Editoriale estratto dal numero 11/2021 del mensile Appalti&Contratti – a cura di Alessandro Massari
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Come oramai ampiamente noto, dal 1° novembre scorso si è aperta la nuova fase di c.d. “liberalizzazione del subappalto”, con allineamento all’impostazione eurounitaria e soppressione dei limiti generali e astratti storicamente previsti dall’ordinamento italiano.
L’art. 49 del d.l. 77/2021 convertito in l. 108/2021 ha introdotto una disciplina finalizzata a superare i rilievi di non conformità sollevati sia dalla Commissione UE con la procedura di infrazione 2018/2273, sia dalla Corte di giustizia a partire dalla nota sentenza del 26 settembre 2019, C63/18. Sul subappalto è attesa anche l’imminente legge europea 2019/2020, la quale all’art. 8 (rubricato “Disposizioni in materia di contratti pubblici. Procedura di infrazione n. 2018/2273”) detta ulteriori norme, anch’esse finalizzate a chiudere definitivamente la medesima procedura di infrazione (con la definitiva soppressione, tra gli altri, dei riferimenti ai “subappaltatori” all’art. 80 del Codice, e alla famigerata “terna” di cui all’art. 105, comma 6).
A ben vedere, tuttavia, non tutti i rilievi formulati dalla Commissione UE sono stati declinati in specifiche disposizioni: si veda, ad esempio, il contestato divieto di “subappalto a cascata” ancora previsto dal comma 19 dell’art. 105, a mente del quale “L’esecuzione delle prestazioni affidate in subappalto non può formare oggetto di ulteriore subappalto”; lo stesso dicasi per il divieto di subavvalimento; e, ancora, la nuova disciplina di cui all’art. 49 del decreto Semplificazioni bis, rischia di aprire altre questioni, a partire dalla persistente previsione di limiti “interni” e “insopprimibili” al subappalto stabiliti dal novellato art. 105, comma 1 del Codice (per il quale “non può essere affidata a terzi l’integrale esecuzione delle prestazioni o lavorazioni oggetto del contratto di appalto, nonché la prevalente esecuzione delle lavorazioni relative al complesso delle categorie prevalenti e dei contratti ad alta intensità di manodopera”).
Le nuove norme sul subappalto hanno portata generale, non limitandosi all’ambito dei contratti finanziati in tutto o in parte dal PNRR e del PNC, e, per molti aspetti anticipano la riforma del Codice dei contratti pubblici. Circa l’applicazione ratione temporis delle nuove norme sul subappalto, in assenza di un criterio esplicito, vale il richiamo alla generale disciplina transitoria di cui all’art. 216, comma 1, del d.lgs. 50/2016, (atteso che l’art. 49 del d.l. 77/2021 va a modificare direttamente il Codice dei contratti pubblici), in forza della quale il nuovo regime trova applicazione alle procedure e ai contratti per le quali i bandi o avvisi con cui si indice la procedura di scelta del contraente siano pubblicati dal 1° novembre 2021, nonché, in caso di contratti senza pubblicazione di bandi o di avvisi, alle procedure e ai contratti in relazione ai quali, alla medesima data di entrata, non siano ancora stati inviati gli inviti a presentare le offerte. Per le procedure avviate dal 1 giugno al 31 ottobre 2021 trova applicazione il “regime transitorio” in forza del quale il subappalto non può superare la quota del 50% dell’importo complessivo del contratto di lavori, servizi o forniture.
Si rammenta che l’ANAC col Comunicato 15 ottobre 2021 ha precisato, sposando la tesi più restrittiva, che “risulta esclusa la possibilità di subappaltare la percentuale ulteriore delle lavorazioni rientranti nelle categorie super specialistiche”, affermando dunque che il limite generale del 50% operante fino al 31 ottobre 2021, “deve essere calcolato con riferimento al valore complessivo del contratto, senza poter distinguere (come era precedentemente) tra categorie super specialistiche e altre categorie di lavorazioni”.
