Il principio del c.d. ‘utile necessario’ non si applica alle società cooperative a mutualità prevalente

Non assurge ad obbligo legale la mera possibilità che le società cooperative a mutualità prevalente perseguano scopi lucrativi

Gaetano Zurlo 27 Novembre 2018
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Non assurge ad obbligo legale la mera possibilità che le società cooperative a mutualità prevalente perseguano scopi lucrativi

Con la pronuncia in commento, il Consiglio di Stato ha affrontato la questione se sussista o meno per le società cooperative a mutualità prevalente ex art. 2512 c.c. la necessità di esporre un utile di esercizio al fine di dimostrare la complessiva attendibilità della propria offerta.

In particolare, nella fattispecie esaminata dai giudici, un concorrente ha impugnato l’aggiudicazione della gara disposta in favore di altro operatore economico avente forma giuridica di società cooperativa a mutualità prevalente lamentando l’insostenibilità e l’inaffidabilità della offerta da questi avanzata perché priva di utile.

Al fine di definire tale controversia, il Consiglio di Stato ha dapprima dato conto del proprio consolidato orientamento secondo cui, da una parte, per le società tipicamente lucrative, sussiste la necessità di esporre un utile di esercizio al fine di escludere la formulazione di offerte incongrue e inaffidabili in quanto non sostenibili sul piano economico e, dall’altra, invece, per le organizzazioni non lucrative di utilità sociale, non sussiste siffatta necessità atteso che l’offerta senza utile non è, solo per questo, anomala o inaffidabile, in quanto non impedisce il perseguimento efficiente di finalità istituzionali che prescindono da tale vantaggio economico.

I Giudici di Palazzo Spada, nel confermare la legittimità del provvedimento di aggiudicazione, hanno quindi rilevato che il principio del c.d. utile necessario, analogamente a quanto ritenuto per le organizzazioni non lucrative di utilità sociale, non possa trovare applicazione nemmeno per le società cooperative a mutualità prevalente ex art. 2512 c.c..

A sostegno di tale assunto, i giudici rilevano che il codice civile contempla la mera possibilità e non l’obbligo legale che tale tipologia di società persegua anche scopi lucrativi e, al contempo, fissa specifici e penetranti limiti al perseguimento da parte delle medesime di fini di ‘lucro soggettivo’.

La finalità delle società in parola, difatti, è essenzialmente quella di consentire la prestazione lavorativa da parte dei soci e di svolgere la propria attività in favore di essi essendo quella lucrativa, invece, solo marginale e, comunque, eventuale.

Conclude quindi il Consiglio di Stato che: “anche laddove le società cooperative in questione realizzino un numero cospicuo di operazioni dietro la sola copertura dei costi di gestione (ma utilizzando e remunerando in modo adeguato l’attività dei soci), esse avranno certamente operato in modo serio e attendibile, potendo sostenere anche nel lungo periodo la formulazione di offerte finalizzate alla sola copertura dei costi. La formulazione di tale tipologia di offerte, in definitiva, risulta del tutto coerente con le caratteristiche stesse del modello in esame e non palesa alcun profilo di incongruità o inattendibilità”.

Pubblicato il 19/11/2018
06522/2018REG.PROV.COLL.
06740/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello numero di registro generale 6740 del 2018, proposto dalla Geca Italia S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Annalisa Di Giovanni, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via di San Basilio, n. 61;

contro

Rai – Radiotelevisione Italiana S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Marcello Clarich, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale Liegi, n. 32;

nei confronti

C.A.R.E.S. S.C.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Marzia Eoli, Agostino Vismara e Marco Selvaggi, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Marco Selvaggi in Roma, via Nomentana, n. 76;

per la riforma della sentenza del T.A.R. del Lazio, Sezione III, n. 7379/2018;

 Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Rai – Radiotelevisione Italiana S.p.A. e di C.A.R.E.S. S.C.R.L.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 18 ottobre 2018 il Cons. Claudio Contessa e uditi per le parti gli avvocati Annalisa Di Giovanni, Marcello Clarich, Marzia Eoli e Marco Selvaggi;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue

FATTO

Con ricorso n. 7924 del 2017 proposto innanzi al Tribunale Amministrativo per il Lazio la società Geca Italia S.r.l. impugnava l’aggiudicazione definitiva, resa in favore della C.A.R.E.S. Cooperativa analisi e rilevazioni economiche e sociali s.c.r.l., di cui alla “Procedura aperta ai sensi dell’articolo 60 del d.lgs. n. 50/2016 per l’affidamento del servizio di rilevazione dei contenuti dei programmi televisivi trasmessi su canali Rai ed altre emittenti nazionali – gara n. 6480093”, indetta dalla la RAI – Radiotelevisione Italiana S.p.a.

