Dalla Corte di Giustizia via libera al rito superaccelerato (con condizioni)

La Corte di Giustizia UE, con ordinanza resa nella causa C-54/18 del 14 febbraio 2018, ha ritenuto compatibile con il diritto dell’Unione Europea, a talune condizioni, il rito superaccelerato (o superspeciale) di cui all’art. 120, comma 2-bis, c.p.a., rispetto ai due quesiti posti dal T.a.r. Piemonte con ordinanza n. 88/2018

Aldo Iannotti della Valle 19 Febbraio 2019
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La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con ordinanza resa nella causa C-54/18 del 14 febbraio 2018, ha ritenuto compatibile con il diritto dell’Unione Europea, a talune condizioni, il rito superaccelerato (o superspeciale) di cui all’art. 120, comma 2-bis, c.p.a., rispetto ai due quesiti posti dal T.a.r. Piemonte con ordinanza n. 88/2018 (commentata su questo sito).

Il nuovo rito, come è noto, era stato introdotto dall’art. 204, d.lgs. n. 50/2016, che, nel modificare l’art. 120, c.p.a., imponeva di effettuare l’impugnativa degli atti di ammissione ed esclusione dei concorrenti dalla gara di appalto entro trenta giorni dalla pubblicazione del provvedimento sul profilo del committente della stazione appaltante.

La ratio di tale previsione sarebbe ricollegata alla necessità di definire la platea dei soggetti ammessi alla gara in un momento antecedente all’esame delle offerte e, quindi, all’aggiudicazione, ma le criticità, messe in luce sia dalla dottrina sia dalla giurisprudenza, erano molteplici.

Tali criticità, in massima parte riassunte nell’ordinanza del T.a.r. Piemonte, sono state ritenute recessive dalla Corte di Giustizia rispetto alla prioritaria necessità di definire nel modo «più rapido possibile», mediante la previsione di termini di ricorso ragionevoli entro termini di decadenza, i giudizi avverso «i provvedimenti preparatori o le decisioni intermedie adottati nell’ambito del procedimento di aggiudicazione di un appalto».

Sulla medesima disciplina pende attualmente anche una questione di legittimità costituzionale, sollevata dal T.a.r. Puglia con ordinanza n. 903 del 20 giugno 2018 (anche questa commentata su questo sito).

La Corte costituzionale, quindi, potrebbe ancora annullare la normativa in tema di rito superaccelerato sulla base di diverse considerazioni e per la violazione dell’art. 3, comma 1, dell’art. 24, commi 1 e 2, dell’art. 103, comma 1, dell’art. 111, commi 1 e 2, dell’art. 113, commi 1 e 2, e dell’art. 117, comma 1, della Costituzione.

Sul primo quesito

Con il primo quesito, il T.a.r. Piemonte aveva richiesto alla Corte di Giustizia di chiarire «se la disciplina europea in materia di diritto di difesa, di giusto processo e di effettività sostanziale della tutela, segnatamente, gli articoli artt. 6 e 13 della CEDU, l’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e l’art. 1 Dir. 89/665/CEE, 1 e 2 della Direttiva, ostino ad una normativa nazionale, quale l’art. 120 comma 2 bis c.p.a, che, impone all’operatore che partecipa ad una procedura di gara di impugnare l’ammissione/mancata esclusione di un altro soggetto, entro il termine di 30 giorni dalla comunicazione del provvedimento con cui viene disposta l’ammissione/esclusione dei partecipanti».

Il T.a.r. dubitava, quindi, della compatibilità del nuovo rito con il diritto eurounitario sotto il profilo della compromissione del diritto di difesa, del principio di effettività sostanziale della tutela e, in generale, dei principi del giusto processo.

Il principio di effettività sostanziale della tutela, di cui all’art. 1, Dir. 89/665/CEE, nella lettura fornita dal T.a.r. remittente, consisteva nella necessità di consentire un utile accesso alla giustizia a «chiunque abbia o abbia avuto interesse a ottenere l’aggiudicazione di un determinato appalto e sia stato o rischi di essere leso a causa di una presunta violazione». Tale lettura valorizzava, quindi, la nozione di interesse, che sarebbe stata trascurata invece dal legislatore del nuovo rito.

Secondo l’interpretazione avallata dal T.a.r., il nuovo rito si configurerebbe, infatti, come un’ipotesi di giurisdizione “oggettiva”, imponendo ai concorrenti di proporre un diverso ricorso “al buio” per ogni ditta ammessa, previo pagamento di altrettanti contributi unificati e senza possibilità di conoscere la graduatoria. I concorrenti, in sostanza, si ritroverebbero a dover proporre ricorso prima che si sia verificata una lesione dell’interesse legittimo, lesione che potrebbe tra l’altro anche mai verificarsi.

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, in parte superando e in parte aggirando i dubbi posti dal T.a.r. remittente, ha ritenuto compatibile con il diritto eurounitario il nuovo rito.

La Corte ha ricordato, innanzitutto, che la possibilità per gli Stati membri di fissare termini per presentare un ricorso avverso una decisione presa da un’amministrazione aggiudicatrice è prevista, in via generale, dall’art. 2-quater, Dir. 89/665/CEE.

