L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha chiarito che la preclusione di cui all’art. 67, comma 1, lett. g) d.lgs. 159/2011 è idonea a ricomprendere ogni esborso di matrice pubblicistica in favore di imprese soggette ad infiltrazioni criminali
A seguito dell’ordinanza di rimessione n. 4078 del 2017, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato si è occupata nuovamente dell’istituto delle informative antimafia, enunciando i seguenti principi di diritto:
a) “il provvedimento di cd. “interdittiva antimafia” determina una particolare forma di incapacità ex lege, parziale (in quanto limitata a specifici rapporti giuridici con la Pubblica Amministrazione) e tendenzialmente temporanea, con la conseguenza che al soggetto – persona fisica o giuridica – è precluso avere con la pubblica amministrazione rapporti riconducibili a quanto disposto dall’art. 67 d. lgs. 6 settembre 2011 n. 159”.
b) l’art. 67, co. 1, lett. g) del d. lgs. 6 settembre 2011 n. 159, nella parte in cui prevede il divieto di ottenere, da parte del soggetto colpito dall’interdittiva antimafia, “contributi, finanziamenti e mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità Europee, per lo svolgimento di attività imprenditoriali”, ricomprende anche l’impossibilità di percepire somme dovute a titolo di risarcimento del danno patito in connessione all’attività di impresa”.
La questione sottoposta all’attenzione della Plenaria riguardava, nello specifico, la corretta interpretazione della locuzione “altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate” di cui all’art. 67, comma 1, lett. g) d.lgs. 159/2011.
I giudici rimettenti si erano, infatti, chiesti se la stessa potesse essere interpretata, attesa la sua formulazione ampia e generica, in maniera estensiva, come idonea a precludere alle pubbliche amministrazioni anche il versamento, in favore di imprese raggiunte da informativa antimafia, di somme dovute a titolo risarcitorio, connesse all’affidamento (o mancato affidamento) di appalti pubblici e definitivamente accertate in sede giurisdizionale.
Conseguentemente, occorreva stabilire se il generale principio di intangibilità del giudicato potesse ostare ad una simile interpretazione, impedendo in ogni caso all’amministrazione di sottrarsi agli obblighi da esso nascenti.
L’ordinanza di rimessione
Secondo i giudici rimettenti un’interpretazione logico – sistematica della norma, da privilegiarsi in quanto coerente con l’obiettivo di contrasto ai fenomeni mafiosi con essa perseguito, induceva a ritenere che il catalogo di cui all’art. 67, comma 1, lett. g) citato fosse aperto e che la locuzione “altre erogazioni dello stesso tipo” presentasse una valenza “pan-tipizzante”, volta ad impedire l’erogazione di qualunque utilità in favore di imprese vicine alla criminalità organizzata.
A sostegno di tale tesi, veniva richiamato quanto già affermato dalla stessa Plenaria (sent. n. 19/2012) con riferimento, tuttavia, alle erogazioni aventi matrice indennitaria, da ricomprendere nella ratio della norma al pari delle erogazioni dirette ad arricchire l’impresa colpita da interdittiva antimafia “sussistendo per entrambe il pericolo che l’esborso di matrice pubblicistica giovi ad un’impresa soggetta ad infiltrazioni criminali”.
La decisione della Plenaria: l’effetto derivante dalla interdittiva antimafia
Nel confermare l’impostazione seguita dalla sezione semplice, l’Adunanza Plenaria ha, in via preliminare, ricordato la natura e la funzione della misura in esame.
Si tratta di un provvedimento amministrativo al quale deve essere riconosciuta natura cautelare e preventiva, in un’ottica di bilanciamento tra la tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica e la libertà di iniziativa economica di cui all’art. 41 Cost.
