Commento alla sentenza Cassazione civile, Sez. I, Sent., (ud. 10/11/2016) 10 maggio 2017, n.11446
Con la sentenza in disamina si è affrontato il tema dell’affidamento diretto a seguito di stipula di contratto d’appalto di tutte le successive opere finanziate dallo Stato per l’ammodernamento della rete regionale affidate al medesimo appaltatore a trattativa privata, in violazione delle normative sull’evidenza pubblica ed in cambio di una c.d. tangente sull’ammontare complessivo dei lavori assegnati.
La vicenda si svolge, quindi, nell’alveo di procedure a carattere penale mirate ad accertare la sussistenza di reati di diversa natura.
Per effetto di illecite pattuizioni cui era finalizzata la corruzione, il costo preventivo del nuovo appalto era lievitato a tal punto da raggiungere il maggiore importo calcolato dalla Committente del 50% in più rispetto alla convenzione base, di cui pur avrebbe dovuto costituire un mero atto addizionale, apparso totalmente abnorme.
Pertanto, sulla scorta di plurimi rilievi di illegittimità e illiceità degli atti d’appalto, la Suprema Corte ha ritenuto, con la pronuncia in disamina, vi fosse la ricorrenza dei presupposti delle fattispecie di nullità del contratto stabilite dagli artt. 1343 e 1418 c.c..
Ciò è avvenuto anzitutto per l’illiceità della sua causa concreta (all’evidenza intesa quale sintesi degli interessi che lo stesso contratto è concretamente diretto a realizzare, al di là del modello astratto utilizzato: Cass. sez. un. 6538/2010, nonchè 23941/2009), in quanto finalizzata a realizzare un pregresso accordo criminoso corrispondente all’attività vietata dall’ordinamento e penalmente sanzionata nell’interesse pubblico generale con i reati di corruzione, in tal modo, perseguendo attraverso la stipulazione dell’atto, la scelta del suo contenuto e l’esecuzione dell’appalto, il risultato vietato dalle norme imperative onde tutelare il buon andamento e l’imparzialità della amministrazione (Cass. 19220/2015; 3672/2010; 24769 ed 11031/2008).
E quindi in quanto l’area delle norme inderogabili di cui all’art. 1418 c.c., comma 1, ricomprende, oltre le disposizioni relative al contenuto dell’atto, anche quelle che, in assoluto, oppure in presenza o in difetto di determinate condizioni oggettive e soggettive, direttamente o indirettamente, vietano la stipula stessa del contratto, ponendo la sua esistenza in contrasto con la norma imperativa, e non consentendo alcuna possibilità di esenzione dalla relativa osservanza; per cui correttamente è stata dichiarata, pure sotto tale specifico profilo, la nullità del contratto per contrasto con norme imperative anche perchè l’omesso svolgimento della gara di appalto ha integrato nel caso non solo un vizio concernente l’attività negoziale della stazione appaltante, ma anche e soprattutto gli estremi dei reati accertati dall’inchiesta penale.
Da ciò è conseguito il principio, in virtù del quale in tema di azione d’indebito arricchimento nei confronti della P.A., nell’ipotesi di nullità del contratto di appalto di un’opera pubblica, l’indennità prevista dall’art. 2041 c.c. va liquidata nei limiti della diminuzione patrimoniale subita dall’appaltatore, corrispondente, in concreto, ai costi effettivamente affrontati per la sua costruzione, non potendovi rientrare l’utile d’impresa né ogni altra posta volta a garantire quanto l’appaltatore stesso si riprometteva di ricavare dall’esecuzione di un valido contratto di appalto.
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Testo integrale della sentenza della Corte di Cassazione Civile sez. I 10/5/2017, n..11446
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