Artt. 47-49, d.l. 6 novembre 2021, n. 152
A cura di Dario Capotorto e Irene Picardi
1. Premessa
È attualmente all’esame del Parlamento per la conversione il d.l. 6 novembre 2021, n. 152, recante “Disposizioni urgenti per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e per la prevenzione delle infiltrazioni mafiose”. Il provvedimento si compone di quattro Titoli principali, i primi tre (Titolo I, recante “Misure urgenti finalizzate alla realizzazione degli obiettivi del PNRR per il 2021”, Titolo II, recante “Ulteriori misure urgenti finalizzate all’accelerazione delle iniziative” e Titolo III, recante “Gestioni commissariali, imprese agricole, e sport”) contenenti misure finalizzate ad accelerare e semplificare l’attuazione del Pnrr e il quarto (Titolo IV, recante “Investimenti e rafforzamento del sistema di prevenzione antimafia”) diretto ad operare rilevanti modifiche alla normativa antimafia. La quinta e ultima parte del decreto (Titolo V, recante “Abrogazioni e disposizioni finali”) regola, invece, il regime transitorio di applicazione delle nuove disposizioni.
Per quanto riguarda, in particolare, le norme relative al d.lgs. n. 159/2011, la novella legislativa è orientata ad attenuare la severità del sistema delle informazioni interdittive, muovendosi su due piani: da un lato, rafforzando le garanzie partecipative dei soggetti coinvolti nei procedimenti antimafia, attraverso la previsione anche in tale ambito del diritto al contraddittorio procedimentale; dall’altro, introducendo nuove misure, meno invasive delle informazioni interdittive, che consentono alle autorità amministrative di graduare le misure di prevenzione in ragione della gravità della situazione concreta.
Operando tali modificazioni, il d.l. n. 152/2021 sembra accogliere – almeno parzialmente – le indicazioni emerse nella prassi operativa e le posizioni espresse dalla dottrina e dalla giurisprudenza più garantiste, favorevoli al riconoscimento nell’ambito del contrasto al fenomeno mafioso di una maggiore protezione della situazione soggettiva delle imprese destinatarie di provvedimenti interdittivi.
Il c.d. “decreto Recovery” supera anche talune resistenze della giurisprudenza amministrativa, ancora orientata a difendere la disciplina tradizionale delle informazioni interdittive senza ammetterne attenuazioni o eccezioni di sorta, attraverso l’individuazione di soluzioni di compromesso, ampliando da un lato le garanzie dei soggetti interessati, ma fissandone dall’altro i relativi limiti di operatività e mantenendo in capo alle autorità prefettizie – e non giudiziarie – il potere di esercitare l’azione preventiva (in generale sul tema sia consentito rinviare a D. Capotorto, Le misure di prevenzione dell’Anac e il loro impatto sulla contrattualistica pubblica, in Riv. Trim. App. 2021, 1, 61 ss.).
2. Il contraddittorio procedimentale
Sotto il primo dei profili sopra rappresentati, l’art. 48 del d.l. n. 152/2021 inserisce nell’ambito dell’art. 92, d.lgs. n. 159/2011, relativo al rilascio dell’informazione antimafia, l’obbligo a carico dell’autorità prefettizia di attivare taluni istituti di partecipazione, qualora intenda emettere nei confronti dell’impresa un provvedimento interdittivo. Le medesime garanzie operano anche nelle ipotesi in cui trovino applicazione le nuove misure amministrative di prevenzione collaborativa di cui all’art. 94-bis, d.lgs. n. 159/2011, che saranno analizzate nel prosieguo.
In particolare, in base all’art. 92 sopra citato, il prefetto, su richiesta dei soggetti di cui all’art. 83, d.lgs. n. 159/2011 (e cioè le pubbliche amministrazioni e gli enti pubblici, anche costituiti in stazioni uniche appaltanti, gli enti e le aziende vigilati dallo Stato o da altro ente pubblico, le società o le imprese comunque controllate dallo Stato o da altro ente pubblico, i concessionari di lavori o di servizi pubblici, nonché i contraenti generali), a seguito della consultazione della banca dati nazionale unica, può rilasciare, alternativamente, un’informazione antimafia interdittiva ovvero liberatoria, a seconda che a carico dei soggetti interessati emerga o meno la sussistenza di cause di decadenza, sospensione o divieto ovvero di tentativi di infiltrazione mafiosa (art. 92, commi 1 e 2).
