Sul punto, anche una sentenza della Corte di Giustizia (CGE 23.12.2009, causa C-305/08) aveva chiarito che la nozione comunitaria di imprenditore non presuppone la coesistenza dello scopo di lucro dell’impresa e che pertanto l’assenza di fine di lucro non è di per sé ostativa della partecipazione ad appalti pubblici.
La terza sezione del Consiglio di Stato, richiamando la pronuncia suddetta, sottolinea come non sia precluso, alle associazioni di volontariato, partecipare agli appalti, ove si consideri che la legge quadro sul volontariato, nell’elencare le entrate di tali associazioni, menziona anche le entrate derivanti da attività commerciali o produttive svolte a latere, con ciò riconoscendo la capacità di svolgere attività di impresa.
Pertanto, secondo costante giurisprudenza, esse possono essere ammesse alle gare pubbliche quali “imprese sociali”, a cui il d.lgs. 24 marzo 2006 n. 155 ha riconosciuto la legittimazione ad esercitare in via stabile e principale un’attività economica organizzata per la produzione e lo scambio di beni o di servizi di utilità sociale, diretta a realizzare finalità d’interesse generale, anche se non lucrativa” ( vedi ex multis CdS n283/2013 nonché n.5882/2012).
Il Collegio evidenzia, tra l’altro, che la nozione comunitaria di imprenditore risulta recepita anche dal Codice dei Contratti, che si riferisce all’imprenditore come “operatore economico” ammesso a partecipate alle gare per la realizzazione di opere e l’affidamento di servizi senza ulteriori specificazioni.
Consiglio di Stato, sez. III, 15/1/2016 n. 116
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