E’ noto che attraverso un passaggio normativo faticoso il comma in parola ha formalizzato specifici vincoli procedurali si potrebbe dire di “contingentamento” dell’attività contrattuale diretta ed autonoma.
In pratica, a far data dal 1° novembre tutti i comuni non capoluogo di provincia – ad eccezione delle ragioni a statuto speciale che si sono avvalse della clausola di salvaguardia di cui al comma 50–bis della legge 89/2014 – avevano l’obbligo di centralizzare i procedimenti di gara con l’unica alternativa, peraltro limitata ai beni e servizi, di procedere con l’acquisizione attraverso “gli strumenti elettronici di acquisto gestiti da Consip S.p.A. o da altro soggetto aggregatore di riferimento”.
Quest’ultima appariva unica alternativa che, rilevantissimo, consentiva, si è ritenuto, di procedere con le negoziazioni nell’ambito di una forma del mercato elettronico e/o aderire ai convenzionamenti.
Per espletare una procedura autonoma e diretta (si potrebbe dire tradizionale) di importo pari o superiore ai 40 mila euro – dal 1° gennaio prerogativa estesa ad ogni comune non capoluogo a prescindere dalla dimensione abitativa – non restava che la strada della centralizzazione della procedure secondo i moduli aggregativi disegnati dallo stesso comma 3-bis dell’articolo 33 predetto.
Il nuovo codice
La struttura del pregresso codice appare, a confronto del nuovo codice degli appalti, abbastanza semplice: oltre una certa cifra il comune non capoluogo perdeva (e perde) la prerogativa di svolgere una procedura autonoma e diretta.
Per procedura autonoma e diretta – anche alla luce delle nuove disposizioni – non può che intendersi il potere di bandire una gara d’appalto tradizionale e concluderla con l’aggiudicazione.
Questo potere risultava limitato – con una soglia di tipo generale (grazie alla legge di stabilità 208/2015) – ad importi compresi tra i mille euro e inferiori a 40 mila.
Fuori da questo ambito – sembra di poter sostenere – non veniva meno il potere di negoziare nell’ambito del mercato elettronico e/o di aderire alle convenzioni.
In tema il pregresso legislatore utilizzava una espressione che oggi torna in tante variabili nel codice degli appalti e delle concessioni.
L’ alternativa alla centralizzazione era data dalla possibilità – ma solo per beni e servizi – di utilizzare strumenti elettronici di acquisto messi a disposizione dai soggetti aggregatori (compreso quello di riferimento regionale).
Nel pregresso codice quindi veniva usato un riferimento preciso che è stato (anche) interpretato come la possibilità di avviare una negoziazione nell’ambito di un mercato elettronico (attraverso una specifica RDO o con formalità anche più complesse).
Nel nuovo codice – corredato di ogni definizione possibile ed immaginabile (es. lett. mm che definisce cosa si intende per «scritto o per iscritto», ovvero “un insieme di parole o cifre che può essere letto, riprodotto e poi comunicato, comprese le informazioni trasmesse e archiviate con mezzi elettronici”) – in tema il legislatore ha usato due espressioni riconducibili al mercato elettronico ovvero:
bbbb) «mercato elettronico», uno strumento di acquisto e di negoziazione che consente acquisti telematici per importi inferiori alla soglia di rilievo europeo basati su un sistema che attua procedure di scelta del contraente interamente gestite per via telematica;
Non solo,
cccc) «strumenti di acquisto», strumenti di acquisizione che non richiedono apertura del confronto competitivo. Rientrano tra gli strumenti di acquisto:
1) le convenzioni quadro di cui all’articolo 26 della legge 23 dicembre 1999. N. 488, stipulate, ai sensi della normativa vigente, da CONSIP S.p.A. e dai soggetti aggregatori;
2) gli accordi quadro stipulati da centrali di committenza quando gli appalti specifici vengono aggiudicati senza riapertura del confronto competitivo;
3) il mercato elettronico realizzato da centrale di committenza nel caso di acquisti effettuati a catalogo;
Infine (a completamento):
dddd) «strumenti di negoziazione», strumenti di acquisizione che richiedono apertura del confronto competitivo. Rientrano tra gli strumenti di negoziazione:
1) gli accordi quadro stipulati da centrali di committenza nel caso in cui gli appalti specifici vengono aggiudicati con riapertura del confronto competitivo;
2) il sistema dinamico di acquisizione realizzato da centrali di committenza;
3) il mercato elettronico realizzato da centrali di committenza nel caso di acquisti effettuati attraverso confronto concorrenziale;
4) i sistemi realizzati da centrali di committenza che comunque consentono lo svolgimento delle procedure ai sensi del presente codice;
Sul MEPA (come si legge anche nelle FAQ) tramite mercato elettronico si possono fare acquisiti “attraverso un confronto concorrenziale delle offerte – (…) mediante RDO rivolta ai fornitori abilitati”.
