Persiste uno stato di grave incertezza in ordine a un profilo assai sensibile della disciplina del subappalto dei contratti pubblici e, nella specie, alla legittimità di un limite quantitativo imposto per legge in Italia dal Codice dei contratti pubblici, nel frastuono dei segnali contrastanti che giungono anche dai recenti interventi della giurisprudenza e del legislatore.
Autori: Avv. Giuseppe Fabrizio Maiellaro – Avv. Irene Picardi
Ancora oggi, infatti, nonostante la lettera di messa in mora della Commissione Europea e le note pronunce della Corte di Giustizia UE del 2019 – che hanno affermato in più occasioni l’incompatibilità di quelle disposizioni interne con i principi eurounitari – si continuano a registrare orientamenti e indicazioni di segno opposto, senza che si sia giunti a una soluzione normativa chiara e definitiva.
In particolare, dopo l’ennesimo contrasto giurisprudenziale verificatosi tra il TAR Lazio, che continua a ritenere legittimo il limite di legge ex art. 105, comma 2, del Codice dei contratti pubblici (TAR Lazio, Roma, sez. III quater, 15 dicembre 020, n. 13527), e il Consiglio di Stato, che ha invece ribadito la necessità di disapplicare quel limite in attuazione dei suddetti rilievi di matrice eurounitaria (Consiglio di Stato, sez. V, 17 dicembre 2020, n. 8101), è stato pubblicato il Decreto cd. “Milleproroghe” (D.L. 31 dicembre 2020, n. 183), che prolunga al 30 giugno 2021 il limite quantitativo del 40% al subappalto dei contratti pubblici (e al 31 dicembre 2021 il periodo di sospensione dell’obbligo di indicare in gara la terna dei subappaltatori e della verifica, già in quella sede, dei relativi requisiti generali).
1. Premessa
“Il lampo in un orecchio, nell’altro il paradiso”: mutuando le parole di Fabrizio De André nel celebre brano “Fiume Sand Creek”, potrebbe così riassumersi, con indubbia efficacia, lo stato di confusione in cui versano, all’attualità, gli operatori del settore in tema di subappalto, costretti ancora adesso a districarsi tra indicazioni incerte e spesso discordanti del Giudice Amministrativo e dello stesso legislatore, quanto alla legittimità del limite quantitativo stabilito dall’ordinamento interno – nel solco di una tradizione normativa pluridecennale – ai sensi dell’art. 105, comma 2, del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 e s.m.i., recante il vigente Codice dei contratti pubblici.
Tale limite, come noto, è stato infatti da tempo censurato in sede eurounitaria, e segnatamente dalla Commissione Europea (cfr. la procedura di infrazione avviata nei confronti del governo italiano con la lettera di messa in mora del 24 gennaio 2019) e dalla Corte di Giustizia UE (Sez. V, 27 settembre 2019, causa C-63/18; Sez. V, 27 settembre 2019, causa C-63/18), poiché ritenuto incompatibile con i fondamentali principi sottesi alle direttive europee vigenti in materia; ma, nonostante ciò, manca tuttora una presa di posizione chiara e (finalmente) risolutiva del legislatore, il quale invece continua a navigare a vista, con opinabile e deleteria titubanza di intenti, procedendo a colpi di decretazione d’urgenza e di modifiche temporanee di piccolo cabotaggio (v. infra).
A riprova di ciò, basti considerare che solo nell’ultimo mese:
- il TAR Lazio (Roma, sez. III quater, 15 dicembre 2020, n. 13527) ha nuovamente riconosciuto la legittimità di quel limite di legge, in coerenza con un indirizzo già espresso nel recente passato, ad onta dei suddetti interventi della Commissione Europea e della Corte di Giustizia UE;
- a distanza di soli due giorni dalla citata pronuncia del TAR Lazio, il Consiglio di Stato (Sez. V, 17 dicembre 2020, n. 8101), di contro, ha confermato la necessità di aderire alla suddetta linea di radice eurounitaria, tesa a contrastare l’imposizione di limiti di legge alla possibilità di subappaltare le prestazioni contrattuali;
- il legislatore, con il D.L. 31 dicembre 2020, n. 183 (Decreto cd. “Milleproroghe”), ha prolungato fino al 30 giugno 2021 l’innalzamento al 40% del citato limite di legge al subappalto di contratti pubblici (v. art. 13, comma 2, lett. c), che ha in tal senso modificato l’art. 1, comma 18, del D.L. 18 aprile 2019, n. 32, conv. con mod. in legge 14 giugno 2019, n. 55, Decreto cd. “Sblocca Cantieri”[1]).
2. La sentenza del TAR Lazio, Roma, sez. III quater, 15 dicembre 2020, n. 13527
Vale anzitutto precisare che, con la predetta sentenza n. 13527 del 15 dicembre 2020, la sez. III quater del TAR Lazio ha confermato un indirizzo già espresso in passato, teso a ritenere tuttora legittima l’apposizione per legge di un limite quantitativo quale quello sancito dall’art. 105, comma 2, del Codice dei contratti pubblici – come detto, individuato nella misura massima del 40% fino al 30 giugno 2021, a seguito della modifiche di legge di cui sopra.
Nel caso scrutinato dalla citata pronuncia, infatti, il Tribunale di Roma è stato adito al fine di dirimere una controversia insorta nell’ambito dell’affidamento di un appalto di servizi pubblici la cui lex specialis di gara è stata contestata, tra l’altro, nella parte in cui reca un limite al subappalto fissato nella percentuale massima del 30%. Secondo la ricorrente, in particolare, quel limite sarebbe illegittimo perché in contrasto non soltanto con il disposto del citato Decreto Sblocca Cantieri, che innalza la quota massima subappaltabile al 40%, bensì più in generale con i principi sottesi alla disciplina europea, sulla base dei rilievi e delle pronunce della Commissione e del Giudice europei come sopra ricordati/e.