Lamentava la violazione dell’articolo 97 della Costituzione, dell’articolo 97 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, delle regole sulla concorrenza e della disciplina di gara in ordine al sub-procedimento di anomalia dell’offerta, con particolare riguardo all’utile di esercizio; rilevava l’eccesso di potere per difetto di istruttoria, travisamento, erroneità dei presupposti; contestava le offerte concorrenti in ordine alla sostenibilità, all’affidabilità, alla logicità e alla congruità, anche riguardo ai progetti e ai costi del personale, nonché con riferimento alla impropria qualificazione dei rapporti di lavoro.

Con sentenza n. 7379 del 4 Luglio 2018, l’adito tribunale, sez. III, respingeva il ricorso.

Per la riforma di tale sentenza la società Geca Italia S.r.l. (d’ora Geca) ha proposto appello con riproposizione dei motivi di prime cure così articolati:

– Error in iudicando. Sul primo motivo di ricorso “Violazione dell’articolo 97 del d.lgs. 50/2016 e della disciplina di gara in ordine al sub-procedimento di anomalia dell’offerta, con particolare riguardo all’utile di esercizio. Eccesso di potere per difetto d’istruttoria, travisamento, erroneità dei presupposti. Insostenibilità, inaffidabilità e comunque inammissibilità dell’offerta di Cares per mancanza di utile. Violazione dell’articolo 97 della Costituzione”;

– Error in iudicando. Sul secondo motivo di ricorso “Inaffidabilità e insostenibilità del progetto di Cares in ordine allo svolgimento dell’attività di scalettatura. Eccesso di potere per difetto di istruttoria. Violazione dell’articolo 97 della Costituzione”;

– Error in iudicando. Sul terzo motivo di ricorso “Illogicità manifesta e incongruità dell’offerta con riguardo ai costi del personale. Contraddittorietà del progetto di Cares rispetto al Regolamento di Cares e alla legge 142/2001. Eccesso di potere per difetto di istruttoria, travisamento, erroneità dei presupposti. Violazione delle regole sulla concorrenza. Violazione dell’articolo 97 della Costituzione”;

– Error in iudicando. Sul quarto motivo di ricorso “Violazione dell’articolo 97 del d.lgs. 50/2016 e della disciplina di gara con particolare riguardo al sub-procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta (articolo 16 del disciplinare di gara)”.

Si sono costitute in giudizio la società Rai – Radiotelevisione italiana S.p.a. (in seguito RAI/TV) e la società C.A.R.E.S. – Cooperativa analisi e rilevazioni economiche e sociali s.c.r.l. (in seguito Cares) le quali hanno concluso per il rigetto dell’appello in quanto inammissibile e/o infondato, ivi compresa la domanda di rimessione all’Adunanza Plenaria per la soluzione di asseriti contrasti giurisprudenziali.

Alla camera di consiglio del 18 ottobre 2018, fissata per la delibazione della domanda cautelare di sospensione dell’esecutività della sentenza appellata, la Sezione ha avvertito le parti della possibilità della decisione della controversia direttamente nel merito con sentenza in forma semplificata e la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

  1. Giunge alla decisione del Collegio l’appello proposto dalla GECA Italia s.r.l., attiva nel settore dei servizi radiotelevisivi (la quale aveva partecipato alla gara di appalto indetta dalla RAI – Radiotelevisione italiana s.p.a. per l’affidamento del servizio di rilevazione dei contenuti radiotelevisivi) avverso la sentenza del T.A.R. del Lazio, sez. III, n. 7379/2018 con cui è stato respinto il suo ricorso avverso gli atti con cui la gara era stata aggiudicata alla CARES soc. coop. a r.l. (a seguito dell’esclusione della soc. Knowmark, inizialmente classificata al primo posto della graduatoria finale).

