Legittima l’integrazione dell’offerta entro i termini di presentazione

24 Marzo 2016
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Nel caso risolto dal Consiglio di Stato sez. V 16/3/2016 n. 1052, l’impresa veniva esclusa per avere presentato la domanda di partecipazione in due distinti plichi, pervenuto presso l’amministrazione in date diverse.
In particolare la seconda busta conteneva la lista delle lavorazioni e forniture prevista per la esecuzione dei lavori ex art. 119 del regolamento di attuazione del codice appalti di cui al d.p.r. n. 207 del 2010, realizzando così l’integrazione dell’offerta.

Le condizioni per l’integrazione: il rispetto dei termini e la chiara volontà negoziale

Il Consiglio di Stato ha concluso che in assenza di previsioni ostative di lex specialis è consentito alla concorrente ad una procedura di affidamento integrare la propria offerta, purché ciò avvenga nei termini inderogabilmente previsti per la presentazione di quest’ultima (la stessa conclusione era stata raggiunta dal Consiglio di Stato del 9 luglio 2013, n. 3612).

Infatti, deve escludersi che per effetto di una simile evenienza, siano pregiudicate le esigenze di rispetto della par condicio, oltre che di regolare svolgimento della procedura di gara, a cui presidio è tipicamente posta la previsione di un temine per l’invio delle offerte alla stazione appaltante.
Oltre che il rispetto del termine di presentazione, l’integrazione dell’offerta, come si evince dal principio di tassatività delle cause di esclusione sancito dall’art. 46, comma 1-bis, cod. contratti pubblici, presuppone che la volontà negoziale dell’offerente sia chiaramente percepibile e determinabile nel suo complesso.

Le clausole di divieto dell’integrazione dell’offerta

La stessa astratta legittimità di una clausola preclusiva rispetto alla possibilità di successiva integrazione dell’offerta non è neanche pacifica. Infatti, ricorda il Collegio, la giurisprudenza precedente che l’ha ritenuta tale era relativa a gare antecedenti all’introduzione del principio di tassatività. Pertanto, come ammette implicitamente il Consiglio di Stato, allo stato attuale della normativa una clausola del genere sarebbe da considerare illegittima.

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