Sotto tale specifico profilo di censura, il TAR Lazio ha però respinto il ricorso, muovendo proprio dalle dette indicazioni rese in ambito eurounitario e precisando quanto segue:
“(…) è vero che in particolare quest’ultima pronuncia [Corte di Giustizia UE, sez. V, 26 settembre 2019, causa C – 63/18, cit.] ha affermato che “la direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici deve essere interpretata nel senso che osta a una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che limita al 30% la parte dell’appalto che l’offerente è autorizzato a subappaltare a terzi”.
Ma quella pronuncia della Corte europea trova una precisa giustificazione nella particolarità del caso esaminato, trattandosi di valutare se il contrasto al fenomeno dell’infiltrazione della criminalità organizzata nel settore degli appalti pubblici costituisce un obiettivo legittimo che può giustificare una restrizione alle regole fondamentali e ai principi generali del TFUE che si applicano nell’ambito delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici, come più volte la Corte ha ammesso”. Così, dopo aver ripercorso i passaggi salienti della sentenza della Corte di Giustizia UE in esame – che in buona sostanza si appuntano sul dato secondo cui stabilire un limite siffatto, di taglio generale e astratto, al precipuo fine di contrastare il fenomeno della criminalità organizzata eccede “(..) quanto necessario a tale obiettivo”[2] –, il medesimo TAR Lazio ha statuito come “(…) solo per questo, ma non certo come divieto generalizzato al legislatore di fissare limiti al sub appalto, che la Corte ha ritenuto che, in quel caso, “una restrizione al ricorso del subappalto come quella di cui trattasi nel procedimento principale non può essere ritenuta compatibile con la direttiva 2014/24”.
Ed è in relazione a tali conclusioni che, con la citata sentenza, questa Sezione ha precisato che la pronuncia della Corte, “pur avendo censurato il limite al subappalto previsto dal diritto interno nella soglia del 30% dei lavori, non esclude la compatibilità con il diritto dell’Unione di limiti superiori”, nel senso che la Corte ha sì “considerato in contrasto con le direttive comunitarie in materia il limite fissato”, ma “non escludendo invece che il legislatore nazionale possa individuare comunque, al fine di evitare ostacoli al controllo dei soggetti aggiudicatari, un limite al subappalto proporzionato rispetto a tale obiettivo”, cosicché “non può ritenersi contrastante con il diritto comunitario l’attuale limite pari al 40% delle opere, previsto dall’art. 1, comma 18, della legge n. 55/2019.
Infatti, è l’art. 1, comma 18, del D.L. 18/04/2019 n. 32, conv. in L. 14.06.2019 n. 55, ad aver previsto che, “nelle more di una complessiva revisione del codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, fino al 31 dicembre 2020, in deroga all’articolo 105, comma 2, del medesimo codice, fatto salvo quanto previsto dal comma 5 del medesimo articolo 105, il subappalto è indicato dalle stazioni appaltanti nel bando di gara e non può superare la quota del 40 per cento dell’importo complessivo del contratto di lavori, servizi o forniture. Fino alla medesima data di cui al periodo precedente, sono altresì sospese l’applicazione del comma 6 dell’articolo 105 e del terzo periodo del comma 2 dell’articolo 174, nonché le verifiche in sede di gara, di cui all’articolo 80 del medesimo codice, riferite al subappaltatore”.
Vale a dire che detta previsione non vincola le Amministrazioni, limitandosi a stabilire un tetto massimo, in considerazione delle caratteristiche dell’appalto, lasciando alla discrezionalità delle stazioni appaltanti di scegliere la percentuale più adeguata”.
3. La sentenza del Consiglio di Stato, sez. V, 17 dicembre 2020, n. 8101
A fronte del suddetto, recente indirizzo del TAR Lazio, il Consiglio di Stato a sua volta, pochi giorni dopo, nel risolvere un’altra controversia attinente all’affidamento di una concessione di servizi pubblici di ristorazione da parte di un Comune, non ha tardato a ribadire il proprio orientamento di segno contrario sull’argomento (sez. V, 17 dicembre 2020, n. 8101).
Segnatamente, nel confermare sul punto la pronuncia di primo grado oggetto di appello (TAR Piemonte, Torino, sez. I, 5 settembre 2019, n. 962), i Giudici di Palazzo Spada hanno statuito che “(…) la norma del codice dei contratti pubblici che pone limiti al subappalto deve essere disapplicata in quanto incompatibile con l’ordinamento euro-unitario, come affermato dalla Corte di Giustizia (Corte di Giustizia U.E., Sezione Quinta, 26 settembre 2019, C-63/18; Id., 27 novembre 2019, C-402/18; in termini Cons. St., V, 16 gennaio 2020, n. 389, che ha puntualmente rilevato come «i limiti ad esso relativi (30% per cento “dell’importo complessivo del contratto di lavori, servizi o forniture”, secondo la formulazione del comma 2 della disposizione richiamata applicabile ratione temporis, […] deve ritenersi superato per effetto delle sentenze della Corte di giustizia dell’Unione europea»)”.