1.1. Come anticipato alle parti in data 18 ottobre 2018, il giudizio può essere definito con sentenza in forma semplificata ai sensi dell’articolo 60 del cod. proc. amm., sussistendone i presupposti in fatto e in diritto.

  1. Il primo motivo di appello implica la verifica della predicabilità o meno del prevalente indirizzo giurisprudenziale che impone ai candidati a una pubblica gara di appalto di esporre un ‘utile necessario’ al fine di dimostrare la complessiva attendibilità dell’offerta anche alle società cooperative a mutualità prevalente (articoli 2512 e segg. cod. civ.), quale l’appellata CARES.

2.1. Il Collegio è dell’avviso che la questione debba risolta in senso negativo.

2.1.1. Va in primo luogo osservato che, in base a un prevalente e condivisibile orientamento giurisprudenziale, il principio del c.d. ‘utile necessario’ trova fondamento, in assenza di una base normativa espressa, nel carattere innaturale e, quindi, intrinsecamente inaffidabile di un’offerta in pareggio che contraddica lo scopo di lucro e, in definitiva, la ratio essendi delle imprese e, più in generale, dei soggetti che operano sul mercato in una logica strettamente economica (cfr. ex plurimis e da ultimo Cons. Stato, Sez. V, 17 luglio 2014, n. 3805, cui si rinvia a mente del combinato disposto degli artt. 74 e 120, co. 10, c.p.a.).

Detta finalità, che è alla base del principio e ne definisce di conseguenza i confini applicativi, non è estensibile a soggetti che operano per scopi non economici, bensì sociali o mutualistici, per i quali l’obbligatoria indicazione di un utile d’impresa si tradurrebbe in una prescrizione incoerente con la relativa vocazione non lucrativa, con l’imposizione di un’artificiosa componente di onerosità della proposta. Ne deriva che, diversamente da quanto accade per gli enti a scopo di lucro, l’offerta senza utile presentata da un soggetto che tale utile non persegue non è, solo per questo, anomala o inaffidabile, in quanto non impedisce il perseguimento efficiente di finalità istituzionali che prescindono da tale vantaggio stricto sensu economico (in tal senso: Cons. Stato, V, sent. 84 del 2015; id, V, 3855 del 2016).

2.1.2. Occorre a questo punto verificare se tali conclusioni, raggiunte in particolare per le organizzazioni non lucrative di utilità sociale (per le quali è normativamente sancito il divieto di distribuire utili e avanzi di gestione – articolo 10, comma 1, lettera d) del decreto legislativo n. 460 del 1997 -), possano estendersi anche all’ipotesi di società cooperativa a mutualità prevalente ai sensi dell’articolo 2512 e segg. cod. civ., di cui alla fattispecie oggetto di controveria.

L’appellante, in sintesi, nega che ciò sia possibile in quanto tale tipologia di società opera secondo logiche tipicamente economiche di commisurazione fra i costi e i ricavi e – come rilevato da parte della giurisprudenza di primo grado – “lo scopo mutualistico nelle società cooperative, anche laddove sia ‘prevalente’ rispetto all’attività svolta con i terzi o all’utilizzo delle prestazioni dei soci, non esclude lo scopo di lucro (…)” (ricorso in appello, pag. 9).

2.1.2.1. Osserva al riguardo il Collegio che la mera possibilità – prevista dal codice civile – che le società cooperative a mutualità prevalente perseguano scopi lucrativi non assurge ad obbligo legale e che, anzi, il legislatore si limita di fatto a tollerare tale possibilità, senza considerarla né tipica, né paradigmatica.

Va poi sottolineato che lo stesso codice civile fissa specifici e penetranti limiti al perseguimento da parte delle società in parola di fini di ‘lucro soggettivo’ (si pensi al divieto di distribuire dividendi in misura superiore a un determinato parametro, ovvero al divieto di distribuire le riserve fra i soci cooperatori di cui all’articolo 2514 cod. civ.).

Ciò significa che la possibilità per le società in parola di perseguire fini di ‘lucro soggettivo’ resta confinata in un ambito del tutto eccettuale.

