La III Sezione del Consiglio di Stato, con sentenza n. 2102 del 12 marzo 2021, è intervenuta in materia di in house providing, soffermandosi sui profili applicativi dell’art. 192, comma 2, d.lgs. n. 50/2016, relativi all’obbligo motivazionale per la deroga al ricorso al mercato.
Si tratta di una pronuncia che ha il merito di ricondurre un’analisi rigorosa svolta a partire dal testo della motivazione resa dall’Amministrazione, giudicata generica e insufficiente, all’esigenza primaria di evitare ingiustificate compressioni del principio di tutela della concorrenza.
La fattispecie di cui si occupa la sentenza in commento è disciplinata dall’art. 192, comma 2, d.lgs. n. 50/2016, secondo cui, ai fini dell’affidamento diretto in house di servizi disponibili sul mercato in regime di concorrenza, le stazioni appaltanti, nella motivazione del provvedimento, devono dare atto «delle ragioni del mancato ricorso al mercato, nonché dei benefici per la collettività della forma di gestione prescelta, anche con riferimento agli obiettivi di universalità e socialità, di efficienza, di economicità e di qualità del servizio, nonché di ottimale impiego delle risorse pubbliche».
La sentenza del Consiglio di Stato pare applicare correttamente la norma e si pone sulla scia della decisione con cui la Corte costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale che la riguardava (Corte cost., 27 maggio 2020, n. 100, commentata su questo sito). Il Consiglio di Stato, infatti, opportunamente riconduce la ratio della norma a una direttrice proconcorrenziale, così come già fatto dalla stessa Corte costituzionale, secondo cui essa «risponde agli interessi costituzionalmente tutelati della trasparenza amministrativa e della tutela della concorrenza» (Corte cost. n. 100/2020). La correttezza di tale linea interpretativa è confermata dalla lettura del parere n. 855/2016 del Consiglio di Stato sulla bozza di Codice dei contratti pubblici nonché nella giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE, sez. IX, ord., 6 febbraio 2020, C-89/19 a C-91/19; CGUE, sez. IV, sent., 3 ottobre 2019, C-285/18).
L’obiettivo di promuovere la concorrenza, infatti, costituisce uno dei pilastri del diritto dell’Unione europea, ai sensi nell’art. 3, comma 3, TUE, dell’art. 3, lett. b), e nell’art. 119, TFUE, per i benefici che porta al tessuto economico delle imprese e, in definitiva, agli stessi cittadini.
Nel caso di specie, la III Sezione richiama altresì un proprio precedente, secondo cui la norma in esame «impone che l’affidamento in house di servizi disponibili sul mercato sia assoggettato a una duplice condizione […] a) […] l’obbligo di motivare le condizioni che hanno comportato l’esclusione del ricorso al mercato. Tale condizione muove dal ritenuto carattere secondario e residuale dell’affidamento in house, che appare poter essere legittimamente disposto soltanto in caso di, sostanzialmente, dimostrato ‘fallimento del mercato’ […]; b) […] indicare […] gli specifici benefìci per la collettività connessi all’opzione per l’affidamento in house». La sentenza richiamata aveva, poi, già precisato che «la previsione dell’ordinamento italiano di forme di motivazione aggravata per supportare gli affidamenti in house muove da un orientamento di sfavore verso gli affidamenti diretti in regìme di delegazione interorganica, relegandoli ad un ambito subordinato ed eccezionale rispetto alla previa ipotesi di competizione mediante gara tra imprese» (Cons. Stato, sez. III, 3 marzo 2020, n. 1564).
Ciò chiarito in via preliminare, la congruità dell’attività istruttoria posta in essere dall’Amministrazione, per essere ottemperante rispetto al dictum dell’art. 192, comma 2, deve essere chiaramente valutata caso per caso, a seconda della motivazione in concreto resa.
Nel caso qui in esame, la motivazione relativa alla congruità della motivazione resa dall’Amministrazione appare significativamente approfondita e mai banale.
Non è un caso, infatti, se la decisione in commento diviene particolarmente interessante proprio ove motiva in merito all’insufficienza delle ragioni giustificative per la deroga al ricorso al mercato nel caso di specie.
La pronuncia, infatti, con un’attenta disamina della motivazione fornita, svolta quasi parola per parola, finisce per escludere che considerazioni di carattere soggettivo concernenti il soggetto affidatario possano giustificare l’affidamento in house e dimostrare che nel mercato non siano reperibili soggetti ugualmente qualificati da un punto di vista professionale/esperenziale.
Non potrà essere, quindi, sufficiente, per rispettare l’art. 192, comma 2, e superare possibili carenze istruttorie e motivazionali, affermare genericamente che gli standard di qualità, efficienza ed economicità siano raggiungibili “solo” attraverso la società in house.
Non sarà nemmeno sufficiente riferirsi alle «dimensioni» e alla «complessità della struttura», nonché alle «esigenze di servizio e dell’utenza» e alla necessità di affidare il servizio a «un soggetto pienamente qualificato», per giustificare la scelta internalizzante.