4. L’intervento del legislatore in materia con il Decreto cd. “Milleproroghe” (D.L. 31 dicembre 2020, n. 183
Infine, a pochi giorni di distanza dalla pubblicazione delle richiamate statuizioni del Giudice Amministrativo, in data 31 dicembre 2020 è entrato in vigore il menzionato Decreto cd. “Milleproroghe” che come detto, all’art. 13, comma 2, lett. c), ha disposto di prorogare:
- al 30 giugno 2021 il limite quantitativo del 40% al subappalto dei contratti pubblici;
- al 31 dicembre 2021 il periodo di sospensione dell’obbligo di indicare in gara la terna dei subappaltatori e della verifica, già in quella sede, dei relativi requisiti generali.
Al riguardo, è appena il caso di rammentare peraltro che le predette pronunce della Corte di Giustizia UE del 2019 – in uno ai rilievi contenuti nella citata nota della Commissione Europea del 24 gennaio 2019 – hanno contestato quella imposizione di un limite quantitativo al subappalto dei contratti pubblici, facendo leva, tra l’altro, proprio sulla possibilità di verificare i subappaltatori già in sede di gara.
5. Il dibattito in corso sul limite di legge tra ANAC e i diversi orientamenti della giurisprudenza
È di tutta evidenza che i recenti interventi del Giudice Amministrativo e del legislatore dianzi riportati, lungi dal fornire indicazioni utili ed efficaci, non hanno fatto altro, purtroppo, che aggravare le perplessità ermeneutiche e applicative di una norma già tormentata da continue incertezze e modifiche.
Si è già dato conto su questa rivista, in diverse e precedenti occasioni, del lungo e acceso dibattito apertosi all’indomani delle succitate indicazioni e obiezioni espresse dalle istituzioni europee nel 2019; un dibattito che, come si è visto, non accenna a sopirsi, e che ha come protagonisti non soltanto i Giudici Amministrativi, quali primi e più diretti interlocutori, giocoforza (per evidenti ragioni di ordinamento e funzioni), del mondo operativo delle amministrazioni e delle imprese, bensì anche le Autorità indipendenti, anch’esse interessate dai profili teorici e applicativi delle ricordate fibrillazioni normative e giurisprudenziali che sollecitano questa parte della disciplina dei contratti pubblici.
Per migliore evidenza e chiarezza della questione in esame, è dunque opportuno ripercorrere, seppure per sommi capi, le pronunce e le determinazioni più significative che hanno animato la querelle in argomento e, in tal senso, caratterizzato la lettura e applicazione delle norme in esame, precipitando gli operatori del settore nella ridetta e infausta condizione di incertezza, a detrimento di una agile e produttiva organizzazione e gestione delle commesse pubbliche.
A) La posizione dell’ANAC
Nello specifico, vale rammentare che in seguito alla prima pronuncia della Corte di Giustizia UE di settembre 2019, anticipata dall’apertura della procedura di infrazione da parte della Commissione, l’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC) ha segnalato a Governo e Parlamento l’urgenza di intervenire sulla disciplina interna in materia di subappalto, al fine di allinearla alle indicazioni dei Giudici europei (cfr. Atto di segnalazione, 13 novembre 2019, n. 8, con commento di I. Picardi, Limite quantitativo al subappalto: dall’ANAC proposte modificative per allineare la disciplina nazionale al diritto dell’Unione). Le proposte di modifica formulate al riguardo dell’ANAC hanno, tuttavia, fortemente risentito dell’obiettivo di individuare una soluzione legislativa di compromesso, che consentisse di realizzare una “(…) opportuna “compensazione” tra i diritti di libertà riconosciuti a livello europeo e le esigenze nazionali di sostenibilità sociale, ordine e sicurezza pubblica, che sono sempre stati alla base della limitazione all’utilizzo dell’istituto”.
In questa prospettiva, l’Autorità ha finito con l’offrire, quindi, una lettura tesa a contenere – rectius arginare – in modo significativo le dette statuizioni della Corte europea. Di modo che l’ANAC, pur individuando l’esigenza di porre quale regola la libera subappaltabilità delle prestazioni, senza limitazioni quantitative di carattere generale e astratto – una regola assistita da una serie di obblighi informativi e adempimenti procedurali, per assoggettare l’impresa subappaltatrice a controlli analoghi a quelli svolti nei confronti dell’aggiudicataria, con previsione di oneri motivazionali aggravati a carico delle stazioni appaltanti per le ipotesi, da ritenersi evidentemente eccezionali, in cui si renda concretamente necessario limitare il ricorso a soggetti terzi per l’esecuzione dell’appalto – ha comunque caldeggiato il mantenimento in vita del divieto di subappaltare l’intera prestazione dedotta in contratto, o una parte rilevante della stessa, e ciò nonostante la ricordata assenza di simili restrizioni a livello comunitario.
B) La giurisprudenza interna favorevole alla possibilità di mantenere un limite di legge al subappalto
Una linea pressoché analoga a quella prospettata dall’ANAC è stata assunta dal TAR Puglia (Lecce, sez. I, 5 dicembre 2019, n. 1938, v. commento di I. Picardi, Il subappalto dopo la c.d. sentenza Vitali della Corte di Giustizia (causa C-63/18): brevi note critiche a margine della pronuncia n. 1938/2019 del T.a.r. Lecce), che per primo è stato chiamato ad affrontare la disciplina del subappalto a seguito dell’intervento della Corte di Giustizia e della segnalazione dell’ANAC sopra riportata.
Nel decidere la controversia rimessa al loro esame, i Giudici pugliesi, pur non ritenendo più applicabile a priori il limite del trenta per cento, hanno fatto discendere dalla scelta dell’operatore economico di subaffidare, nel caso concreto, la maggior parte delle prestazioni oggetto dell’appalto, l’automatica violazione dei principi di trasparenza, concorrenza e proporzionalità.