Il subappalto è ora oggetto di un duplice ordine di limiti. Anzitutto vengono in considerazione i ricordati limiti “interni” stabiliti dal comma 1 dell’art. 105 del Codice, per il quale non può essere affidata a terzi l’integrale esecuzione delle prestazioni o lavorazioni oggetto del contratto d’appalto.
L’affidamento a terzi dell’integrale esecuzione dell’appalto è sanzionato con la nullità del relativo contratto e ricomprende la cessione del contratto, il subappalto, compreso quello cd “qualificante o necessario”, nonché ogni possibile forma di avvalimento integrale di tipo esecutivo, con esclusione dei casi in cui un nuovo contraente sostituisce quello a cui la stazione appaltante aveva inizialmente aggiudicato l’appalto disciplinati all’art. 106, comma 1, lett. d) del Codice. Lo stesso comma 1 dell’art. 105 stabilisce che non possa essere subappaltata, sempre a pena di nullità, la prevalente esecuzione delle lavorazioni relative al complesso delle categorie prevalenti e dei contratti ad alta intensità di manodopera. Come osservato (IFEL) la norma utilizza la locuzione “lavorazioni relative al complesso delle categorie prevalenti” e dunque sembrerebbe consentire di individuare non una ma più categorie prevalenti da considerare nel loro complesso. Tuttavia, il Codice dei Contratti pubblici disciplina esclusivamente al singolare la categoria prevalente, come definita all’art. 3, comma 1, lett. oobis) quale categoria di lavori, generale o specializzata, di importo più elevato fra le categorie costituenti l’intervento e indicate nei documenti di gara. È pertanto condivisibile la tesi per la quale, anche in virtù di una lettura sistematica del sistema delle fonti nazionali e comunitarie, si ritiene che non sia consentito accorpare più categorie di lavori al fine di limitare gli affidamenti in subappalto. Secondo altra pregevole dottrina (Gentile), tuttavia, i termini “categorie prevalenti” sono preceduti dalle parole “complesso delle” che non sembra lasciare dubbi sull’intenzione del legislatore di riferirsi proprio al plurale.
Non solo, ma il riferimento alle “categorie prevalenti” è contenuto anche al già richiamato articolo 105, comma 14, del Codice, così come modificato sempre ad opera del decreto n. 77/2021 (ci si riferisce all’inciso “… ovvero riguardino le lavorazioni relative alle categorie prevalenti e siano incluse nell’oggetto sociale del contraente principale”): gli “indizi” di cui sopra sembrerebbero costituire la prova della volontà del legislatore di ammettere la possibilità di indicare in bando più categorie prevalenti. Si tratterebbe di una modifica piuttosto impattante, destinata ad aprire altri scenari di poca chiarezza (basti pensare ai requisiti di partecipazione e alla ripartizione degli stessi nell’ambito dei raggruppamenti temporanei).
La norma, inoltre, facendo riferimento a “lavorazioni” e “categorie prevalenti”, non pare suscettibile di applicazione analogica negli appalti di servizi che si compongono di “prestazioni principali” e “secondarie” e non di “categorie prevalenti” e “scorporabili”. Per i contratti di servizi, di conseguenza, non è consentita la prevalente esecuzione tramite subappalto soltanto nei casi in cui sussista il requisito dell’“alta intensità di mano d’opera” ovvero di quei contratti nei quali il costo della manodopera, come stimato dalla stazione appaltante in fase di gara, sia pari almeno al 50 per cento dell’importo totale del contratto.
In caso di appalti misti, poi, la questione si complica e la stazione appaltante dovrà individuare con estrema chiarezza i diversi regimi di qualificazione richiesti, e precisare se è consentito o meno il subappalto qualificante anche per una intera prestazione e le quote di subappalto “libero”.