Pertanto, l’acquisto dal mercato elettronico effettuato attraverso le RDO è un confronto concorrenziale è una negoziazione tra più prezzi/preventivi presenti in vetrina a rigore ed alla luce delle formulazione del nuovo codice inteso in questo senso il mercato elettronico dovrebbe essere qualificato come strumento di negoziazione (lett. ddd)).
L’attuale disciplina dei comuni non capoluogo ai sensi del nuovo codice.
Oramai è arcinoto che l’attuale disciplina relativa ai comuni non capoluogo – senza vacatio legis e quindi immediatamente applicabile nonostante la richiesta del Consiglio di Stato di fissare un regime transitorio anche ossequiato in un primo momento nel codice approvato il 15 aprile ma mai giunto in Gazzetta – si trova nei commi 4 e 5 dell’articolo 37.
Il comma 4 disegna l’ambito oggettivo di riferimento relativamente al procedimento autonomo e diretto richiamando il primo comma dell’articolo 37 a memoria del quale (scomponendolo):
I comuni non capoluogo di provincia “fermi restando gli obblighi di utilizzo di strumenti di acquisto e i negoziazione, anche telematici, previsti dalle vigenti disposizioni in materia di contenimento della spesa, possono procedere direttamente e autonomamente all’acquisizione di forniture e servizi di importo inferiore a 40.000 euro e di lavori di importo inferiore a 150.000 euro”.
La norma cambia le soglie note (fino a 40 mila euro) nonostante non risultino formalmente abrogate le pregresse disposizioni sollevando la soglia per i lavori.
In quest’ambito il comune non capoluogo potrebbe procedere – purché nel rispetto degli obblighi spending – anche con una gara tradizionale.
La seconda parte del comma puntualizza che il comune non capoluogo può anche procedere ”attraverso l’effettuazione di ordini a valere su strumenti di acquisto messi a disposizione dalle centrali di committenza”.
Questo inciso, almeno a chi scrive, non appare chiarissimo e sembrerebbe in primo luogo superfluo (visto l’inciso del primo comma che richiama gli strumenti di acquisto e (addirittura) di negoziazione purché nell’ambito delle soglie predette).
La circostanza particolare è che lo stesso è stato interpretato nella relazione tecnica al codice come possibilità delle stazioni appaltanti (ma visto il richiamo anche per i comuni non capoluogo) ancorché non qualificate (e non aggregati) di effettuare ordine “per qualsiasi importo, (…) a valere su strumenti di acquisto messi a disposizione dalle centrali di committenza”.
Pertanto la norma prevede la possibilità di utilizzare strumenti di acquisto e di negoziazione solo nell’ambito di certe soglie mentre senza problemi di soglia (ma secondo la relazione tecnica) la stazione appaltante può utilizzare solo strumenti di acquisto (ma non di negoziazione).
L’ultimo periodo del comma richiama la questione della qualificazione necessaria per poter effettuare – a questo punto – si suppone procedure dirette ed autonome ovvero il potere di negoziare tradizionale (far gare tradizionali) implica la qualificazione.
Le stazioni appaltanti nel regime transitorio possono comportarsi come prima.
I comuni non capoluogo pure ma questi avevano ed hanno il vincolo della centralizzazione quindi sopra le soglie predette non possono espletare autonome procedure tradizionali.
