Con sentenza n. 1116 del 18 febbraio 2019, la Sezione V del Consiglio di Stato afferma la legittimità della revoca di un’aggiudicazione provvisoria di una concessione di lavori disposta in ragione del mancato possesso del requisito della regolarità contributiva. Avverso la revoca era insorta per molteplici ragioni l’A.t.i. aggiudicataria, rilevando in particolare in punto di fatto che le irregolarità contributive sopravvenute all’aggiudicazione erano state tempestivamente sanate e si palesavano in ogni caso come prive del carattere della definitività e gravità, elementi viceversa necessari per disporre l’esclusione.
La questione era regolata, ratio temporis, dall’art. 38 del d.lvo 163/06, tuttavia il Collegio lascia intendere che l’indirizzo è da ritenere valido anche con riguardo all’attuale art. 80, co. 4 del d.lvo 50/16, norma in relazione alla quale si è formato un orientamento che asseritamente si pone in piena continuità con quello precedente.
Afferma anzitutto il Collegio che l’eventuale sanatoria intervenuta ex post ha esclusiva rilevanza nei rapporti interni fra l’impresa e l’Ente previdenziale e rimane viceversa indifferente nei rapporti con la stazione appaltante con riguardo al corretto possesso dei requisiti.
Il principio che in linea generale si richiama e che evidentemente sorregge tale capo della pronuncia è quello della continuità del possesso dei requisiti, continuità che deve caratterizzare l’offerente al momento della presentazione dell’offerta e sino all’aggiudicazione definitiva. Tale esigenza di continuità, posta a propria volta a presidio della par condicio, preclude la rilevanza di qualunque regolarizzazione postuma di un requisito che per un dato intervallo temporale e prima della sanatoria non era posseduto.
L’importo particolarmente modesto dell’omesso versamento nel caso specifico acuisce il rilievo delle statuizioni del Consiglio di Stato.
È anzitutto da escludere, ad avviso del Collegio, che la Stazione appaltante abbia la possibilità di esercitare un sindacato “di merito” circa la valenza di una certificazione negativa, indagando dell’entità delle omissioni o violazioni che l’hanno determinata.
Ferma la giurisdizione del giudice amministrativo sulla regolarità del DURC (Ad. Plen. 20/2016 e Cass. Civ. 8117/17, richiamate dalla pronuncia in commento, nonché Cons. St. 2529/17) si rileva infatti che l’ambito di tale sindacato non è esteso alla gravità o definitività delle irregolarità ma investe unicamente la regolare registrazione di tali dati e la sussistenza effettiva dei presupposti per addivenire alla dichiarazione negativa; laddove sul punto non vi sia contestazione, vanno per definizione reputate gravi tutte le irregolarità cui la legge ricollega il rilascio di un DURC negativo.
Il principio, già enunciato da Cons. St. 3385/2018 e che la pronuncia in commento richiama, è quello secondo cui le certificazioni degli istituti di previdenza “si impongono alle stazioni appaltanti, che non possono sindacarne il contenuto”.
In particolare, riconosce il Collegio che implica violazione grave la mancata presentazione di denunce obbligatorie anche del tutto a prescindere dall’entità dell’importo il cui mancato versamento dipenda dall’omessa dichiarazione.
Il Collegio si premura di precisare che una simile ricostruzione non confligge con l’ordinamento europeo ed in particolare con gli artt. 49, 59 e 101 del TFUE, né con la direttiva 2004/18/UE, dal momento che l’omessa dichiarazione preclude l’attivazione di quel sistema di verifiche controlli, liquidazioni e versamenti obbligatori su cui l’intero sistema previdenziale è fondato, di modo che – in ossequio al vincolo di auto-responsabilità e diligenza media che incombe all’impresa, essa incorrerà in una violazione da reputare grave per il fatto di aver impedito, attraverso l’omessa dichiarazione, il corretto funzionamento del sistema previdenziale.
Quel che rileva non è dunque l’entità del mancato versamento, ma l’inadempimento in sé e per sé considerato. Il che ad avviso del Collegio sostanzia la gravità della violazione ed esclude qualunque possibile contrasto con la disciplina eurounitaria. D’altra parte, il particolare rigore riservato alle ipotesi di irregolarità previdenziali e contributive è confermato dall’atto di costituzione in mora 2018/2273, con il quale la Commissione UE ha data avvio alla procedura di infrazione in relazione al Codice dei contratti evidenziando fra l’altro come l’art. 80, co. 4 del Codice non sarebbe compatibile con la disciplina Europea nella misura in cui sembrerebbe offrire rilievo esclusivamente alle violazioni degli obblighi contributivi definitivamente accertate con sentenza o atto amministrativo non impugnabile, precludendo in assenza la dimostrazione della violazione da parte dell’amministrazione aggiudicatrice.
Combinando il principio enunciato dal Giudice con le indicazioni impartite dalla Commissione si ottiene che – se da un lato il DURC negativo preclude all’amministrazione qualunque valutazione di merito ed implica ragione di esclusione a prescindere da una eventuale sanatoria, il DURC positivo può di per sé non essere rilevante in accordo con le indicazioni della Commissione, laddove l’amministrazione sia in grado di dimostrare altrimenti la sussistenza di violazioni rilevanti.
Il Collegio ribadisce anche il principio secondo cui la modifica della composizione del raggruppamento al fine di espungere i soggetti privi del requisito non è consentita neppure se il raggruppamento, epurato di tali componenti, fosse in possesso dei necessari requisiti di partecipazione ed esecuzione, data l’evidente finalità elusiva che presenterebbe la modifica della compagine.
La sussistenza di giuste ragioni di esclusione dell’aggiudicataria provvisoria dalla procedura di gara è stato elemento valorizzato dal Consiglio di Stato al fine di escludere che vi fossero i presupposti per ritenere illegittima o comunque fonte di un pregiudizio risarcibile, la revoca dell’aggiudicazione stessa, disposta dalla Stazione appaltante decorso un considerevole lasso di tempo dalla comunicazione delle risultanze della procedura.
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