Relativamente ai limiti “esterni”, disciplinati al comma 2 dell’art. 105, le stazioni appaltanti, previa adeguata motivazione nella determina a contrarre, potranno indicare nei documenti di gara le prestazioni o lavorazioni oggetto del contratto di appalto da eseguire a cura dell’aggiudicatario e quindi non subappaltabili (con una inversione dell’onere informativo rispetto al quadro previgente ove andavano invece indicate le prestazioni subappaltabili). La nuova disposizione pare allineata alle direttive UE, le quali (art. 63, comma 2 della Direttiva n. 24/2014 UE) consentono alle amministrazioni aggiudicatrici di poter esigere che taluni compiti essenziali siano direttamente svolti dall’offerente stesso, e dunque di limitare il subappalto, compreso il subappalto qualificante e il subappalto a favore dell’impresa ausiliaria nell’ambito dell’avvalimento. I limiti “esterni” possono essere motivati in ragione:
1) delle specifiche caratteristiche dell’appalto, ivi comprese quelle di cui all’art. 89, comma 11, del codice dei contratti;
2) dell’esigenza, tenuto conto della natura o della complessità delle prestazioni o delle lavorazioni da effettuare, di rafforzare il controllo delle attività di cantiere e più in generale dei luoghi di lavoro e di garantire una più intensa tutela delle condizioni di lavoro e della salute e sicurezza dei lavoratori;
3) dell’esigenza, eventualmente avvalendosi del parere delle Prefetture competenti, di prevenire il rischio di infiltrazioni criminali, a meno che i subappaltatori siano iscritti nell’elenco dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori di cui al comma 52 dell’art. 1, l. n. 190 del 2012, ovvero nell’anagrafe antimafia degli esecutori istituita dall’art. 30 del d.l. n. 189 del 2016. Nel caso della previsione di limiti attinenti alle “specifiche caratteristiche dell’appalto”, va detto che si tratta di valutazioni che attengono all’esercizio di una discrezionalità tecnica, come tale soggetta al sindacato “debole” del giudice amministrativo; i limiti possono riferirsi anche alle c.d. SIOS, rispetto alle quali, come rilevato dall’ANAC nella delibera n. 704 del 4 agosto 2020) “le opere superspecialistiche, c.d. SIOS, in quanto opere per le quali sono necessari lavori o componenti di notevole contenuto tecnologico o di rilevante complessità tecnica, sono soggette a un regime normativo in deroga alle norme generali sotto diversi profili, che si giustifica nelle intenzioni del legislatore con l’esigenza di assicurare alla stazione appaltante che l’esecuzione di tali opere sia effettuata soprattutto dall’appaltatore qualificato”.
La previsione di limiti al subappalto delle SIOS comporta di conseguenza l’onere del concorrente di qualificarsi mediante il ricorso alla figura del RTI. In tale prima categoria di limiti possono ricomprendersi anche quelli relativi ai servizi intellettuali, aventi ad oggetto lo svolgimento di prestazioni professionali svolte in via eminentemente personale. Si può ritenere, in generale, che alcune limitazioni possano essere motivate per alcune tipologie di appalti ove siano implicate esigenze di sicurezza (es. servizi di vigilanza) che sottendono un rapporto diretto e “fiduciario” con l’appaltatore che, per la natura e il carattere sensibile degli interessi e degli obiettivi coinvolti, rendono inopportuna o rischiosa la presenza, nelle sedi o in determinati luoghi della stazione appaltante, di soggetti diversi dal contraente principale. Per i servizi a “regime alleggerito” di cui all’art. 142, comma 5bis, del Codice (servizi sanitari, servizi sociali e servizi connessi; servizi di prestazioni sociali; altri servizi pubblici, sociali e personali, inclusi servizi forniti da associazioni sindacali, da organizzazioni politiche, da associazioni giovanili e altri servizi di organizzazioni associative), il mancato richiamo dell’art. 105, nel quadro delle norme obbligatorie per l’affidamento di tali servizi (individuate dall’art. 142, comma 5septies), consente di motivare più agevolmente anche un’integrale esclusione del ricorso al subappalto.