Il carattere soltanto ‘prevalente’ dello scopo mutualistico che caratterizza le società in esame non sta a significare che esse debbano necessariamente perseguire (sia pure in quota non prevalente) finalità lucrative, ma sta piuttosto a significare – il che è ben diverso – che l’attività di produzione di beni e servizi può ordinariamente essere rivolta in favore di enti e soggetti diversi dai soci, sia pure in modo non prevalente.

Ma ciò non esclude in alcun modo che, per le società in parola, il perseguimento di finalità lucrative resti in via generale escluso.

2.1.2.2. Le richiamate conclusioni risultano del tutto coerenti con le finalità che solitamente sono sottese alla richiesta di un ‘utile necessario’.

Nel caso delle società tipicamente lucrative, la giurisprudenza amministrativa ha chiarito che l’esistenza di un utile necessario (e l’esclusione persino di offerte in pareggio) si giustifichi al fine di escludere la formulazione di offerte incongrue e – in ultima analisi – inaffidabili in quanto non sostenibili sul piano economico.

Ma tale rigoroso approccio (che risulta pienamente giustificato nel caso di imprese che hanno l’esigenza di permanere sul mercato in ordinarie condizioni di remuneratività) non risulta confacente al diverso caso delle società cooperative a mutualità prevalente, la cui finalità è essenzialmente quella di consentire la prestazione lavorativa da parte dei soci (dietro adeguata remunerazione) e di svolgere la propria attività in favore di essi.

Ciò significa che, anche laddove le società cooperative in questione realizzino un numero cospicuo di operazioni dietro la sola copertura dei costi di gestione (ma utilizzando e remunerando in modo adeguato l’attività dei soci), esse avranno certamente operato in modo serio e attendibile, potendo sostenere anche nel lungo periodo la formulazione di offerte finalizzate alla sola copertura dei costi.

La formulazione di tale tipologia di offerte, in definitiva, risulta del tutto coerente con le caratteristiche stesse del modello in esame e non palesa alcun profilo di incongruità o inattendibilità.

2.1.3. Per le ragioni esposte deve ritenersi che l’offerta formulata dalla CARES, in quanto idonea alla copertura dei costi e all’adeguata remunerazione dell’attività dei soci lavoratori, risultasse certamente sostenibile e non anomala e non meritava pertanto l’esclusione dalla gara.

Le osservazioni svolte esimono poi il Collegio dall’esame dell’ulteriore motivo di gravame, con cui si è censurata la sentenza in epigrafe per la parte in cui il primo giudice ha affermato che la voce ‘costi imprevisti’ (contenuta nell’offerta della CARES) comproverebbe ex se la sostenibilità finanziaria dell’offerta formulata.

Al riguardo è sufficiente rilevare che, siccome l’offerta della CARES doveva essere considerata congrua in base a quanto esposto retro, sub 2.1.2.1 e 2.1.2.2, ne emerge l’irrilevanza ai fini del decidere della questione relativa al se ulteriori margini di affidabilità potessero emergere dai richiamati ‘costi imprevisti’ ovvero dal c.d. ‘surplus dei ricavi’, ovvero ancora da una remunerazione più che adeguata del lavoro prestato dai soci.

2.2. Il primo motivo di appello deve dunque essere respinto.

  1. Con il secondo motivo di appello (reiterativo nella sostanza di analogo motivo già articolato in primo grado e disatteso dal T.A.R.) la GECA Italia lamenta sotto diverso profilo la complessiva inaffidabilità dell’offerta formulata dalla CARES, la quale avrebbe presentato un piano inadeguato a realizzare il corretto svolgimento delle ‘scalettature’ oggetto dell’appalto.

In particolare, secondo la prospettazione dell’appellante, il primo giudice avrebbe erroneamente omesso di considerare che: i) l’offerta di CARES prevedeva – in modo palesemente incongruo e immotivato – un tempo medio di appena 36 secondi per procedere alla ‘scalettatura’ di un minuto di trasmissione; ii) la CARES non aveva allegato alcuna convincente ragione di carattere tecnico per giustificare tale tempistica. Inoltre, sempre secondo la tesi dell’appellante, non poteva tenersi conto – contrariamente a quanto ritenuto dal T.A.R. – dell’apporto degli ulteriori due analisti/coordinatori, non essendo in alcun modo provato in atti il coinvolgimento effettivo di tali risorse nella richiamata attività di scalettatura.

