I Patti d’Integrità in materia di contratti pubblici alla luce della recente giurisprudenza comunitaria e dell’evoluzione normativa – Applicazioni pratiche

18 Gennaio 2016
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Avv. Giorgio Martellino Presidente AITRA – Responsabile Prevenzione della Corruzione e Trasparenza Acquedotto Pugliese Spa.

1. Premessa

 Come e’ noto, nell’ambito della normativa vigente in materia di anticorruzione e trasparenza cosi’ come interpretata dalle ultime determine dell’ANAC, i processi di acquisto gestiti dalle stazioni appaltanti pubbliche sono considerate “per definizione” della aree a rischio atteso l’infittirsi di una rete di rapporti con una moltitudine di operatori economici attratti dalla possibilità di acquisire pubbliche commesse – dalle più modeste in termini di valore economico sino ai grandi interventi infrastrutturali di carattere strategico – in grado potenzialmente di aumentare l’esposizione al rischio di tentativi di illecite interferenze nel corretto e trasparente andamento delle procedure di affidamento di beni, servizi e lavori.

In particolare, come dimostrano le tante inchieste giudiziarie, anche recenti, il settore dei contratti pubblici continua ad essere uno dei più esposti non solo a tentativi di infiltrazione delle mafie, ma anche alle interferenze e pressioni dei comitati d’affari e della criminalità comune, che finiscono per saldarsi con fenomeni corruttivi e di cattiva gestione della cosa pubblica.

La centralità del sistema appalti nelle strategie di contrasto alla corruzione in chiave preventiva è stata rimarcata di recente nel protocollo d’intesa siglato tra ANAC e Corte dei Conti con l’obiettivo di rafforzare la collaborazione inter-istituzionale mediante la costituzione di un sistema di “alert“ sfruttando indici-spia della corruzione rilevabili dall’analisi ed elaborazione delle banche dati e dallo scambio di informazioni.

In questo contesto, si e’ andati via via maturando la convinzione che i tradizionali strumenti normativi previsti dalla legislazione in materia di appalti pubblici e dal D.Lgs 6 settembre 2011, n. 159 (Codice Antimafia) operano prevalentemente sul piano formale della repressione dei fenomeni suddescritti; basti pensare, ad esempio, alle cause ostative alla partecipazione alle gare da parte di concorrenti che abbiano commesso reati gravi in danno dello Stato o della Comunità incidenti sulla moralità professionale che intervengono solo nei casi di sentenza passata in giudicato o decreto penale di condanna divenuto irrevocabile ovvero sentenza di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’art. 444 del c.p.

Ne consegue che, ove i rappresentanti di un’impresa concorrente/aggiudicataria di una gara risultino coinvolti in indagini per reati gravi contro la P.A., occorrerà attendere l’esito del procedimento per il rilascio dell’informativa antimafia da parte della competente Prefettura e, solo nel caso in cui detto procedimento si concluda con un provvedimento interdittivo del Prefetto, la stazione appaltante potrà procedere alla revoca dell’aggiudicazione o alla risoluzione del contratto nel caso in cui lo stesso sia stato già stipulato sotto riserva di legge.

Per quanto riguarda, poi, il mantenimento dell’iscrizione ad un Albo degli operatori economici qualificati di una stazione appaltante pubblica, di solito bisogna valutare caso per caso se sussistono i presupposti per disporre un provvedimento di sospensione temporanea a scopo cautelare nei confronti dell’impresa che risulti coinvolta in procedimenti penali per qualsiasi reato che incida sulla moralità o serietà professionale. L’eventuale provvedimento di sospensione potrebbe, tuttavia, non impedire alla stessa impresa “sospesa“ di partecipare ad una procedura aperta (non ristretta, cioè, agli operatori iscritti e qualificati nell’Albo) in forza del principio di tassatività delle cause di esclusione esplicitato nel nostro ordinamento.