Al ricorrere della prima delle ipotesi sopra descritte, per effetto delle modifiche introdotte dal “decreto Recovery” al comma 2-bis dell’art. 92, il prefetto è ora tenuto ad attivare una fase preliminare di contraddittorio procedimentale con i potenziali destinatari delle informazioni interdittive.
L’interlocuzione è garantita attraverso la “tempestiva comunicazione” da parte del prefetto dell’intendimento di adottare il provvedimento interdittivo “indicando gli elementi sintomatici dei tentativi di infiltrazione mafiosa”. Con tale comunicazione, viene assegnato al destinatario “un termine non superiore a venti giorni” per:
- “presentare osservazioni scritte, eventualmente corredate da documenti”;
- “richiedere l’audizione, da effettuare secondo le modalità previste dall’articolo 93, commi 7, 8 e 9”.
Pertanto, stando al tenore letterale dell’art. 92, comma 2-bis, il diritto di partecipazione può essere esercitato dai soggetti interessati attraverso una duplice modalità, presentando osservazioni scritte (analogamente a quanto consentito in via generale dagli artt. 10 e 10-bis della l. n. 241/1990), ovvero chiedendo al prefetto di essere sentiti, secondo le modalità di cui all’art. 93, d.lgs. n. 159/2011 (che, nell’ambito dell’espletamento delle funzioni di prevenzione delle infiltrazioni mafiose negli appalti pubblici anche in precedenza prevedeva la possibilità per il Prefetto di attivare un contraddittorio).
La nuova fase incidentale di interlocuzione con l’impresa deve, in ogni caso, concludersi entro 60 giorni, decorrenti dalla data di ricezione della suddetta comunicazione. Dalla data del relativo invio si sospendono, invece, i termini di 30 giorni (o 45, in presenza di verifiche di particolare complessità) previsti dall’art. 92, comma 2 per il rilascio da parte del prefetto dell’informazione interdittiva.
Le modificazioni normative sopra richiamate, da tempo auspicate nella prassi operativa, consentono di rispondere all’esigenza di rafforzare le garanzie partecipative dei soggetti coinvolti nei procedimenti antimafia, in chiave collaborativa e di deflazione di possibili iniziative processuali. Il nuovo adempimento procedurale consente, altresì, all’Amministrazione di acquisire e valutare meglio i fatti emersi nella situazione concreta e ciò assume una rilevanza peculiare nell’ambito dei procedimenti in esame, fondandosi le informazioni interdittive su elementi per lo più indiziari.
Tali esigenze sono messe in evidenza sin dalla rubrica della norma, anch’essa modificata dal d.l. n. 152/2021 attraverso la sostituzione del riferimento ai “Termini per il rilascio delle informazioni” con quello al “Procedimento di rilascio delle informazioni antimafia”, con ciò evidenziando la necessità che l’azione amministrativa venga esercitata, anche in tale campo, attraverso la partecipazione dei soggetti interessati.
Anche la giurisprudenza amministrativa, in alcune recenti pronunce, ha rilevato come il complesso degli effetti in concreto prodotti dai provvedimenti antimafia sui destinatari dei medesimi dovrebbe comportare l’applicazione di garanzie procedurali invece omesse, quali il principio del rispetto dei diritti della difesa e del contradittorio procedimentale. In questa parte, la disciplina nazionale è stata sospettata anche di incompatibilità europea (T.a.r. per la Puglia, sez. III, 13 gennaio 2020, n. 28, con commento su questo sito di I. Picardi, Informazione interdittiva antimafia: è conforme al diritto europeo l’assenza di contraddittorio tra la Pubblica Amministrazione e il destinatario del provvedimento?). La Corte di giustizia, pur avendo dichiarato la questione rimessa al suo esame manifestamente irricevibile per l’assenza di collegamento fra il diritto europeo e il procedimento principale all’origine della rimessione, ha comunque affermato che il principio del contraddittorio “costituisce un principio generale del diritto dell’Unione che trova applicazione quando l’amministrazione intende adottare nei confronti di una persona un atto che le arrechi pregiudizio. In forza di tale principio i destinatari di decisioni che incidono sensibilmente sui loro interessi devono essere messi in condizione di manifestare utilmente il loro punto di vista in merito agli elementi sui quali l’amministrazione intende fondare la sua decisione” (CGUE, sez. IX, ord. 28 maggio 2020, causa C‑17/20).