Con tale decisione, il TAR Puglia è sembrato dunque reintrodurre, in maniera indiretta, proprio quelle limitazioni quantitative di carattere generale e astratto contestate in sede europea in virtù delle accennate incompatibilità, considerando il ricorso al subappalto di per sé illegittimo per il solo fatto di aver superato una determinata soglia.
A seguito dell’innalzamento del limite percentuale di cui all’art. 105, comma 2, del d.lgs. n. 50/2016 e s.m.i. – operato, come già ricordato, dal Decreto cd. Sblocca Cantieri” –, il TAR Lazio (Roma, sez. I, 24 aprile 2020, n. 4183, con commento di G. F. Maiellaro, I limiti al subappalto dei contratti pubblici: così è se vi pare) ha invece circoscritto – con argomentazioni poi riprese, come si è detto, nella più recente sentenza di dicembre 2020 – l’efficacia delle affermazioni contenute nelle sentenze europee all’originaria soglia del trenta per cento, ricavando dalle stesse l’ammissibilità di limiti quantitativi superiori, che siano individuati dal legislatore nazionale «al fine di evitare ostacoli al controllo dei soggetti aggiudicatari». In questa parte, i giudici del TAR Lazio hanno richiamato la citata, precipua e tradizionale finalità sottesa ai limiti all’utilizzo del subappalto, ovverosia l’esigenza di prevenire infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore degli appalti pubblici, che consentirebbe, anche nella prospettiva comunitaria, di limitare il ricorso all’istituto.
In particolare, nell’argomentare il proprio indirizzo attraverso il richiamo a quella esigenza e finalità, i Giudici romani sembrano tuttavia aver valorizzato solo in parte i principi e gli assunti contenuti nelle ridette sentenze europee, senza tenere adeguatamente in conto la complessiva valutazione espressa in quella sede sulla disciplina nazionale relativa al subappalto. E infatti:
- se, per un verso, è vero che nelle decisioni della Corte di Giustizia UE il contrasto al fenomeno delle infiltrazioni mafiose viene qualificato come “(…) un obiettivo legittimo, che può giustificare una restrizione alle norme fondamentali e ai principi generali del Trattato FUE che si applicano nell’ambito delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici”;
- per altro verso, viene affermato che la limitazione imposta dalla normativa italiana “(…) eccede quanto necessario al raggiungimento di tale obiettivo”.
Ciò non perché la soglia specifica del trenta per cento sia da reputarsi troppo esigua, ma in quanto l’art. 105 del Codice dei contratti pubblici “(…) vieta in modo generale e astratto il ricorso al subappalto che superi una percentuale fissa”, “indipendentemente dal settore economico interessato”, “dalla natura dei lavori” o “dall’identità dei subappaltatori”, e senza lasciare “(…) alcuno spazio a una valutazione caso per caso da parte dell’ente aggiudicatore”.
In altri termini, la strada indicata dalla Corte di Giustizia UE sembra essere quella dell’ammissibilità di limitazioni quantitative al subappalto – in ipotesi da ritenere in ogni caso eccezionali – purché tale restrizione avvenga nel rispetto dei parametri di ragionevolezza e proporzionalità.
L’orientamento appena riportato è stato ribadito dal medesimo TAR Lazio in successive pronunce, tra cui quella già sopra commentata (v. TAR Lazio, Roma, sez. III quater, 3 novembre 2020, n. 11304; id., sez. III quater, 15 dicembre 2020, n. 13527, cit.).
C) La giurisprudenza interna formatasi in adesione all’indirizzo eurounitario
I provvedimenti sopra richiamati mostrano le significative difficoltà (prima di tutto culturali, in quanto legate alla tradizionale concezione del subappalto quale canale privilegiato delle infiltrazioni mafiose nel settore dei contratti pubblici) riscontrate a livello interno nel dare compiuta attuazione ai dettami della Corte di Giustizia europea.
In questo contesto, assumono quindi particolare rilevanza altre pronunce dei Giudici amministrativi nazionali favorevoli a un’evoluzione normativa del subappalto in senso compiutamente eurounitario, nei termini già esposti, che hanno assunto posizioni tese a propugnare una applicazione maggiormente risoluta e coerente rispetto ai principi affermati dalla giurisprudenza europea, riconoscendone l’efficacia diretta e, di conseguenza, l’immediata operatività nell’ordinamento interno.
Il riferimento è, in primo luogo, alla sentenza del Consiglio di Stato, sez. V, 16 gennaio 2020, n. 389 (cfr. commento di G.F. Maiellaro, Subappalto e avvalimento: in caso di subappalto all’impresa ausiliaria non si applica il limite percentuale ex art. 105 del Codice dei contratti pubblici – limite oggi peraltro superato dalle recenti sentenze della Corte di Giustizia UE – ma solo quello dei requisiti prestati ex art. 89, comma 8, del Codice stesso) che, seppur attraverso un obiter dicutm, ha per primo ritenuto ormai superate le indicazioni normative del d.lgs. n. 50/2016 e s.m.i. in tema di limitazioni quantitative al subappalto.
Tali considerazioni sono state, poi, meglio esplicitate in successive sentenze dei Tribunali Amministrativi Regionali, all’interno delle quali si è tentato di definire con maggiore precisione la portata degli effetti prodotti dalle sentenze della Corte di Giustizia, nonché le conseguenze di carattere processuale derivanti dall’illegittimità di atti di gara ancora contenenti il richiamo al limite quantitativo del trenta (o del quaranta) per cento dell’importo complessivo del contratto.