Nello scenario appena descritto sta rafforzandosi la necessità di implementare ulteriori misure di prevenzione a presidio delle attività connesse agli affidamenti di beni, servizi e lavori e, allo stesso tempo, cogliere l’opportunità per lanciare un segnale forte e determinante in tema di legalità, trasparenza e contrasto ad ogni forma di illegalità.

Cio’ ha determinato in alcune stazioni appaltanti la decisione di inserire nei bandi alcune delle cosiddette “clausole di legalità“ in materia di anticorruzione previste nei bandi derermD.Lgs. 165/2001 (c.d. “ pantouflage/revolving door “) oppure l’impegno da parte dei partecipanti alla gara a rispettare i principi ed i valori contenuti nel Codice Etico e nel Piano della Prevenzione della Corruzione , nonché a tenere una condotta in linea con il Modello 231, sono oggi già previste nei nostri atti di gara e la loro inosservanza può dar luogo alla risoluzione del contatto ai sensi e per gli effetti dell’art. 1456 del c.c.

E’ però fondamentale che alla repressione sul piano puramente formale, si affianchi una capillare azione di prevenzione in via amministrativa che faccia leva non solo sul rafforzamento degli strumenti normativi, ma anche su quelli di carattere pattizio, attraverso una corresponsabilizzazione di tutte le parti contraenti, sia pubbliche che private.

2. I Patti di integrita’ nell’attuale quadro normativo

Come noto, la necessità di ampliare e rafforzare l’ambito di operatività delle misure di prevenzione e di contrasto alle diffuse forme di illegalità nel settore dei pubblici appalti – anche oltre il tradizionale campo delle infiltrazioni mafiose – ha portato allo sviluppo e alla diffusione di strumenti di carattere pattizio quali i protocolli di legalità/Patti d’Integrità che nel corso degli ultimi anni hanno consentito di elevare la cornice di sicurezza nel comparto.

La possibilità di utilizzare tali strumenti è insita nel dettato dell’art. 1, comma 17, della legge 190/2012 che recita «Le stazioni appaltanti possono prevedere ne­gli avvisi, bandi di gara o lettere di invito che il mancato rispetto delle clausole contenute nei protocolli di legalità o nei patti di integrità costituisce causa di esclusione dalla gara». Come precisato nel Piano Nazionale Anticorruzione (P.N.A.) approvato dall’ANAC (ex CIVIT) con Delibera 72/2013, i patti di integrità e i protocolli di legalità rappresentano un sistema di condizioni la cui accettazione viene configurata dalla stazione appaltante come presupposto necessario e condizionante la partecipazione dei concorrenti ad una gara d’appalto. Essi mirano a stabilire un complesso di regole di comportamento finalizzati a prevenire fenomeni di corruzione e a valorizzare comportamenti eticamente adeguati per tutti i concorrenti e per il personale aziendale impiegato ad ogni livello nell’espletamento delle procedure di affidamento di beni, servizi e lavori e nel controllo dell’esecuzione del relativo contratto assegnato.

Accanto alle dichiarazioni di natura comportamentale, tese a rafforzare gli impegni alla legalità e alla trasparenza, le pattuizioni contenute nei documenti in questione consentono alle stazioni appaltanti di avvalersi di un regime sanzionatorio che spazia dall’esclusione in fase di partecipazione alla gara nel caso di mancata sottoscrizione/accettazione del patto, alla revoca dell’aggiudicazione con conseguente applicazione delle misure accessorie (escussione della cauzione e segnalazione all’ANAC) e infine alla risoluzione del contratto eventualmente stipulato, nei casi in cui venga accertata la violazione delle clausole pattuite. A queste misure vanno aggiunte anche quelle interdittive connesse alla cancellazione dagli Albi degli operatori economici qualificati, laddove utilizzati, e al divieto di partecipazione a tutte le procedure di affidamento per un periodo predeterminato.