Recependo ulteriori indicazioni della giurisprudenza amministrativa, il d.l. n. 152/2021 ha però escluso che possano formare oggetto della comunicazione di cui al nuovo art. 92, comma 2-bis elementi informativi il cui disvelamento sia idoneo a pregiudicare procedimenti amministrativi o attività processuali in corso, ovvero l’esito di altri accertamenti finalizzati a prevenire le infiltrazioni della criminalità organizzata nel tessuto economico-sociale. In giurisprudenza, è stato infatti rilevato come “la discovery anticipata, già in sede procedimentale, di elementi o notizie contenuti in atti di indagine coperti da segreto investigativo o in informative riservate delle forze di polizia, spesso connessi ad inchieste della magistratura inquirente contro la criminalità organizzata e agli atti delle indagini preliminari, potrebbe frustrare la finalità preventiva perseguita dalla legislazione antimafia, che ha l’obiettivo di prevenire il tentativo di infiltrazione da parte delle organizzazioni criminali, la cui capacità di penetrazione nell’economia legale ha assunto forme e «travestimenti» sempre più insidiosi” (Cons. St., sez. III, 31 gennaio 2020, n. 820, con commento su questo sito di I. Picardi, Ancora sull’informazione interdittiva antimafia: la finalità preventiva sottesa al provvedimento può legittimamente comportare un’attenuazione (se non una eliminazione) del contraddittorio procedimentale).
Anzi, tali argomenti sono utilizzati dalla medesima giurisprudenza proprio per giustificare la mancata attivazione degli istituti di partecipazione nell’ambito del procedimento antimafia. Sotto tale aspetto, la novella legislativa ha quindi cercato di farsi carico delle suddette criticità, individuando restrizioni specifiche al diritto al contraddittorio, pur tuttavia garantendone l’applicazione nell’ambito dei procedimenti in esame.
Sempre per le medesime esigenze preventive, il d.l. n. 152/2021 ha introdotto nel corpo dell’art. 92, d.lgs. n. 159/2011, anche il nuovo comma 2-quater, ove si precisa che nel periodo tra la ricezione della comunicazione di cui al comma 2-bis e la conclusione del contraddittorio, “il cambiamento di sede, di denominazione, della ragione o dell’oggetto sociale, della composizione degli organi di amministrazione, direzione e vigilanza, la sostituzione degli organi sociali, della rappresentanza legale della società nonché della titolarità delle imprese individuali ovvero delle quote societarie, il compimento di fusioni o altre trasformazioni o comunque qualsiasi variazione dell’assetto sociale, organizzativo, gestionale e patrimoniale delle società e imprese interessate dai tentativi di infiltrazione mafiosa, possono essere oggetto di valutazione ai fini dell’adozione dell’informazione interdittiva antimafia”.
Anche con riguardo a tale aspetto, la giurisprudenza amministrativa ha osservato come “la conoscenza dell’imminente o probabile adozione di un provvedimento antimafia, acquisita in sede procedimentale, potrebbe frustrare l’interesse pubblico sotteso all’adozione del provvedimento antimafia, in quanto le associazioni mafiose sono ben capaci di ricorrere a tecniche elusive delle norme in materia”, nel senso che “le associazioni a delinquere di stampo mafioso, di fronte al «pericolo» dell’imminente informazione antimafia di cui abbiano avuto notizia, reagiscono mutando assetti societari, intestazioni di quote e di azioni, cariche sociali, soggetti prestanome, ma cercando di controllare comunque i soggetti economici che fungono da schermo, anche grazie alla distinta e rinnovata personalità giuridica, nei rapporti con le pubbliche amministrazioni” (Cons. St., sez. III, 6 maggio 2020, n. 2854).