Nella specie, giova richiamare la pronuncia con cui il TAR Toscana (sez. I, 11 giugno 2020, n. 706, con commento di I. Picardi, I limiti al subappalto e la coerenza del T.a.r. per la Toscana) ha accolto un ricorso proposto avverso un bando di gara, nella parte in cui faceva applicazione dell’art. 105, comma 2, del Codice dei contratti pubblici, in quanto da reputarsi norma ormai “(…) contrastante con la vigente direttiva in materia di appalti pubblici, così come interpretata dalla Corte di Giustizia”, e quindi non più suscettibile di applicazione a livello interno.
Da un punto di vista di diritto sostanziale, l’operatività delle statuizioni contenute nelle sentenze europee è stata estesa anche alle procedure già avviate alla data di pubblicazione del bando di gara, “(…) posto che la stessa rende inapplicabile la normativa nazionale dichiarata in contrasto con quella comunitaria anche nei giudizi in corso, non potendo il giudice nazionale assumere decisioni non conformi al diritto UE”.
In tal senso, il TAR Toscana sembra aver dato corretta attuazione a principi di diritto ormai consolidati, riconoscendo alle decisioni assunte a livello europeo efficacia erga omnes, e non limitata al processo al cui interno è stata sollevata la questione pregiudiziale, ed estendendone i relativi effetti anche a rapporti sorti in epoca precedente, purché non esauriti.
Dal punto di vista processuale, inoltre, alla censura proposta avverso la clausola del bando recante la limitazione al subappalto è stato attribuito carattere prioritario nell’ambito del giudizio impugnatorio, poiché espressiva di un vizio pregiudiziale sul piano logico-giuridico e diacronico-procedimentale, idoneo in quanto tale a travolgere l’intera procedura, “(…) atteso che la eliminazione del limite all’importo subappaltabile incide sulle regole concorrenziali per l’accesso alla commessa e richiede quindi la apertura di un nuovo confronto pubblico e trasparente sulla base di regole conformi alla disciplina comunitaria”.
Sempre sotto tale profilo, in una successiva decisione del TAR Valle d’Aosta (3 agosto 2020, n. 34, con commento di I. Picardi, Il T.a.r. della Valle d’Aosta rafforza l’applicazione delle norme europee sui (non) limiti al subappalto), i Giudici amministrativi hanno attribuito alle clausole dei bandi di gara risultate impositive di vincoli quantitativi all’utilizzo del subappalto – che nel caso di specie era pari al quaranta per cento dell’importo del contratto – una portata escludente ed autonomamente lesiva, giacché riproduttive di norme in realtà contrastanti con il diritto comunitario. Da ciò è derivata, sul piano pratico, l’immediata impugnabilità della lex specialis di gara, nella parte in cui era risultata idonea ad arrecare un pregiudizio attuale e concreto nella sfera giuridica dei destinatari, rendendo incongruamente difficoltosa la partecipazione alla procedura.
Nell’ambito del percorso giurisprudenziale sopra richiamato, la sentenza del TAR della Valle d’Aosta assume rilievo anche per un’altra ragione, poiché mira a specificare e chiarire, una volta per tutte, l’impatto delle citate statuizioni della Corte di Giustizia nella cornice dell’ordinamento interno: a parere di tale Tribunale, infatti, ciò che risulta incompatibile con il diritto europeo non è la misura del limite quantitativo posto alla facoltà di subappaltare – sia essa pari al trenta o al quaranta per cento dell’importo complessivo del contratto – quanto piuttosto il limite in sé considerato, e il fatto che lo stesso trovi applicazione, in maniera indiscriminata, in tutte le procedure di affidamento; per risolvere l’eventuale contrasto fra diritto europeo e diritto interno, non si può fare altro che accordare prevalenza ai precetti comunitari, disapplicando la normativa nazionale incompatibile.
D) Gli interventi della giurisprudenza su talune specifiche declinazioni del limite di legge al subappalto
Nell’ambito della disamina sulla questione interpretativa che interessa il secondo comma dell’art. 105 del d.lgs. n. 50/2016 e s.m.i., occorre ancora dare conto di talune pronunce intervenute di recente su taluni specifici profili ed effetti involti dalla controversa possibilità di imporre limiti di legge alla disciplina del subappalto; pronunce anch’esse chiamate a delimitare un perimetro attualmente assai fragile e quanto mai condizionato dalla ricordata, urgente necessità di individuare una soluzione compiutamente organica, coerente e definitiva a livello legislativo.
Tra i peculiari profili della materia qui in rilievo portati all’attenzione del Giudice amministrativo e dell’ANAC, nella cornice normativa e giurisprudenziale sin qui ricapitolata, vi è ad esempio la questione della perdurante ammissibilità del limite percentuale al subappalto fissato dal successivo quinto comma del medesimo art. 105 del Codice dei contratti pubblici per le categorie di lavorazioni c.d. “super specialistiche” (in tema, cfr. I. Picardi, Limiti quantitativi al subappalto e opere «super specialistiche»: nuovo giro di giostra per l’art. 105, d.lgs. n. 50 del 2016).
Tale previsione, difatti, pur essendo oggetto di contestazione da parte della Commissione nell’ambito della procedura di infrazione, non è stata esplicitamente esaminata dalla Corte di Giustizia UE nelle proprie decisioni, e da qui le opposte interpretazioni offerte dagli operatori del settore.