L’implementazione di siffatti strumenti pattizi è resa peraltro ormai indifferibile alla luce, anche, di quanto previsto dalle Linee Guida e dalle Intese sottoscritte nel luglio 2014 e nel gennaio 2015 tra ANAC – Prefetture – UTG ed Enti Locali le quali – oltre a fornire orientamenti interpretativi per l’applicazione delle misure straordinarie di gestione e sostegno delle imprese coinvolte in procedimenti penali per gravi reati contro la P.A. di cui all’art. 32 del d.l. 90/2014, convertito nella Legge 114/2014 – esortano le stazioni appaltanti ad ampliare l’ambito di operatività di tali strumenti, quali mezzi di prevenzione capaci di interporre efficaci barriere contro le interferenze illecite nelle procedure di affidamento dei contratti pubblici, adottando protocolli di “ nuova generazione ”.

Gli aspetti innovativi di tali protocolli risiedono, in sintesi, nella potestà, da parte della stazione appaltante, di azionare la clausola risolutiva espressa, ai sensi dell’art. 1456 c.c., nel caso in cui l’operatore economico non dia comunicazione del tentativo di concussione subìto ovvero nei casi in cui, da evidenze giudiziarie consolidate in una misura cautelare o in un provvedimento di rinvio a giudizio, si palesino accordi corruttivi tra il soggetto aggiudicatore e l’impresa aggiudicataria.

Naturalmente, l’attivazione di tali strumenti risolutori dev’essere coordinata con le misure straordinarie di gestione e sostegno delle imprese coinvolte in procedimenti penali per gravi reati contro la P.A di cui al richiamato art. 32 del D.L. 90 e, in particolare, con i poteri attribuiti all’ANAC dal medesimo decreto.

Da ultimo, l’ANAC con Determinazione n. 8 del 17.06.2015 “Linee guida per l’attuazione della normativa in materia di prevenzione della corruzione e trasparenza da parte delle società e degli enti di diritto privato controllati e partecipati dalle pubbliche amministrazioni e degli enti pubblici economici” ha invitato le amministrazioni partecipanti nei suddetti enti e societa’ a promuovere l’adozione dei protocolli di legalita’ entro il 31 dicembre 2015.

Sulla scorta delle considerazioni che precedono diverse stazioni appaltanti stanno predisponendo tali Patti d’Integrità o Protocolli di Legalita’ in materia di contratti pubblici inserendoli negli atti di gara e ponendoli come quale condizione di ammissibilità alle procedure di affidamento ai sensi di quanto previsto all’art. 1, comma 17, della Legge 190/2012, più innanzi richiamato.

3. Suggerimenti sul processo di adozione dei Patti d’Integrita’

Generalmente, la struttura di un Patto d’integrita’ è così composta:

Art. 1: “ Oggetto e ambito di applicazione “ stabilisce la reciproca e formale obbligazione, tra la stazione appaltante e i contraenti, di improntare i propri comportamenti ai principi di lealtà, trasparenza e correttezza e dell’anticorruzione e si applica a tutte le procedure di affidamento di beni, servizi e lavori;

Art. 2: definisce gli “ Obblighi degli operatori economici nei confronti della stazione appaltante ”;

Nell’ambito di tale clausola del Patto spesso si prevede la risoluzione del contratto, eventualmente subordinata alla valutazione dell’ANAC, nell’ipotesi di rinvio a giudizio per concussione di uno dei soggetti che abbiano esercitato funzioni relative alla stipula o all’esecuzione del contratto e il tentativo di concussione non sia stato denunciato dall’imprenditore. Rispetto alla formulazione in questi termini di tale clausola alcuni sollevano perplessità in ordine alla sproporzione tra l’effetto causato dalla risoluzione contrattuale rispetto all’evento verificatosi poiché il rinvio a giudizio del presunto concussore non dà alcuna certezza del reato commesso e, conseguentemente, della violazione da parte dell’imprenditore dell’obbligo di denuncia, mentre una misura come la risoluzione del contratto comporta per l’impresa conseguenze rilevanti in termini di danni e mancati utili. Si rileva, in proposito, che un accorgimento per evitare tale eccezione potrebbe essere quello di lasciare inalterata la clausola risolutiva in questione, mitigandola, tuttavia, con l’obbligo (e non la facoltà) di una previa intesa con ANAC cui spetterà di valutare, in ragione di alcuni indicatori quali lo stato di avanzamento dei lavori, la compromissione della realizzazione dell’opera e tenuto conto anche della rilevanza della stessa, se sia utile proseguire nel rapporto contrattuale.