3.1. Il motivo è infondato.

3.1.1. La sentenza impugnata deve in primo luogo essere confermata laddove ha richiamato il consolidato orientamento secondo il quale il giudizio espresso dalle stazioni appaltanti in ordine all’anomalia di un’offerta non può essere censurato se non nei casi di manifesta e macroscopica erroneità o irragionevolezza (sul punto, ex multis, Cons. Stato, V, 13 settembre 2016, n. 3855; id., V, 13 giugno 2016, n. 2524; id., III, 22 gennaio 2016 n. 211).

Al riguardo in ogni caso l’appellante non ha allegato elementi dirimenti atti a dimostrare in modo inequivoco la complessiva inaffidabilità dell’offerta formulata dall’aggiudicataria (e non di sue singole componenti).

3.1.2. Per quanto riguarda più in particolare il profilo inerente l’attività di ‘scalettatura’ delle trasmissioni l’appellante non ha parimenti allegato in atti elementi idonei a far anche solo dubitare della asserita complessiva incongruità dell’offerta formulata dalla CARES.

Non può negarsi infatti che risulti suggestivo l’argomento secondo cui il numero di ore-uomo dedicato alla ridetta attività di scalettatura (evidentemente ad alta intensità di tempo di lavorazione) risulterebbe addirittura inferiore al numero complessivo di ore di programmazione oggetto di esame (per un totale di 12.220 ore contro 17.000).

Peraltro argomenti svolti dall’appellante muovono da premesse non dimostrate e che non tengono conto di tutte le circostanze rilevanti del caso.

Si osserva:

– in primo luogo che al fine di suffragare la propria tesi dal punto di vista quantitativo l’appellante opera un’evidente forzatura degli elementi di computo a disposizione, sino a negare qualunque computabilità dell’apporto lavorativo dei due analisti/coordinatori, la cui prima mansione è proprio quella di “partecipazione all’attività di scalettatura e inserimento nel data base”;

– in secondo luogo che l’appellante non ha allegato alcun plausibile elemento atto a destituire di fondamento l’eccezione per cui l’impegno orario effettivamente necessario per l’attività di scalettatura risulterebbe diversificato a seconda della diversa tipologia di programmi. Va considerato, infatti, che le programmazioni caratterizzate da scalettature ‘semplici’ (per un totale di circa 14mila ore di programmazione) sono di gran lunga prevalenti rispetto a quelle caratterizzate da scalettature ‘complete’ (per un totale di circa 3mila ore), laddove soltanto le attività del primo tipo richiedono un apporto lavorativo di carattere particolarmente intenso;

– in terzo luogo che l’appellante non ha allegato elementi risolutivi idonei a confutare l’affermazione del primo giudice secondo cui sulla tempistica effettiva dell’attività di ‘scalettatura’ potevano incidere – in modo favorevole – ulteriori fattori, fra cui l’utilizzo di software evoluti, il ricorso a personale particolarmente qualificato, nonché il carattere ripetitivo delle attività svolte.

  1. Con il terzo motivo di appello (anch’esso reiterativo nella sostanza di analogo motivo già articolato in primo grado e disatteso dal T.A.R.) la GECA Italia contesta la natura dei rapporti di lavoro attivati dalla CARES ai fini della partecipazione all’appalto, evidenziando il carattere di fatto subordinato del lavoro svolto dai soci della cooperativa, con la conseguente mancata assunzione, da parte dell’appellata, dei necessari oneri previdenziali (la cui carenza paleserebbe sotto diverso profilo la complessiva inattendibilità dell’offerta formulata); insomma, secondo la tesi dell’appellante, laddove la CARES avesse computato nell’ambito dell’offerta gli effettivi oneri previdenziali connessi alla tipologia effettiva delle prestazioni svolte, la propria offerta sarebbe risultata vittoriosa in quanto meno onerosa per l’amministrazione.

Al riguardo si osserva quanto segue.

4.1. Va in primo luogo osservato che non spetta in via ordinaria al giudice amministrativo, in sede di vaglio sugli esiti della verifica di anomalia dell’offerta, il compito di procedere a un’eventuale riqualificazione del rapporto di lavoro.