Più nel dettaglio, essa è diretta a prevenire tentativi di infiltrazione mafiosa nelle imprese, volti a condizionare le scelte e gli indirizzi della Pubblica Amministrazione, che si pone in funzione di tutela sia dei principi di legalità, imparzialità e buon andamento, riconosciuti dall’art. 97 Cost., sia dello svolgimento leale e corretto della concorrenza fra le imprese nel mercato, sia, infine, del corretto utilizzo delle risorse pubbliche (Cons. Stato, sez. III, 31 dicembre 2014 n. 6465).
A tali fini, la misura prefettizia in commento esclude che un imprenditore, seppur dotato di adeguati mezzi economici e organizzazione, meriti la fiducia delle istituzioni e possa essere, di conseguenza, titolare di rapporti contrattuali con le pubbliche amministrazioni ovvero destinatario di titoli abilitativi da queste rilasciati ovvero, ancora, di “contributi, finanziamenti o mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate”.
Così ricostruita, l’interdittiva antimafia determina quindi una particolare forma di incapacità giuridica ex lege del soggetto destinatario ad essere titolare di quelle situazioni giuridiche soggettive (diritti soggettivi o interessi legittimi) che determinano (sul proprio cd. lato esterno) rapporti giuridici con la Pubblica Amministrazione (Cons. Stato, sez. IV, 20 luglio 2016 n. 3247).
Tale incapacità è parziale, in quanto limitata ai precisi casi espressamente indicati dalla legge e tendenzialmente temporanea, potendo venire meno per il tramite di un successivo provvedimento dell’autorità amministrativa competente.
La ratio dell’art. 67, comma 1, lett. g) d.lgs. 159/2011
Riconosciuto il carattere parziale dell’incapacità, il Collegio ha chiarito che anche l’art. 67, comma 1, lett. g) del Codice Antimafia contribuisce a circoscriverne il perimetro, definendo le tipologie di rapporti giuridici in ordine ai quali il soggetto interessato non può acquistare o perde la titolarità di posizioni giuridiche soggettive.
Fra queste è ricompresa anche quella che lo renderebbe idoneo a ricevere somme dovutegli dalla pubblica amministrazione a titolo di risarcimento del danno patito in connessione all’attività di impresa.
Ciò anche sulla scorta della precedente decisione del 2012, citata in sede di rimessione, che sebbene riferita specificamente ad erogazioni di matrice indennitaria e non risarcitoria, ha comunque individuato la ratio sottesa alla norma in esame: evitare ogni esborso di matrice pubblicistica nei confronti di imprese condizionate dalla criminalità organizzata, impedendo attribuzioni patrimoniali da parte delle amministrazioni in favore di tali soggetti.
E tale finalità, in linea con quanto precedentemente affermato in ordine agli effetti della interdittiva, è perseguita dal legislatore per il tramite di una perdita (tendenzialmente) temporanea per l’imprenditore della possibilità di essere titolare, nei confronti della pubblica amministrazione, delle posizioni giuridiche riferite alle ipotesi puntualmente indicate nell’art. 67 citato.
L’ulteriore questione della intangibilità del giudicato
L’aver inquadrato l’effetto prodotto dall’interdittiva antimafia in termini di incapacità rende irrilevante, ad avviso della Plenaria, anche l’ulteriore questione, connessa alla precedente, della intangibilità del giudicato.
L’impossibilità per la pubblica amministrazione di corrispondere le somme al cui pagamento è stata condannata con sentenza definitiva non consegue, infatti, ad una “incisione” del giudicato ad opera del provvedimento prefettizio, ma discende dall’incapacità del soggetto titolare del diritto di credito a percepire quanto dovutogli.
In altri termini, l’effetto dell’interdittiva non è quello di “liberare” la pubblica amministrazione dalle obbligazioni (risarcitorie) derivanti dall’accertamento e condanna contenuti nella sentenza definitiva; così come non incide sulla sussistenza del diritto di credito definitivamente accertato, né sull’actio judicati, una volta che tale diritto possa essere fatto valere da parte di chi ne ha la titolarità.
Documenti collegati
Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 6 aprile 2018, sent. n. 3
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