Art. 3: definisce gli “ Obblighi della Stazione Appaltante “;

In merito a tale clausola, alcuni la contestano nella misura in cui la Stazione Appaltante si riserva la facoltà di risolvere il contratto ogni qualvolta nei confronti dei componenti la compagine sociale sia stata disposta misura cautelare o sia intervenuto rinvio a giudizio per reati di corruzione, concussione, turbata libertà degli incanti ecc. ovvero, in alternativa, rimettere all’ANAC la valutazione relativa alla risoluzione, ovvero alla prosecuzione del contratto attivando le misure straordinarie previste dall’art. 32 del D.L. 90/2014 convertito nella legge 114/2014. In particolare – richiamandosi ad una sentenza della Corte di Giustizia europea del 22 ottobre u.s. (di cui parleremo piu’ approfonditamente al paragrafo 4) alcuni sottolineano come la misura della risoluzione del contratto, a fronte di atti prodromici di un procedimento giudiziario, il cui esito è ancora completamente incerto, appare sproporzionata anche alla luce del richiamato art. 32 del D.L. 90/2014 che attribuisce al Prefetto, su proposta del Presidente ANAC, la competenza ad adottare misure straordinarie dirette a consentire la prosecuzione dei lavori.

A parere di chi scrive, gli aspetti innovativi di tali protocolli risiedono, in sintesi, nella potestà, da parte della stazione appaltante, di azionare la clausola risolutiva espressa, ai sensi dell’art. 1456 c.c., nel caso in cui l’operatore economico non dia comunicazione del tentativo di concussione subìto ovvero nei casi in cui, da evidenze giudiziarie consolidate in una misura cautelare o in un provvedimento di rinvio a giudizio, si palesino accordi corruttivi tra il soggetto aggiudicatore e l’impresa aggiudicataria.

Naturalmente, l’attivazione di tali strumenti risolutori dev’essere coordinata con le misure straordinarie di gestione e sostegno delle imprese coinvolte in procedimenti penali per gravi reati contro la P.A di cui al richiamato art. 32 del D.L. 90 e, in particolare, con i poteri attribuiti all’ANAC ed ai Prefetti dal medesimo decreto.

Anche in tale caso, quindi, la soluzione che potrebbe contemperare le diverse posizioni, potrebbe essere quella di lasciare inalterata la potestà di attivare la clausola risolutiva, ma subordinando obbligatoriamente tale decisione alla previa intesa con l’ANAC che potrà valuterà se, in alternativa all’ipotesi risolutoria, ricorrano i presupposti per la prosecuzione del rapporto contrattuale.

Art. 4: “ Violazione del Patto di integrità ” definisce la sanzioni a carico dell’operatore economico, sia in veste di concorrente che di aggiudicatario, nel caso di violazione degli impegni sottoscritti, secondo la gravità della violazione accertata e la fase in cui la violazione è accertata;

Art. 5: “Efficacia del patto di integrità e Foro Competente ” definisce la durata dell’efficacia del Patto e delle sanzioni applicabili e l’A.G. competente a risolvere le controversie scaturenti dall’interpretazione dello stesso.

In ogni caso, ai fini della più ampia conoscibilità delle reciproche condizioni contenute nel “ Patto ”- da parte sia degli operatori economici che di tutto il personale della Stazione Appaltante e dei consulenti e collaboratori – si suggerisce prima di adottare il Patto in parola, di avviare un procedura di consultazione con gli Stakeholders magari pubblicando lo stesso sul sito web della Stazione Appaltante – Sezione Trasparenza, unitamente agli altri eventuali documenti di riferimento (Modello 231, P.T.P.C., P.T.T.I, Codice Etico ecc). Inoltre, dell’avvenuta adozione e pubblicazione del Patto, dovrebbe essere dato adeguato risalto nel primo aggiornamento disponibile del PTPC, oltre che nei contenuti delle sessioni formative per il personale della stazione appaltante, dedicate ai temi dell’Etica e della Legalità. Infine, in fase di revisione/integrazione del Codice Etico, si suggerisce di focalizzare l’attenzione sui comportamenti rilevanti per la prevenzione dei reati di corruzione, tra cui la piena osservanza dei principi enunciati nel suddetto Patto.