Ciò premesso, la Corte ha fornito una lettura del principio di effettività sostanziale della tutela diversa da quella del T.a.r. remittente, valorizzando non tanto la nozione di interesse (lasciata ai margini dell’iter argomentativo) quanto la necessità che i ricorsi avverso le decisioni delle pubbliche amministrazioni vengano decisi nel più breve termine possibile, nell’ottica del principio di certezza del diritto.

L’art. 1, par. 1, Dir. 89/665/CEE, infatti, secondo quanto ricordato dalla Corte, impone agli Stati membri l’obbligo di garantire che le decisioni prese dalle amministrazioni aggiudicatrici possano essere oggetto di un ricorso «efficace» e «quanto più rapido possibile». Tale lettura sarebbe anche avvalorata dall’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, secondo cui «ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata […] entro un termine ragionevole».

In ciò risiederebbe, in primo luogo, l’effettività della tutela.

La Corte ha, quindi, richiamato la propria giurisprudenza per ribadire che «la fissazione di termini di ricorso ragionevoli a pena di decadenza risponde, in linea di principio, all’esigenza di effettività derivante dalla direttiva 89/665, in quanto costituisce applicazione del fondamentale principio della certezza del diritto (sentenze del 12 dicembre 2002, Universale-Bau e a., C-470/99, EU:C:2002:746, punto 76, nonché del 21 gennaio 2010, Commissione/Germania, C-17/09, non pubblicata, EU:C:2010:33, punto 22), e che essa è compatibile con il diritto fondamentale a un’effettiva tutela giurisdizionale (v., in tale senso, sentenza dell’11 settembre 2014, Fastweb, C-19/13, EU:C:2014:2194, punto 58)».

La compatibilità con il diritto eurounitario è stata, tuttavia, dichiarata dalla Corte solo a condizione che i provvedimenti di ammissione e di esclusione siano non soltanto comunicati ma anche «accompagnati da una relazione dei motivi pertinenti, tale da garantire che i suddetti interessati siano venuti o potessero venire a conoscenza della violazione del diritto dell’Unione dagli stessi lamentata».

Il concorrente, in particolare, dovrà conoscere la motivazione su cui si fonda la decisione adottata nei suoi confronti, ai sensi dello stesso art. 47 della Carta. Soltanto così, per la Corte, egli potrà «decidere, con piena cognizione di causa, se gli sia utile adire il giudice competente».

A tal fine, invece, non sarà necessario conoscere la graduatoria di gara. Sul punto, infatti, la Corte liquida i dubbi del giudice remittente in merito all’interesse a ricorrere richiamando l’art. 1, par. 3, Dir. 89/665/CE. La circostanza che tale articolo imponga agli Stati membri di garantire che le procedure di ricorso siano accessibili «a chiunque abbia o abbia avuto interesse a ottenere l’aggiudicazione di un determinato appalto e sia stato o rischi di essere leso a causa di una presunta violazione» basta, per la Corte, ad affermare la sufficienza di una situazione di rischio di subire un danno da un illegittimo provvedimento di ammissione per giustificare un immediato interesse ad impugnare detto provvedimento. Ciò «indipendentemente dal pregiudizio che può […] derivare dall’assegnazione dell’appalto ad un altro candidato».

La motivazione adottata dalla Corte appare eccessivamente sbrigativa e, già a prima lettura, pone più di qualche dubbio. Sembrano, infatti, essere stati sottovalutati, o quantomeno non adeguatamente considerati, i profili di illegittimità messi in luce dal T.a.r. remittente.

In nome di un’esigenza di speditezza e di rapida definizione dei giudizi in materia di appalti, infatti, sembrano essere stati sacrificati altri profili di importanza non certo secondaria.

Più in particolare, non è stato adeguatamente considerato il rischio che il nuovo rito possa compromettere l’effettivo diritto di accesso alla giustizia amministrativa, soprattutto per le piccole e medie imprese, con le gravi ricadute sul sistema dei contratti pubblici nel suo complesso che potrebbero derivarne. Rischio che era stato messo in luce nell’ordinanza di rimessione, sottolineando che, negli appalti di maggiore rilevanza economica, sembra plausibile immaginare una proliferazione dei ricorsi nella fase di ammissione ed esclusione alla gara (in spregio alla ratio deflattiva), mentre, negli appalti di minore rilevanza economica, risulterebbero di fatto inattaccabili le ammissioni illegittime eventualmente disposte, essendo del tutto antieconomico per i concorrenti intraprendere iniziative processuali anticipate e “al buio” (anche in considerazione degli importi ingenti dei contributi unificati previsti in materia di appalti pubblici).

Sul secondo quesito

Con il secondo quesito il T.a.r. Piemonte aveva richiesto alla Corte di Giustizia di chiarire «se la disciplina europea in materia di diritto di difesa, di giusto processo e di effettività sostanziale della tutela, segnatamente, gli articoli artt. 6 e 13 della CEDU, l’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e l’art. 1 Dir. 89/665/CEE, 1 e 2 della Direttiva, osti ad una normativa nazionale quale l’art. 120 comma 2 bis c.p.a, che preclude all’operatore economico di far valere, a conclusione del procedimento, anche con ricorso incidentale, l’illegittimità degli atti di ammissione degli altri operatori, in particolare dell’aggiudicatario o del ricorrente principale, senza aver precedentemente impugnato l’atto di ammissione nel termine suindicato».