A fronte della ritenuta applicabilità di limitazioni quantitative al subappalto per le opere in esame, sostenuta dall’ANAC (deliberazione 4 agosto 2020, n. 704) e da taluni Tribunali Amministrativi Regionali (TAR Toscana, Firenze, 9 luglio 2020, n. 898), anche a seguito dell’intervento della Commissione Europea, le associazioni nazionali di categoria (quali, ad esempio, l’ANCE – v. infra) e talune amministrazioni aggiudicatrici (cfr. TAR Lazio, sez. I, 16 gennaio 2020, n. 502), hanno viceversa optato per la rimozione della soglia del trenta per cento di cui all’art. 105, comma 5 del codice, in quanto non idonea a rispondere alle contestazioni mosse a livello comunitario.
Ancora, vale menzionare in proposito quanto chiarito dal Supremo Consesso, con una sentenza assai significativa sul punto, in merito ai limiti di legge del subappalto nel peculiare caso in cui tale veste sia assunta dall’ausiliario.
Per mezzo della ricordata pronuncia di gennaio scorso, in particolare, il Consiglio di Stato, sez. V, 16 gennaio 2020, n. 389, cit. (cfr. commento di G.F. Maiellaro, Subappalto e avvalimento: in caso di subappalto all’impresa ausiliaria non si applica il limite percentuale ex art. 105 del Codice dei contratti pubblici – limite oggi peraltro superato dalle recenti sentenze della Corte di Giustizia UE – ma solo quello dei requisiti prestati ex art. 89, comma 8, del Codice stesso) ha acclarato che il subappalto all’impresa ausiliaria può superare il limite del 30% ex art. 105 c. 2 del Codice, valendo in questo caso solo il limite dei requisiti prestati dall’ausiliaria ex art. 89 c. 8 del Codice.
Infine, assume parimenti rilievo, nel riferito e dibattuto contesto, e nel conseguente, profondo stato di incertezza della materia, la questione dell’applicabilità di restrizioni all’utilizzo del subappalto anche nella materia dei beni culturali, ove ad oggi sussiste il solo divieto di avvalimento ai sensi dell’art. 146, comma 3, d.lgs. n. 50/2016, dovuto all’esigenza di assicurare che l’esecuzione dei lavori, in un simile settore, venga effettuata da soggetti muniti di specifici requisiti di qualificazione e competenze specialistiche.
In argomento, valorizzando per l’appunto la ratio sottesa al divieto appena richiamato nonché le peculiari caratteristiche degli istituti del subappalto e dell’avvalimento, il TAR Molise ha difatti sollevato una questione di legittimità costituzionale con riguardo agli artt. 105 e 146 del d.lgs. n. 50/2016 e s.m.i. – che nulla dispongono in materia di subappalto – nella parte in cui prevedono un trattamento differenziato fra i predetti istituti (v. TAR Molise, sez. I, ordinanza 17 ottobre 2020, n. 278, con commento di I. Picardi, Limiti quantitativi al subappalto: l’ultimo capitolo della saga investe gli appalti nel settore dei beni culturali).
Nella specie, invocando l’applicazione di limitazioni anche con riferimento al subappalto, siffatto Giudice amministrativo fa anch’esso riferimento alla giurisprudenza della Corte di Giustizia UE, nella parte in cui ammette restrizioni all’utilizzo dell’istituto in esame in settori connotati da una particolare specificità. Al riguardo, è tuttavia da precisare che, nelle decisioni dei giudici europei, eventuali deroghe alla libera subappaltabilità delle prestazioni dedotte in contratto sembrerebbero pur sempre richiedere valutazioni in concreto del singolo appalto da parte dell’amministrazione aggiudicatrice, dalle quali desumere l’effettiva necessità di regole più stringenti ai fini della regolare esecuzione del contratto.
In tale ottica, la circostanza che l’appalto riguardi il settore dei beni culturali potrebbe non risultare di per sé sufficiente a giustificare la previsione di restrizioni all’utilizzo del subappalto.
6. I più recenti interventi delle Autorità (ANAC e AGCM) e dell’ANCE
L’analisi delle principali posizioni di recente assunte con riguardo alla disciplina sul subappalto dimostra come la questione sopra esaminata costituisca terreno di scontro non soltanto fra l’ordinamento nazionale e quello europeo – anche in termini di recepimento delle indicazioni provenienti della Corte di Giustizia e dalle altre istituzioni europee – e fra gli stessi Giudici amministrativi nazionali, bensì abbia sollecitato e alimentato un acceso e diffuso dibattito tra tutti gli operatori del settore, ivi comprese le Autorità di regolazione del settore e le associazioni di categoria.
In tale cornice, la ricordata persistente scelta del legislatore di non dare integrale applicazione alle statuizioni contenute nelle sentenze europee o comunque di non fornire chiare e adeguate indicazioni – quand’anche frutto di una propria, differente lettura tesa comunque ad allineare in modo definito, coerente e sostenibile le norme di che trattasi ai rilievi europei – ha fatto sì che delle regole in materia di subappalto sia stata offerta nella prassi una ricostruzione delle stesse fortemente disomogenea sul territorio nazionale, a discapito delle esigenze di certezza del diritto e della agile ed efficace operatività delle dinamiche procedimentali e contrattuali interessate.
Nell’approssimarsi del termine del 31 dicembre 2020, è pertanto riemersa con rinnovata attenzione la necessità di definire a livello legislativo una nuova disciplina capace di superare in via definitiva i suddetti rilievi di ambito eurounitario, garantendo ad ogni modo una maggiore apertura del mercato (soprattutto in favore delle piccole e medie imprese), pur senza trascurare e limitare l’effettività dei controlli.
In proposito, non sono mancati, come detto, ulteriori e significativi interventi degli operatori del settore.