Per le soglie superiori ai 40 mila euro
La disciplina dei comuni non capoluogo non si esaurisce con il primo comma perché il 4 comma dell’articolo 37 richiama il primo periodo del secondo comma.
Secondo questo comma per importi (evidentemente) pari o superiori a quelli indicati nel primo comma e fino a tutto il sottosoglia (per gli enti locali 209 mila euro) per beni e servizi e fino ad un milione di euro (da importi pari o superiori a 150 mila) anche i comuni non capoluogo “in possesso della necessaria qualificazione (…) procedono mediante utilizzo autonomo degli strumenti telematici di negoziazione messi a disposizione dalle centrali di committenza qualificate secondo la normativa vigente”.
Il comma esige la qualificazione alle stazioni appaltanti in generale ma i comuni non capoluogo la qualificazione la dovranno acquisire per la stazione costituita in unione in cui potranno centralizzare le procedure di acquisto di nell’ambito di queste soglie.
Pertanto, a sommesso parere, il regime transitorio per i comuni non capoluogo non può che riferirsi al permanere dei vincoli di centralizzazione di cui al comma 3-bis non alla possibilità di fare questi acquisti se hanno l’iscrizione all’anagrafe delle stazioni appaltanti. Le unioni in cui sono già state centralizzare le procedure potranno – in attesa del sistema di qualificazione – fare gli acquisti con la semplice iscrizione in attesa della qualificazione (se mai l’otterranno).
Gli acquisti del comune non capoluogo che non abbia ancora aderito ad una forma di aggregazione secondo il disposto di cui all’articolo 33, comma 3-bis
Se il comune è in unione ed ha centralizzato la procedura – a sommesso parere – potrà effettuare le procedure di gara per il tramite dell’unione nelle soglie del comma 2 dell’articolo 37 (primo periodo).
Occorre verificare l’ambito operativo del comune che non abbia centralizzato i procedimenti di gara. In questo caso, dovrebbe sopravvenire la necessità di aderire ai modelli aggregativi indicati nel comma 4 che presenta una unica alternativa alla lettera a) ovvero ricorrere ad una centrale di committenza o ad un soggetto aggregatore qualificato.
Il problema è comprendere il senso del ricorso alla centrale/soggetto qualificato soprattutto in relazione alle soglie di cui al comma 2 dell’articolo 37 ovvero dai 40 fino ai 209 mila per beni e servizi e da 150 fino ad un milione per i lavori.
Secondo quanto si legge nel codice la possibilità di esercitare il potere di negoziare (inteso come possibilità di attivare un procedimento concorrenziale non solo tradizionale) esige la qualificazione (ed in attesa di questa il regime transitorio risulta favorevole solo per le stazioni appaltanti, mentre per i comuni non capoluogo viene ripristinato semplicemente il vincolo della centralizzazione pur senza necessità che la stazione unica in unione sia qualificata).
Se questo fosse vero, il regime di acquisti risulta inasprito non potendo il comune non capoluogo neppure negoziare sul mercato elettronico con le RDO ma deve – per l’effettuazione della procedura – rivolgersi ad una centrale di committenza.
Da notare che questo impianto risulta anche nelle prime bozze di legge delega in cui si individuavano (dapprima due poi) tre soglie ed ambiti di autonomia, in particolare si prevedeva almeno un livello per gli appalti compresi tra i 100 mila euro e le soglie (importi inferiori) comunitarie in cui la procedura d’appalto avrebbe dovuto essere centralizzate per ambiti territoriali (all’interno del territorio provinciale) omogenei e quindi in sostanza l’attuale previsione normativa ed un livello per le procedure d’appalto inferiori a 100 mila euro in cui i comuni non capoluogo avrebbero potuto operare autonomamente (lett. v) di una delle prime bozze di legge delega).
L’ANAC dovrebbe chiarire, non tanto per l’acquisto di beni e servizi fino ai 209 mila euro – dove per forza si deve ritenere che il comune non capoluogo anche non in unione possa procedere con le RDO – ma soprattutto per i lavori per importi fino al milione di euro.
Stefano Usai
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