Per far fronte a tali rischi, il codice antimafia già includeva fra gli indici da cui desumere la sussistenza di tentativi di infiltrazioni mafiose a carico delle imprese, anche le sostituzioni negli organi sociali, nella rappresentanza legale della società, nonché nella titolarità delle imprese individuali ovvero delle quote societarie, effettuate “da chiunque conviva stabilmente con i soggetti destinatari dei provvedimenti di cui alle lettere a) e b)” del medesimo art. 84, comma 4 (e cioè di provvedimenti che dispongono misure cautelari o recano condanne per le fattispecie di reato ivi indicate, ovvero che prevedono l’applicazione di misure di prevenzione), “con modalità che, per i tempi in cui vengono realizzati, il valore economico delle transazioni, il reddito dei soggetti coinvolti nonché le qualità professionali dei subentranti, denotino l’intento di eludere la normativa sulla documentazione antimafia” (art. 84, comma 4, lett. f), d.lgs. n. 159/2011).
Sotto questo profilo, la previsione di cui al nuovo art. 92, comma 2-quater, d.lgs. n. 159/2011 rafforza, quindi, l’applicazione della disposizione sopra citata, ampliandone la portata sia dal punto di vista oggettivo, dei presupposti di operatività, che da quello soggettivo, non ponendo limiti rispetto agli autori delle operazioni societarie.
In base al nuovo art. 92, comma 2-ter il procedimento in contraddittorio può concludersi con il rilascio da parte del prefetto:
- dell’informazione antimafia liberatoria;
- del provvedimento di applicazione delle misure di prevenzione collaborativa cui al nuovo art. 94-bis, qualora ricorrano i presupposti ivi previsti, dandone comunicazione, entro cinque giorni, all’interessato, secondo le modalità stabilite dall’art. 76, comma 6, d.lgs. n. 50/2016;
- dell’informazione interdittiva, nel caso di sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa, procedendo alla comunicazione all’interessato entro il termine e con le modalità sopra indicate. Al ricorrere di tale ipotesi, il prefetto, una volta adottato il provvedimento interdittivo, verifica altresì la sussistenza dei presupposti per l’applicazione delle misure di commissariamento di cui all’art. 32, comma 10, d.l. n. 90/2014, (c.d. decreto anticorruzione, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 114/2014) e, in caso di esito positivo, ne informa tempestivamente il Presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione.
Infine, sempre con l’intento di rafforzare il contraddittorio fra l’autorità amministrativa e le imprese contigue al fenomeno mafioso, l’art. 48, comma 1, lett. b), d.l. n. 152/2021 ha riscritto anche l’art. 93, comma 7, d.lgs. n. 159/2011 sopra citato. In base alla previgente formulazione della norma, il prefetto competente al rilascio dell’informazione antimafia poteva, qualora lo avesse ritenuto utile, invitare i soggetti interessati a produrre, in sede di audizione personale, ulteriori informazioni, anche allegando elementi documentali. Per effetto delle modifiche operate dal “decreto Recovery”, oggi il prefetto può acquisire informazioni e documentazione integrative dai soggetti interessati “qualora non ricorrano particolari esigenze di celerità del procedimento ovvero esigenze di tutela di informazioni che, se disvelate, sono suscettibili di pregiudicare procedimenti amministrativi o attività processuali in corso, ovvero l’esito di altri procedimenti amministrativi finalizzati alla prevenzione delle infiltrazioni mafiose”.
Risulta, pertanto, ampliato il campo di applicazione dell’istituto del contraddittorio eventuale che, sebbene ancora rimesso alla valutazione dell’autorità prefettizia, può essere da quest’ultima escluso solo al ricorrere dei presupposti indicati dalla norma. Essendo la ratio della novella quella di assicurare che l’azione amministrativa sia esercitata anche nell’ambito dei procedimenti antimafia attraverso la più ampia partecipazione possibile dei soggetti interessati, è da ritenere che l’esclusione del contraddittorio debba essere oggetto di adeguata motivazione da parte del prefetto.