Infine, nella fase di appalto dove è già previsto il rilascio di un’autodichiarazione da parte del Presidente, dei componenti e del segretario della commissione aggiudicatrice sulle cause di incompatibilità connesse allo svolgimento dell’incarico, questa potrebbe essere integrata da un paragrafo del seguente tenore “ ……dichiara altresì di essere consapevole delle condizioni stabilite nel Patto d’Integrità in materia di contratti pubblici stipulati da ________, il cui spirito condividono pienamente, e che in caso di violazione riscontrata dei principi di lealtà, trasparenza e correttezza, incorrerà nelle sanzioni disciplinari previste nel vigente Codice Etico aziendale “, mentre per la fase esecutiva del contratto, un richiamo analogo al Patto dovrebbe essere contenuto nella lettera di incarico al R.U.P. e al D.L., sottoscritta per accettazione dai medesimi.

4. I Protocolli di legalita’ alla luce della Sentenza Corte di Giustizia Europea n. 425 del 22 ottobre 2015

Preliminarmente va osservato che la decisione della Corte, nell’esprimersi sulle questioni pregiudiziali sollevate dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, ha affermato con chiarezza il principio che non vi sono cause ostative che vietino agli Stati membri di inserire nei loro ordinamenti, quale condizione di ammissibilità alla gara, l’accettazione degli impegni contenuti nel c.d. protocolli di legalità da parte dei partecipanti ad una pubblica gara e, più in generale, in accordi tra le amministrazioni aggiudicatrici e le imprese partecipanti volti a contrastare le infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore degli affidamenti di contratti pubblici.

Ciò premesso, la Corte precisa che gli impegni assunti nei protocolli e negli accordi in questione non devono eccedere quanto necessario per raggiungere l’obiettivo perseguito, conformemente al principio di proporzionalità che, al pari della parità di trattamento, non discriminazione e trasparenza, costituisce un principio generale del diritto dell’Unione.

Muovendo da tale assunto, la Corte rileva come talune dichiarazioni contenute nel protocollo oggetto del procedimento principale incardinato dinanzi ai Giudici Amministrativi della Regione Sicilia siano, nella loro formulazione letterale, contrari al principio di proporzionalità di derivazione comunitaria e che, pertanto, l’assenza di tali dichiarazioni non può comportare l’esclusione automatica del candidato o dell’offerente dalla procedura di gara.

Le censure della Corte riguardano, nello specifico, le seguenti dichiarazioni:

a) al punto e) del protocollo di che trattasi, il concorrente doveva dichiarare “di non trovarsi in situazioni di controllo o di collegamento (formale e/o sostanziale) con altri concorrenti”. Richiamando la giurisprudenza comunitaria formatasi sul punto, la Corte ritiene che l’esclusione automatica dei partecipanti ad una gara che si trovino in tali situazioni ecceda quanto necessario per prevenire fenomeni collusivi, poiché costituisce una presunzione irrefragabile d’interferenza reciproca nelle rispettive offerte, per uno stesso appalto, di imprese legate da una situazione di controllo o di collegamento. Escludendo in tal modo la possibilità per i partecipanti alla gara di dimostrare l’indipendenza delle loro offerte, l’esclusione si pone in contrasto con l’interesse dell’Unione a che sia garantita la partecipazione più ampia possibile di offerenti ad una gara d’appalto. Orbene, sul punto si osserva che la fattispecie del controllo o collegamento tra imprese partecipanti ad una gara è oggi disciplinata nel nostro ordinamento all’art. 38, comma 1, letter m-quater del Codice dei Contratti, introdotto dall’art. 3, comma 1, d.l. 25 settembre 2009, n. 135 in adeguamento alla sentenza della Corte di Giustizia CE del 19 maggio 2009, resa nella causa C-538/07.