Tale genere di considerazioni, infatti, riferite alla qualificazione soggettiva del soggetto in house, non consentono di escludere che sul mercato esistano altri soggetti ugualmente (o più) qualificati e, quindi, non giustificano la deroga al principio di concorrenza.
Analogamente, tale deroga non può essere giustificata dalla generica affermazione sulla presunta «importanza notevole» di avere «un unico soggetto di riferimento» né dalle considerazioni sulla «maggiore semplicità e immediatezza»: nell’escludere la rilevanza di tali giustificazioni, il Consiglio di Stato pare cogliere nel segno, dal momento che il principio di concorrenza, tutelato anche a livello eurounitario, postula l’esistenza di benefici per la collettività in presenza (e non in assenza) di una pluralità di operatori economici.
Correttamente, poi, la III Sezione esclude che l’altrettanto generica statuizione sulla sussistenza di «notevoli benefici per la collettività […], andando, altresì, a perseguire obiettivi di universalità e socialità» possa giustificare la compressione della concorrenzialità: tale affermazione, in effetti, non solo appare tautologica, ma finisce per replicare meccanicisticamente il contenuto della norma. Nulla aggiunge, dunque, rispetto alle considerazioni sull’elevata qualificazione soggettiva del soggetto affidatario, già correttamente ritenute insussistenti dal Consiglio di Stato.
La decisione del Consiglio di Stato merita di essere salutata con favore per aver saputo correttamente ricondurre l’ambito di applicabilità della norma alla sua funzione di tutela della concorrenza “nel” mercato e “per” il mercato, concezioni entrambe espressamente richiamate, di cui si ricorda la valenza eurounitaria.
Si ricorda brevemente che l’accezione di concorrenza “nel mercato” è intesa quale strumento di eliminazione di vincoli alla libera esplicazione di attività imprenditoriale e alla competizione tra imprese. La concezione di concorrenza “per il mercato”, invece, mira alla più ampia partecipazione degli operatori economici al mercato, anche mediante la predisposizione di procedure di evidenza pubblica sempre più efficaci e capillari.
Una visione della tutela della concorrenza, che comprenda entrambe le concezioni, consentirebbe di garantire ai cittadini migliori servizi e quindi maggiore benessere, nell’ottica del raggiungimento dell’«utilità sociale», anche e soprattutto per il tramite dell’evidenza pubblica.
Il Consiglio di Stato dimostra di aver colto il portato di tali principi: l’esegesi rigorosa della motivazione resa dall’Amministrazione viene sempre svolta, infatti, nell’alveo di una necessaria tutela della concorrenza nelle sue diverse concezioni.
È chiaro, quindi, che una disposizione come quella di cui all’art. 192, comma 2, ormai lungi dall’essere sospettata di incostituzionalità, assume in questo senso un ruolo cruciale: essa costituisce, infatti, l’argine ad un utilizzo indiscriminato dell’in house providing a svantaggio del mercato. In quest’ottica, il sindacato del giudice amministrativo sul rigore delle motivazioni di volta in volta fornite costituisce il banco di prova per un’efficace tutela del principio di concorrenza nel nostro ordinamento, coerentemente con gli obiettivi fissati a livello eurounitario.
Chiarisce il Consiglio di Stato, infatti, che «immediato corollario applicativo della disposizione citata, e del valore pro-concorrenziale ad essa riconosciuto dalla giurisprudenza costituzionale, è quindi l’impossibilità di fare leva su dati evanescenti, di carattere eventuale o meramente organizzativo, insuscettibili di manifestare un corrispondente significativo beneficio per la collettività, derivante dal ricorso al modello dell’in house providing, e di integrare una parallela valida ragione derogatrice del ricorso primario al mercato».
In definitiva, la pronuncia in commento si fa particolarmente apprezzare perché fornisce una lettura rigorosa della norma, ritenendo insufficiente una motivazione soltanto apparentemente strutturata ed esaustiva ma in realtà tautologica e generica.
Non è possibile, infatti, rendere motivazioni ex art. 192, comma 2, che si limitino nella sostanza ad affermare una presunta superiorità del modello internalizzante, senza chiarire perché sul mercato non sarebbero reperibili soggetti altrettanto qualificati.
Nella lettura fornita dal Consiglio di Stato, correttamente l’in house conferma la sua natura eccezionale rispetto alla regola consistente nel ricorso al mercato, sulla scia di quanto hanno recentemente già chiarito la Corte costituzionale e la Corte di Giustizia dell’Unione europea (Corte Giust. UE, sez. IX, ordinanza 6 febbraio 2020, cause da C-89/19 a C-91/19, Rieco).
Con la decisione in esame, dunque, il Consiglio di Stato si pone a tutela del principio di concorrenza, scoraggiando il favor per il modello in house sempre più spesso manifestato dalle Amministrazioni e valorizzando il ricorso al mercato in un’ottica proconcorrenziale.
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