Il secondo quesito mette in evidenza un ulteriore vulnus al diritto di difesa, che potrebbe derivare dalle ridotte possibilità di impiego dello strumento difensivo del ricorso incidentale di cui all’art. 120, comma 2-bis, c.p.a.

Il dubbio del T.a.r. remittente derivava dalla circostanza che il nuovo rito di cui al all’art. 120, comma 2-bis, c.p.a., precluderebbe l’utilizzo del ricorso incidentale avverso le altrui ammissioni a gara, in sede di ricorsi avverso il provvedimento di aggiudicazione, laddove le ammissioni non siano state preventivamente impugnate nel termine di 30 giorni dalla loro pubblicazione. Ne avrebbe subito le conseguenze l’aggiudicatario, al quale sarebbe stata preclusa la possibilità di difendersi dal ricorso principale avverso l’aggiudicazione in suo favore, utilizzando lo strumento del ricorso incidentale contro l’ammissione a gara del ricorrente principale.

Ad essere irragionevolmente compressi sarebbero stati il diritto di difesa e il principio di parità tra le parti processuali: i ricorsi principali, infatti, sarebbero risultati più facilmente accolti, mentre al controinteressato sarebbe stato sottratto irragionevolmente un rilevantissimo strumento difensivo, non potendo questi più censurare l’ammissione a gara del proprio concorrente.

Ciò nonostante, la Corte di Giustizia ha giudicato il nuovo rito compatibile con il diritto eurounitario anche sotto questo profilo, affermando, in modo invero un po’ sbrigativo, che «la Corte ha ripetutamente dichiarato che la direttiva 89/665 deve essere interpretata nel senso che essa non osta, in linea di principio, ad una normativa nazionale che prevede che ogni ricorso avverso una decisione dell’amministrazione aggiudicatrice debba essere proposto nel termine all’uopo previsto e che qualsiasi irregolarità del procedimento di aggiudicazione invocata a sostegno di tale ricorso vada sollevata nel medesimo termine a pena di decadenza talché, scaduto tale termine, non sia più possibile impugnare detta decisione o eccepire la suddetta irregolarità, purché il termine in parola sia ragionevole (sentenze del 12 dicembre 2002, Universale-Bau e a., C-470/99, EU:C:2002:746, punto 79; del 27 febbraio 2003, Santex, C-327/00, EU:C:2003:109, punto 50, nonché dell’11 ottobre 2007, Lammerzahl, C-241/06, EU:C:2007:597, punto 50)».

La motivazione adottata risulta essere del tutto analoga a quella resa in relazione alla prima questione e non sembra prendere adeguatamente in considerazione il principio di parità di trattamento tra le parti processuali.

Non si considera, infatti, che l’effetto preclusivo sui ricorsi incidentali dell’aggiudicatario, abbinato all’effetto deflattivo sui ricorsi “al buio” avverso le ammissioni e di esclusioni, rischia di sottrarre irragionevolmente ad una delle parti uno strumento di tutela certo non secondario.

Al contrario, anche in questo caso, la Corte ritiene sufficiente la conoscenza da parte del futuro aggiudicatario (così come degli altri concorrenti) dell’illegittimità del provvedimento di ammissione, in modo da poter proporre ricorso secondo i termini stringenti previsti dal rito superaccelerato.

La motivazione, forse anche valida sotto il profilo formale, non fornisce, sotto il profilo sostanziale, una risposta soddisfacente al dubbio prospettato dal T.a.r. Piemonte.

Sulla decorrenza del termine di 30 giorni di cui all’art. 120, comma 2-bis, c.p.a.

La “condizione” posta dalla Corte di Giustizia per la compatibilità del rito superaccelerato con il diritto eurounitario, consistente nella necessaria pubblicazione di una «relazione dei motivi pertinenti» alla base dei provvedimenti di ammissione/esclusione, ha, infine, delle rilevanti conseguenze quanto al momento da cui debba decorrere il termine di 30 giorni previsto dall’art. 120, comma 2-bis, c.p.a.

Infatti, la necessaria pubblicazione sul profilo del committente non soltanto del provvedimento di ammissione ed esclusione a gara ma anche di una relazione dei motivi pertinenti alla base del suddetto provvedimento, fa sì, nel ragionamento seguito dalla Corte, che il termine di 30 giorni decorra dal momento della conoscenza dell’illegittimità del provvedimento di ammissione del concorrente avversario. Il termine decorrerà, quindi, non più dalla semplice pubblicazione del provvedimento di ammissione/esclusione ma dalla pubblicazione sul profilo del committente (e conseguente contestuale conoscenza) della motivazione di detto provvedimento.

Su cosa debba intendersi per «relazione dei motivi pertinenti» si interrogherà senz’altro la giurisprudenza domestica.

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