I limiti afferenti all’esigenza di rafforzare il controllo delle attività di cantiere e di garantire una più intensa tutela delle condizioni di lavoro e della salute e sicurezza dei lavoratori, sottendono una valutazione che tenda a contemperare le esigenze organizzative relative alla vigilanza del cantiere e la libertà di organizzazione dell’appalto da parte dell’appaltatore (anche mediante ricorso al subappalto). Infine, i limiti finalizzati a prevenire il rischio di infiltrazioni criminali, per i quali pare di particolare rilevanza il parere delle Prefetture competenti, possono essere superati dal contraente nel caso di ricorso di subappaltatori iscritti nelle Whitelist di cui alla l. 190/2012 o al d.l. 189/2016. Rispetto alla discrezionalità della stazione appaltante di apporre limiti esterni, oltre a quelli “interni” peraltro già di particolare impatto e consistenza, si pone in prospettiva la questione di compatibilità (o “sostenibilità”) eurounitaria di eventuali prassi generalizzate ed uniformi tra le stazioni appaltanti, che si traducano nella fissazioni di limiti sistematici al subappalto sulla base di motivazioni “a stampo”, riproponendosi per tale via la riviviscenza di limiti generali e stabili all’operatività dell’istituto, in contrasto con le note indicazioni UE.
Altra disposizione innovativa che pone nuove questioni applicative è contenuta nel comma 14 per la quale “Il subappaltatore, per le prestazioni affidate in subappalto, deve garantire gli stessi standard qualitativi e prestazionali previsti nel contratto di appalto e riconoscere ai lavoratori un trattamento economico e normativo non inferiore a quello che avrebbe garantito il contraente principale, inclusa l’applicazione dei medesimi contratti collettivi nazionali di lavoro, qualora le attività oggetto di subappalto coincidano con quelle caratterizzanti l’oggetto dell’appalto ovvero riguardino le lavorazioni relative alle categorie prevalenti e siano incluse nell’oggetto sociale del contraente principale”.
Come si dà conto nella Relazione illustrativa, tale disposizione si è resa necessaria per garantire la tutela dei lavoratori dagli eccessivi ribassi applicati ai subappaltatori, anche alla luce della soppressione della previsione che stabilisce un limite percentuale (20%) al ribasso (soppressione operata al fine di risolvere la procedura di infrazione sul punto la quale ritiene l’ordinamento interno non compatibile con le Direttive laddove si prevedeva un limite prestabilito per legge per il ribasso d’asta). Come attentamente osservato (IFEL), il controllo dell’attuazione di tali disposizioni appare non agevole in quanto alla stazione appaltante è richiesto di verificare l’esatta sovrapponibilità delle prestazioni o lavorazioni dedotte in contratto con l’oggetto sociale indicato dagli operatori economici, che sono spesso di portata ampia e generica. In caso di inadempimento da parte del subappaltatore si dovrebbe ipotizzare un pagamento “compensativo” e diretto da parte della stazione appaltante, in analogia con quanto ad es. previsto dall’art. 30, comma 6 del Codice dei contratti pubblici per il caso del ritardo nel pagamento delle retribuzioni.
Altra questione è poi quella circa l’applicabilità delle clausole sociali anche in relazione ai contratti di subappalto, atteso che, in caso contrario, risulterebbero frustrate le finalità sociali sottese alle medesime clausole, specie nell’ipotesi di subappalto per quote rilevanti dell’importo contrattuale. Infine, la nuova responsabilità solidale del subappaltatore nei confronti della stazione appaltante, per le prestazioni oggetto del contratto di subappalto, delineata dal novellato comma 8 dell’art. 105, se da un lato contribuisce ad avvicinare tale istituto all’avvalimento (declinato quale subappalto), nel quale l’ausiliaria subappaltatrice ha sempre assunto la responsabilità solidale nei confronti del committente pubblico), dall’altro pone questioni sulle modalità di emissione della garanzia definitiva di cui all’art. 103, alla luce del divieto di aggravamento degli oneri a carico degli operatori economici.
Se, come recentemente ricordato anche l’ANAC, “l’impatto sul mercato di tale nuova disciplina è sensibile e particolarmente rilevante”, è essenziale che la stessa Autorità e il MIMS emanino tempestivamente linee guida o strumenti operativi a supporto della stazioni appaltante, che rimane l’attore principale nella corretta applicazione della nuova disciplina del subappalto, sia con riferimento alla individuazione dei limiti, sia nella verifica del rispetto dei nuovi obblighi in capo al subappaltatore.
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