3. La prevenzione collaborativa
Come anticipato nei paragrafi precedenti, un’altra significativa novità introdotta dal “decreto Recovery” è quella della previsione, al nuovo art. 94-bis, d.lgs. n. 159/201, delle misure amministrative di prevenzione collaborativa, applicabili dal prefetto qualora venga accertato che i tentativi di infiltrazione mafiosa siano riconducibili a situazioni di agevolazione occasionale. In base alla nuova disposizione, al ricorrere di detta ipotesi il prefetto prescrive all’impresa, con provvedimento motivato – e previa attivazione, come sopra anticipato, del contraddittorio procedimentale di cui all’art. 92, comma 2-bis, d.lgs. n. 159/2011 – l’osservanza per un periodo di tempo circoscritto, non inferiore a sei mesi e non superiore a dodici, di una o più delle seguenti misure:
- adottare ed efficacemente attuare misure organizzative, anche ai sensi degli artt. 6, 7 e 24-ter, d.lgs. n. 231/2001, atte a rimuovere e prevenire le cause di agevolazione occasionale;
- comunicare al gruppo interforze istituito presso la prefettura competente per il luogo di sede legale o di residenza, entro quindici giorni dal loro compimento, gli atti di disposizione, di acquisto o di pagamento effettuati, gli atti di pagamento ricevuti, gli incarichi professionali conferiti, di amministrazione o di gestione fiduciaria ricevuti, di valore non inferiore a 7.000 euro o di valore superiore stabilito dal prefetto, sentito il predetto gruppo interforze, in relazione al reddito della persona o del patrimonio e del volume di affari dell’impresa;
- per le società di capitali o di persone, comunicare al gruppo interforze eventuali forme di finanziamento da parte dei soci o di terzi;
- comunicare al gruppo interforze i contratti di associazione in partecipazione stipulati;
- utilizzare un conto corrente dedicato, anche in via non esclusiva, per gli atti di pagamento e riscossione di cui alla lettera b), nonché per i finanziamenti di cui alla lettera c), osservando, per i pagamenti previsti dall’art. 3, comma 2, l. n. 136/2010, le modalità indicate nella stessa norma.
In aggiunta a tali misure, il prefetto può nominare, anche d’ufficio, uno o più esperti (in numero, comunque, non superiore a tre) individuati nell’albo degli amministratori giudiziari di cui all’art. 35, comma 2-bis, d.lgs. n. 159/2011, con il compito di svolgere funzioni di supporto nell’attuazione delle misure di prevenzione collaborativa sopra richiamate e i cui relativi oneri sono posti a carico dei soggetti destinatari delle misure medesime.
Attraverso l’applicazione temporanea di queste ultime, le imprese esposte al rischio di condizionamenti mafiosi vengono, quindi, immesse in un percorso di risanamento aziendale, che gli consente di proseguire lo svolgimento della propria attività economica, seppur nel rispetto degli adempimenti sopra richiamati ovvero sotto la vigilanza prescrittiva degli esperti nominati dal prefetto.
Da un punto di vista temporale e funzionale le misure in esame precedono, dunque, il rilascio dell’informazione antimafia: prima di giungere alla paralisi dell’attività aziendale, per effetto dell’applicazione di provvedimenti interdittivi, all’impresa collegata ancora marginalmente alla criminalità organizzata viene data la possibilità di intervenire sul proprio funzionamento e assetto organizzativo al fine di recuperare una gestione dell’azienda improntata alla libera concorrenza.
