In attesa che la Corte di Giustizia si pronunci in materia di documentazione antimafia, il Consiglio di Stato ha ribadito che il contraddittorio procedimentale non costituisce un valore assoluto, da preservare ad ogni costo, ma deve essere contemperato con altri interessi di rango costituzionale
Dopo i segnali di apertura in senso garantista di recente manifestati dal T.a.r. per la Puglia (sez. III, ord. 13 gennaio 2020, n. 28, con commento di I. Picardi, Informazione interdittiva antimafia: è conforme al diritto europeo l’assenza di contraddittorio tra la Pubblica Amministrazione e il destinatario del provvedimento?) sul riconoscimento del diritto al contraddittorio procedimentale in materia di informazioni interdittive antimafia, i giudici del Consiglio di Stato hanno adottato una decisione di segno contrario, riaffermando che le finalità preventive perseguite dalla legislazione antimafia possono giustificare un’attenuazione (se non addirittura un’eliminazione) della partecipazione del destinatario del provvedimento inibitorio alla relativa procedura di rilascio.
I presupposti di applicazione dell’informativa antimafia
La controversia esaminata in sede di appello dal Consiglio di Stato riguardava, in particolare, l’annullamento da parte del T.a.r. per la Lombardia, sezione staccata di Brescia (estremi della sentenza omessi), di un’informazione interdittiva emessa dalla prefettura di Mantova, sul presupposto che il tempo decorso fra i contatti intervenuti fra l’impresa destinataria e i soggetti vicini alla criminalità organizzata avesse affievolito la valenza indiziaria degli elementi posti a fondamento dell’informativa, sicché per poterli ritenere ancora attuali sarebbe stato necessario provare la rinnovazione (o la conferma) dei pregressi rapporti con gli ambienti mafiosi.
Riformando la pronuncia di primo grado, i giudici del Consiglio di Stato hanno di contro escluso che il mero trascorrere del tempo sia di per sé idoneo, in assenza di elementi sopraggiunti di segno contrario, a produrre tali effetti, soprattutto ove il pericolo di infiltrazione mafiosa alla base dell’informativa sia, come nel caso di specie sottoposto al Collegio, afferente a gravi episodi di collegamento con la criminalità organizzata, indicativi di sicura contiguità mafiosa dell’impresa.
Il contradditorio procedimentale
Dal punto di vista della procedura di rilascio dell’informativa, il Consiglio di Stato ha invece rilevato che, contrariamente a quanto ritenuto in primo grado dai giudici del T.a.r. di Brescia, l’informazione antimafia non richiede la necessaria osservanza del contraddittorio procedimentale, trattandosi di fase meramente eventuale ai sensi dell’art. 93, comma 7 d.lgs. 159 del 2011.
Preso atto della recente rimessione alla Corte di Giustizia della questione pregiudiziale relativa alla dubbia compatibilità della normativa antimafia con i principi dell’Unione, nella parte in cui non prevede la partecipazione del destinatario dell’informativa al relativo procedimento di rilascio, il Consiglio di Stato ha rilevato incidenter tantum che l’assenza di un’interlocuzione procedimentale in tale materia non costituisce un vulnus al principio di buona amministrazione.
Come del resto precisato in altre occasioni dagli stessi giudici europei, il diritto al contraddittorio procedimentale non costituisce prerogativa assoluta ma può soggiacere a restrizioni in presenza di obiettivi di interesse generale, purchè le stesse non risultino sproporzionate rispetto agli scopi perseguiti.
Orbene, con specifico riferimento al contrasto del fenomeno dell’infiltrazione della criminalità organizzata nel settore degli appalti pubblici, la Corte di Giustizia ha di recente ribadito – seppur relativamente alla compatibilità della disciplina italiana sul subappalto con il diritto eurounitario (CGUE, sez. V, 26 settembre 2019, causa C-63/18, con commento di I. Picardi, Dalla Corte di Giustizia stop a restrizioni che limitano “in modo generale e astratto” il ricorso al subappalto) – che tale obiettivo può giustificare limitazione all’applicazione dei principi generali che operano nell’ambito delle procedure di aggiudicazione. E ciò anche in ragione del fatto che la discovery in sede procedimentale di elementi contenuti in atti connessi ad inchieste della magistratura inquirente contro la criminalità organizzata «potrebbe frustrare la finalità preventiva perseguita della legislazione antimafia, che ha l’obiettivo di prevenire il tentativo di infiltrazione da parte delle organizzazioni criminali, la cui capacità di penetrazione nell’economia legale ha assunto forme e “travestimenti” sempre più insidiosi».
Sulla scorta di tali considerazioni, il Consiglio di Stato ha quindi escluso che nel caso di specie sottoposto alla sua attenzione fosse stato violato l’art. 10-bis della l. n. 241 del 1990 proprio sul presupposto che il subprocedimento per il rilascio della comunicazione o informazione antimafia, pur innestandosi su un procedimento ad istanza di parte, non è ad istanza della parte privata, ma si attiva su richiesta e impulso della pubblica amministrazione che deve emettere il provvedimento o esercitare il controllo, sicchè non può ritenersi applicabile in tale materia l’istituto della comunicazione dei motivi ostativi. Né tantomeno potrebbe ritenersi violato, ad avviso del Collegio, l’art. 93, comma 7 d.lgs. 159 del 2011 in quanto la disposizione rimette al prudente apprezzamento dell’autorità prefettizia la scelta di ascoltare l’interessato, nell’ambito di un contraddittorio eventuale, condizionato all’utilità di tale apporto procedimentale che nel caso di specie non avrebbe avuto, tuttavia, alcuna rilevanza, potendosi trarre gli elementi alla base dell’informativa direttamente dai provvedimenti giurisdizionali emessi in sede penale nei confronti dell’impresa.
Brevi considerazioni conclusive
Dall’analisi del giudizio oggetto della sentenza qui esaminata e delle altre recenti decisioni riguardanti la normativa antimafia, sembrano emergere due distinti orientamenti, l’uno seguito dai Tribunali Amministrativi Regionali (e parzialmente condiviso dalla dottrina amministrativistica) e l’altro maggiormente diffuso presso il Consiglio di Stato.
Mentre con riferimento al primo, si registrano pronunce, come quelle sopra citate del T.a.r. per la Lombardia (sezione staccata di Brescia) e del T.a.r. per la Puglia, che ritengono applicabili anche alla procedura di rilascio dell’informativa antimafia le ordinarie garanzie partecipative di cui alla l. n. 241 del 1990 (e successive riforme), pena l’illegittimità del medesimo provvedimento prefettizio, le coordinate ermeneutiche tracciate dal Consiglio di Stato si muovono nella direzione opposta, ammettendo una deroga alle regole generali del procedimento amministrativo in ragione delle imperative e preminenti esigenze di ordine pubblico sottese alle misure antimafia.
Sotto tale aspetto, l’intervento della Corte di Giustizia, sollecitato dal T.a.r. per la Puglia, potrebbe quindi aiutare a fare chiarezza sulla natura da riconoscere alle informative prefettizie, così da poter valutare la legittimità o meno dell’attenuazione (se non eliminazione) delle garanzie procedimentali nelle relative procedure di rilascio attualmente privilegiata dalla giurisprudenza nazionale maggioritaria.
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