La novella introdotta dal legislatore nazionale con la suddetta disposizione, in combinato disposto con il comma 2 del medesimo art. 38 del Codice dovrebbe superare, nella sua formulazione, il contrasto tra la preesistente normativa nazionale e la giurisprudenza comunitaria;

b) sempre al punto e) del protocollo in questione figura una dichiarazione secondo la quale il concorrente “ non si è accordato e non si accorderà con altri partecipanti alla gara “. Per la Corte, una siffatta dichiarazione, escludendo qualsiasi accordo tra i partecipanti, compresi gli accordi non idonei a restringere il gioco della concorrenza, eccede quanto necessario al fine di salvaguardare il principio di concorrenza nell’ambito degli appalti pubblici. Infatti, la medesima dichiarazione, riportata al punto g) del protocollo, ma con l’esplicita aggiunta “per limitare od eludere in alcun modo la concorrenza ” non è stata oggetto di rilievi da parte della Corte;

c) un’ultima censura riguarda il punto f) del protocollo che ci occupa relativo alla dichiarazione che impegna i partecipanti alla gara a non subappaltare lavorazioni di alcun tipo ad altre imprese partecipanti alla stessa gara, pena il diniego dell’autorizzazione da parte della stazione appaltante. Anche in questo caso, a parere della Corte, vi è una presunzione irrefragabile secondo la quale l’eventuale subappalto da parte dell’aggiudicatario, dopo l’aggiudicazione dell’appalto, ad un altro partecipante alla gara, comporti una collusione tra le due imprese interessate, senza lasciare loro la possibilità di dimostrare il contrario. La dichiarazione in parola, dunque, eccede quanto necessario per prevenire comportamenti collusivi.

5. I Protocolli di Legalita’ di cui alla Delibera CIPE n. 62 del 6 agosto 2015 per l’affidamento di lavori di realizzazione di infrastrutture strategiche ai sensi della Legge n. 443/2001

In conclusione, si segnala la Delibera CIPE n. 62 del 6 agosto 2015 (pubblicata sulla GU n. 271 del 20 novembre 2015) con la quale è stato approvato lo schema di Protocollo di legalità da allegare ai bandi di gara per l’affidamento di lavori di realizzazione di infrastrutture strategiche ai sensi della Legge n. 443/2001.

In particolare i bandi di gara per questo tipo di lavori, pubblicati successivamente alla data di pubblicazione della Delibera CIPE in oggetto, dovranno prevedere, a carico del Contraente generale o del Concessionario che risulterà aggiudicatario, l’obbligo di stipulare con la Prefettura UTG competente e con la stazione appaltante il Protocollo di legalità.

Rispetto a tale Protocollo, ove una Stazione Appaltante abbia gia’ adottato un Patto di Integrita’ secondo la normativa vigente ci si chiede se, in presenza di appalti finanziati con fondi CIPE ai quali risulta applicabile, anche in virtù di eventi verificatisi successivamente all’indizione della gara, lo schema di Protocollo CIPE, sia o meno opportuno adottare nell’ambito della medesima procedura testi diversi, ossia il Patto d’Integrità e il richiamato Protocollo CIPE.

Ad avviso di scrive, in realta’, anche a voler considerare applicabili entrambi i Protocolli, un possibile coordinamento tra le disposizioni contenute nei due documenti pare possibile, tenuto conto che molte delle clausole contemplate nel Patto d’Integrita’ non sono rintracciabili nel Protocollo CIPE e sono dirette a stabilire in chiave preventiva e durante tutto il ciclo dell’appalto (comprese le fasi preliminari e di espletamento delle gare) la reciproca e formale obbligazione tra la stazione appaltante e i soggetti partecipanti a tutte le procedure di affidamento di beni, servizi e lavori di improntare i propri comportamenti ai principi di lealtà, trasparenza e correttezza e dell’anticorruzione.

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