Le finalità perseguite sono analoghe a quelle di un’altra recente misura preventiva, quella del controllo giudiziario introdotta dalla l. n. 161/2017 all’art. 34-bis, d.lgs. n. 159/2011, anch’essa attivabile in presenza del requisito della occasionalità dell’agevolazione e “se sussistono circostanze di fatto da cui si possa desumere il pericolo concreto di infiltrazioni mafiose idonee” a condizionare l’attività delle imprese. L’applicazione della misura può essere, altresì, invocata da soggetti già destinatari di informazioni interdittive al fine di sospenderne gli effetti e proseguire la propria attività economica, qualora dal giudizio prognostico sulla situazione dell’impresa emerga la possibilità di emendare i rilevati fattori patologici. Al pari di quanto avviene con le misure della prevenzione collaborativa, in base all’art. 34-bis, comma 2 l’impresa può essere destinataria di obblighi comunicativi assai simili a quelli previsti dal nuovo art. 94-bis, d.lgs. 159/2011 ovvero sottoposta ad una fase di monitoraggio e sorveglianza. In questo caso, le misure sono però applicate non in sede amministrativa, come quelle della prevenzione collaborativa, ma dal tribunale per un periodo di tempo più esteso, non inferiore ad un anno e non superiore a tre.
Dal quadro sopra delineato, emerge come i più recenti interventi legislativi realizzati nel settore in esame siano orientati sempre più di frequente a dotare le autorità amministrative e giudiziarie di strumenti che, pur prevenendo e contrastando il diffondersi dell’illegalità nella contrattualistica pubblica, consentono al contempo di assicurare la continuità delle aziende. Tali obiettivi sono alla base, ad esempio, dell’introduzione delle citate misure straordinarie di gestione, sostegno e monitoraggio delle imprese di cui all’art. 32, d.l. n. 90/2014 (su cui, v. la dettagliata analisi di D. Capotorto, Le misure di prevenzione dell’Anac e il loro impatto sulla contrattualistica pubblica, op. cit., 61 ss.) e del controllo giudiziario, poiché permettono alle imprese di rimanere in attività in una situazione di legalità controllata, sebbene già destinatarie di informazioni antimafia. Sotto questo profilo, è quindi evidente che le nuove misure della prevenzione collaborativa rafforzano il perseguimento delle suddette finalità, in quanto la bonifica aziendale interviene addirittura prima che nei confronti dell’impresa vengano emessi provvedimenti interdittivi.
Infatti, per espressa previsione normativa, alla scadenza del termine di applicazione delle misure, qualora il prefetto accerti, sulla base delle analisi formulate dal gruppo interforze, il venir meno dell’agevolazione occasionale e l’assenza di altri tentativi di infiltrazione mafiosa, rilascia un’informazione antimafia liberatoria ed effettua le conseguenti iscrizioni nella banca dati nazionale unica della documentazione antimafia. Le misure di prevenzione possono cessare anche se il tribunale dispone il controllo giudiziario di cui all’art. 34-bis, comma 2, lett. b); del periodo di loro esecuzione può però tenersi conto ai fini della determinazione della durata della nuova misura preventiva.
Sempre in base al nuovo art. 94-bis, le misure ivi previste sono annotate in un’apposita sezione della banca dati di cui all’art. 96 – a cui è precluso l’accesso ai soggetti privati sottoscrittori di accordi conclusi ai sensi dell’articolo 83-bis – e sono comunicate dal prefetto alla cancelleria del tribunale competente per l’applicazione delle misure di prevenzione.
L’ultima parte dell’art. 48, d.l. n. 152/2021 regola, invece, in maniera specifica il regime transitorio di applicazione delle nuove misure stabilendo che le stesse trovino applicazione nei procedimenti amministrativi per i quali, alla data di entrata in vigore del decreto, sia stato effettuato l’accesso alla banca dati nazionale unica della documentazione antimafia ma non sia stata ancora rilasciata l’informazione antimafia.
4. Le modifiche all’art. 34-bis del codice antimafia
Al fine di coordinare le misure amministrative della prevenzione collaborativa con quella già esistente del controllo giudiziario, attese le similarità esistenti fra le stesse, il d.l. n. 152/2021 è intervenuto anche sul testo dell’art. 34-bis, d.lgs. n. 159/2011.
In particolare, in coda al primo comma della norma, l’art. 47 del d.l. n. 152/2021 ha inserito il riferimento alle misure di cui all’art. 94-bis, prevedendo che in caso di loro applicazione il tribunale può valutare se sostituirle con la vigilanza prescrittiva di cui all’art. 34-bis, comma 2, lett. b). Un ulteriore richiamo alle misure della prevenzione collaborativa è oggi presente anche in coda al settimo e ultimo dell’art. 34-bis citato ove si prevede che il prefetto possa tenere conto, ai fini dell’applicazione dell’art. 94-bis nei successivi cinque anni, della misura del controllo giudiziario.
