine all’adozione di un provvedimento “con riverberi assai durevoli nel tempo, se non addirittura permanenti, indelebili e inemendabili” senza alcun contraddittorio endoprocedimentale (cui, nella prospettazione offerta, dovrebbe fare da “bilanciamento” il riconoscimento di legittimazione processuale)“.

Sia dato sommessamente dubitare che tale intervento normativo abbia fugato le perplessità del giudice remittente.

È evidente infatti che l’esigenza manifestata dal giudice remittente, che era quella di garantire ai soci un contraddittorio sull’interdittiva antimafia a carico della propria società, non trova qui alcuna forma di sostegno con conseguenze evidentemente gravi sul piano della tutela sia individuale che patrimoniale dei soci.

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