A) La posizione espressa dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM)
L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (con Atto di segnalazione del 4 novembre 2020) ha richiamato l’attenzione di Senato e Parlamento sull’opportunità di intervenire con urgenza sul testo del succitato art. 105 del d.lgs. n. 50/2016 e s.m.i., al fine di “(i) eliminare la previsione generale e astratta di una soglia massima di affidamento subappaltabile; (ii) prevedere l’obbligo in capo agli offerenti, che intendano ricorrere al subappalto, di indicare in sede di gara la tipologia e la quota parte di lavori in subappalto, oltre all’identità dei subappaltatori; (iii) consentire alle stazioni appaltanti di introdurre, tenuto conto dello specifico contesto di gara, eventuali limiti all’utilizzo del subappalto che siano proporzionati agli obiettivi di interesse generale da perseguire e adeguatamente motivati in considerazione della struttura del mercato interessato, della natura delle prestazioni o dell’identità dei subappaltatori”.
B) Il nuovo intervento dell’ANAC
Anche l’ANAC è tornata di recente sul tema (v. Audizione del Presidente dell’ANAC alla Camera del 10 novembre 2020), formulando una serie di proposte di modifica normativa, in larga parte coincidenti con quelle già contenute nell’atto di segnalazione dell’8 novembre 2019 sopra citato e con quelle dell’AGCM, che consentano nel breve periodo “(…) di superare una visione eccessivamente critica dell’istituto e puntare ad un ampliamento della concorrenza in modo da consentire alle PMI di partecipare in maniera più diffusa e meno gravosa al mercato dei contratti pubblici” e nel lungo periodo di “(…) migliorare e/o potenziare l’applicazione della digitalizzazione alle procedure di gara in una ottica di semplificazione e garanzia di maggiore trasparenza”.
A tali fini, l’ANAC medesima ha individuato una serie di accorgimenti che dovrebbero accompagnare, e controbilanciare, la maggiore liberà di subappalto. Fra questi, vi è ad esempio la reintroduzione dell’obbligo di comunicare, già in fase di gara, i subappaltatori, al fine di consentire alla stazione appaltante di conoscere preventivamente i soggetti subaffidatari (ferma restando la necessità di autorizzazione al subappalto, di cui all’art. 105, comma 4) e di procedere alla loro eventuale sostituzione, ove consentito (tale adempimento, come sopra ricordato, risulta attualmente sospeso fino al 31 dicembre 2021 ad opera delle citate modifiche apportate dal Decreto cd. “Milleproroghe” alle disposizioni del Decreto cd. “Sblocca Cantieri”); ovvero, la previsione dell’onere per la stazione appaltante di motivare adeguatamente un eventuale limite al subappalto, in relazione allo specifico contesto di gara, anche prestabilendo per via normativa delle specifiche ipotesi in cui ritenere ammissibile la fissazione di una percentuale massima alla subappaltabilità del contratto[3]; ovvero, ancora, l’introduzione di un meccanismo di responsabilità diretta del subappaltatore nei confronti della stazione appaltante, per le ipotesi in cui venga affidata a terzi l’esecuzione di una parte rilevante dell’appalto.
Tutto ciò, secondo l’avviso conclusivo dell’Autorità, dovrebbe essere in ogni caso preceduto da una migliore qualificazione delle amministrazioni aggiudicatrici e da una digitalizzazione massiva delle procedure di gara.
C) L’intervento dell’Associazione Nazionale Costruttori Edili (ANCE)
Nel dibattuto contesto sin qui richiamato non è mancata infine la voce dell’Associazione Nazionale Costruttori Edili – ANCE (comunicato stampa del 13 novembre 2020 “ANCE, subappalto: è caos normativo”), che ha evidenziato e denunciato le gravi conseguenze di una prolungata assenza di regole chiare, uniformi e consolidate in materia di subappalto, con effetti assai perniciosi sia sulle attività delle stazioni appaltanti, che si sono ritrovate a decidere in modo diverso, “(…) chi invoca la disciplina europea, chi applica le previsioni italiane, ben più restrittive, creando così il caos assoluto”, che su quelle degli operatori economici, “(…) che non riescono più a comprendere come organizzare la propria azienda”.
7. Riflessioni conclusive
Tanto chiarito, è indubbio che, a distanza di due anni, il vuoto normativo di fatto creatosi sul punto – a fronte di una norma interna (e limitativa) formalmente vigente, anche a seguito delle predette proroghe e dilazioni, ma sostanzialmente disapplicata più volte dai giudici italiani ed europei per la cennata collisione coi principi eurounitari – continua a condizionare negativamente le commesse pubbliche, gettando di continuo ombre sulla legittimità e solidità su una parte di regole che incide su aspetti di assoluto rilievo in termini di ordine pubblico e di partecipazione delle PMI al mercato degli appalti.
Come lo sventurato marinaio ricordato da Seneca – “Non c’è buon vento per il marinaio che non sa dove andare” – così, a tutt’oggi, gli operatori del settore, e anzitutto le imprese, vivono con grande disagio e perplessità una disciplina normativa oramai da troppo tempo sospesa in un limbo, in una sorta di terra di mezzo, costantemente assediata dalle succitate, vischiose incertezze e contrapposizioni – quando non contraddizioni – che minano regole del tutto sensibili e strategiche per gli interessi di natura pubblica e privata coinvolti in questo ambito.
Si resta dunque in attesa di un intervento del legislatore finalmente chiaro e risolutivo, che consenta di superare i retaggi di una normativa che affonda le proprie radici in ataviche istanze di ordine pubblico da riconsiderare opportunamente all’attualità. Ciò al fine – auspicabile – di addivenire a una indicazione maggiormente liberale e funzionale, di respiro compiutamente eurounitario.