Al sesto comma della disposizione, è stato invece ampliato il novero dei soggetti che il tribunale deve sentire ai fini dell’applicazione della misura del controllo giudiziario nei confronti dell’impresa già destinataria dell’informazione interdittiva, includendovi anche il prefetto che l’ha adottata.
Infine, il “decreto Recovery” ha riscritto anche il settimo comma dell’art. 34-bis il quale, oltre alle modifiche già segnalate, prevede oggi che “il provvedimento che dispone l’amministrazione giudiziaria prevista dall’articolo 34 o il controllo giudiziario ai sensi del presente articolo sospende il termine di cui all’articolo 92, comma 2, nonché gli effetti di cui all’articolo 94. Lo stesso provvedimento è comunicato dalla cancelleria del tribunale al prefetto dove ha sede legale l’impresa, ai fini dell’aggiornamento della banca dati nazionale unica della documentazione antimafia di cui all’articolo 96, ed è valutato anche ai fini dell’applicazione delle misure di cui all’articolo 94-bis nei successivi cinque anni”.
5. Brevi considerazioni conclusive
Dopo lunghi dibattiti dottrinali e giurisprudenziali, l’intervento legislativo sopra esaminato segna una rilevante apertura verso un approccio maggiormente garantista nella lotta alla mafia in ambito economico. Le nuove soluzioni individuate dal “decreto Recovery” dovrebbero, infatti, consentire – quantomeno in linea teorica – di salvaguardare sia l’ordine pubblico, la libera concorrenza e il buon andamento dell’azione amministrativa, sia lo sviluppo economico delle imprese, configurando le informazioni interdittive quasi come extrema ratio, applicabili cioè solo all’esito di un articolato procedimento amministrativo, partecipato dai soggetti interessati, ovvero qualora il percorso di risanamento aziendale non produca risultati positivamente valutabili. In questa prospettiva, i casi di estromissione delle imprese dal mercato, per effetto dell’applicazione di provvedimenti interdittivi, dovrebbero auspicabilmente ridursi, pur senza compromettere la sicurezza dello stesso.
Attraverso la riforma sopra esaminata, il “decreto Recovery” tenta, quindi, di operare un nuovo bilanciamento fra le diverse esigenze di contrasto alla criminalità organizzata, perseguite dal sistema delle interdittive antimafia, e di tutela del principio di libertà di iniziativa economica privata, fortemente compromesso dai gravi sacrifici imposti da dette misure.
Sotto questo profilo, il “decreto Recovery”, pur introducendo significative novità a beneficio delle imprese esposte al rischio di contiguità con il fenomeno mafioso, sconta però anche il limite – come spesso accade in questa materia – di ricercare il nuovo punto di equilibrio senza ripensare il sistema delle interdittive nel suo complesso, ma intervenendo su aspetti specifici dello stesso, mantenendo sostanzialmente inalterata la relativa disciplina e con essa i conseguenti dubbi di legittimità costituzionale e di compatibilità comunitaria posti dalla medesima ((cfr., ancora, D. Capotorto, Le misure di prevenzione dell’Anac e il loro impatto sulla contrattualistica pubblica, op. cit., 61 ss.).
In aggiunta a tali criticità, l’efficacia delle nuove misure introdotte dal d.l. n. 152/2021 potrebbe correre il rischio di essere depotenziata in sede operativa nelle ipotesi in cui, ad esempio, il contradditorio fra le imprese e l’amministrazione prefettizia non sia effettivo ovvero qualora quest’ultima ravvisi di frequente la sussistenza di ragioni di celerità che le consentano di omettere l’osservanza delle misure e degli adempimenti procedurali previsti dalla novella.
Alla luce di ciò, è quindi evidente che la reale portata innovativa delle misure introdotte dal “decreto Recovery” dipenderà dall’effettivo e rigoroso utilizzo che le autorità amministrative ne faranno in sede applicativa.
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