4.2. Sotto altro profilo l’appellante non ha comunque allegato elementi determinanti idonei a dimostrare che, sotto le mentite spoglie di prestazioni di carattere autonomo effettuate da soci dipendenti, si celassero invero altrettanti rapporti di lavoro di carattere subordinato.

Come condivisibilmente rilevato dalla RAI/TV, se è vero che i soci di una cooperativa devono prestare la propria attività senza vincoli di subordinazione, è parimenti ammesso che tale attività ben possa costituire oggetto di forme di coordinamento, finalizzato al più adeguato perseguimento delle finalità sociali.

Impostati in tal modo i termini della questione (e tenuto conto del fatto che le peculiarità delle lavorazioni oggetto dell’appalto imponevano uno stretto coordinamento fra le attività dei diversi soci lavoratori), il Collegio è dell’avviso che nessuno degli elementi allegati dall’appellante deponga in modo dirimente nel senso di riqualificare la tipologia di rapporto come di carattere subordinato.

In particolare, risultano indicativi di una peculiare modalità organizzativa imposta dalle caratteristiche della commessa (e non del carattere subordinato del rapporto): i) l’obbligo del rispetto di orari predeterminati; ii) l’esistenza di direttive e linee guida per l’omogeneo svolgimento dell’attività di scalettatura; iii) l’esistenza di un sistema di controlli di carattere continuativo sulla qualità del lavoro svolto; iv) l’obbligo di partecipare a specifiche attività di formazione.

Per quanto riguarda, poi, la rilevata sussistenza di un potere disciplinare sull’attività dei lavoratori (circostanza questa che, nella tesi dell’appellante, rappresenterebbe indice univoco di subordinazione), l’appellata ha condivisibilmente rilevato che – sulla base della documentazione in atti – il potere in questione è finalizzato al controllo della qualità della rilevazione e non a più generali finalità di repressione delle condotte antidoverose in ambito lavorativo.

4.3. Anche il terzo motivo di appello deve dunque essere respinto.

  1. Con il quarto motivo di appello (ancora una volta reiterativo nella sostanza di analogo motivo già articolato in primo grado e disatteso dal T.A.R.) la GECA Italia lamenta la violazione dell’articolo 16 del disciplinare di gara in ragione del fatto che il RUP, a seguito della riapertura del procedimento di verifica di anomalia dell’offerta, aveva proceduto in modo autonomo a confermare la congruità dell’offerta di CARES senza avvalersi del (necessario) supporto della commissione giudicatrice.

5.1. Il motivo è infondato.

Va osservato al riguardo che, come rilevato dall’ANAC al punto 5.3 delle linee guida n. 3 (‘Nomina, ruolo e compiti del responsabile unico del procedimento per l’affidamento di appalti e concessioni’), nel caso in cui l’affidamento avvenga con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, la verifica di anomalia “è svolta dal RUP con il supporto della commissione nominata ex articolo 77 del Codice”.

Ne resta pienamente confermato che, nel caso della gara per cui è causa, la verifica di anomalia spettasse proprio al RUP (e non alla commissione, che svolgeva un ruolo meramente integrativo e di supporto).

Ne consegue ancora che l’eventuale mancata consultazione della commissione non concreta un vizio di incompetenza ma – al più – una lacuna di carattere procedimentale per la quale soccorre il principio dell’irrilevanza delle illegittimità non invalidanti di cui all’articolo 21-octies della l. 241 del 1990.

Il motivo in esame va in definitiva respinto anche in considerazione del fatto che l’appellante non ha in alcun modo dimostrato che, in caso di pieno coinvolgimento della Commissione nell’ambito del rinnovato giudizio di anomalia, il procedimento sarebbe pervenuto a conclusioni sostanzialmente diverse.

  1. Per le ragioni esposte il ricorso in appello deve essere respinto.

Il Collegio ritiene che sussistano giusti ed eccezionali motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese di lite fra le parti, in considerazione della peculiarità e parziale novità delle quaestiones iuris trattate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 ottobre 2018 con l’intervento dei magistrati:

Carlo Saltelli, Presidente

Claudio Contessa, Consigliere, Estensore

Paolo Giovanni Nicolo’ Lotti, Consigliere

Raffaele Prosperi, Consigliere

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
Claudio Contessa Carlo Saltelli

IL SEGRETARIO

 

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