Prossime fermate: la legge europea 2019 – 2020 e la legge di delegazione europea del 2021[4], ovverosia i primi appuntamenti utili di quest’anno per la risoluzione di una questione la cui urgenza e portata non consentono, alla prova dei fatti, ulteriori tentennamenti e rinvii.
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[1] Il citato art. 1, comma 18, del Decreto cd. “Sblocca Cantieri”, prevede che “Nelle more di una complessiva revisione del codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, fino al 31 dicembre 2020, in deroga all’articolo 105, comma 2, del medesimo codice, fatto salvo quanto previsto dal comma 5 del medesimo articolo 105, il subappalto e’ indicato dalle stazioni appaltanti nel bando di gara e non può superare la quota del 40 per cento dell’importo complessivo del contratto di lavori, servizi o forniture. Fino alla medesima data di cui al periodo precedente, sono altresì sospese l’applicazione del comma 6 dell’articolo 105 e del terzo periodo del comma 2 dell’articolo 174, nonche’ le verifiche in sede di gara, di cui all’articolo 80 del medesimo codice, riferite al subappaltatore”.
[2] Segnatamente, nella sentenza in commento il TAR Lazio ha ricapitolato le argomentazioni della Corte europea di cui alla citata pronuncia del 27 settembre 2019, specificando che “(…) allora la Corte ha specificato che, “anche supponendo che una restrizione quantitativa al ricorso al subappalto possa essere considerata idonea a contrastare siffatto fenomeno, una restrizione come quella di cui trattasi nel procedimento principale eccede quanto necessario al raggiungimento di tale obiettivo”, nel senso che, “durante tutta la procedura, le amministrazioni aggiudicatrici devono rispettare i principi di aggiudicazione degli appalti di cui all’articolo 18 della direttiva 2014/24, tra i quali figurano, in particolare, i principi di parità di trattamento, di trasparenza e di proporzionalità”; e siccome la normativa nazionale sottoposta all’esame della Corte, cioè l’art. 105, comma 2, del decreto legislativo n. 50/2016, “vieta in modo generale e astratto il ricorso al subappalto che superi una percentuale fissa dell’appalto pubblico in parola, cosicché tale divieto si applica indipendentemente dal settore economico interessato dall’appalto di cui trattasi, dalla natura dei lavori o dall’identità dei subappaltatori”, e “un siffatto divieto generale non lascia alcuno spazio a una valutazione caso per caso da parte dell’ente aggiudicatore”, si ha come conseguenza che, “per tutti gli appalti, una parte rilevante dei lavori, delle forniture o dei servizi interessati dev’essere realizzata dall’offerente stesso, sotto pena di vedersi automaticamente escluso dalla procedura di aggiudicazione dell’appalto, anche nel caso in cui l’ente aggiudicatore sia in grado di verificare le identità dei subappaltatori interessati e ove ritenga, in seguito a verifica, che siffatto divieto non sia necessario al fine di contrastare la criminalità organizzata nell’ambito dell’appalto in questione”.
E allora, ha affermato la Corte, “misure meno restrittive sarebbero idonee a raggiungere l’obiettivo perseguito dal legislatore italiano”, tenendo anche conto che, “come indica il giudice del rinvio, il diritto italiano già prevede numerose attività interdittive espressamente finalizzate ad impedire l’accesso alle gare pubbliche alle imprese sospettate di condizionamento mafioso o comunque collegate a interessi riconducibili alle principali organizzazioni criminali operanti nel paese”.
[3] In particolare, si è rilevato in tale sede che eventuali restrizioni potrebbero imporsi:
“1. In specifici settori di mercato nei quali è più elevato il rischio di accordi elusivi della concorrenza proprio in ragione della particolare struttura del mercato stesso (settori cdi marcato con basso numero di operatorie economici nei quali è concreta l’evenienza di accordi che riducano il numero di concorrenti a favore di una spartizione a valle tra più subappaltatori);
- In presenza di categorie superpsecialistiche;
- Per gli affidamenti che includano attività a maggior rischio di infiltrazione mafiosa, come già definite normativamente (art. 1, comma 53 L. 190/2012 come integrato dal D.L. 23/2020); 4. In base alla natura della prestazione (elevato rischio di frazionamento che potrebbe incidere a detrimento della qualità complessiva della prestazione nonché in materia di sicurezza sul lavoro)”.
[4] Come noto, con l’entrata in vigore della legge 24 dicembre 2012, n. 234, recante “Norme generali sulla partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea”, si è riformata la disciplina della partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’UE, dotando all’uopo l’ordinamento interno di due strumenti legislativi di adeguamento: la “legge di delegazione europea” e la “legge europea”.
In particolare, ai sensi degli artt. 29 e 30 della legge n. 234/2012:
- la legge di delegazione europea contiene le disposizioni di deleghe legislative necessarie per il recepimento delle direttive e degli altri atti dell’Unione Europea che devono essere recepiti nell’ordinamento italiano. Il disegno di legge di delegazione europea, con l’indicazione dell’anno di riferimento, deve essere presentato dal Governo entro il 28 febbraio di ogni anno. Le medesime disposizioni prevedono altresì la possibilità di redigere un secondo disegno di legge di delegazione europea (riferito al “secondo semestre”) da adottare, se necessario, entro il 31 luglio di ogni anno, nonché la possibilità dell’adozione, da parte del Governo, di appositi disegni di legge per l’attuazione di singoli atti normativi dell’Unione Europea, in casi di particolare importanza politica, economica e sociale;
- la legge europea provvede invece all’adeguamento della normativa interna alle disposizioni europee, rimuovendo e/o comunque modificando in tal senso le norme dell’ordinamento italiano che risultino in contrasto con le prime.
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