Il principio del risultato e il principio della fiducia in caso di chiarimenti sul contenuto delle regole di gara

A cura di Virginia Ventura

27 Settembre 2024
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TAR Campania, Napoli, sez. V, 06.05.2024, n. 2959
Principio di equivalenza – Principio di risultato – Principio di fiducia – Interpretazione della legge di gara

Il nuovo Codice dei contratti pubblici attribuisce un particolare ruolo ai due principi che guidano l’interprete nella lettura e nell’applicazione del nuovo impianto normativo di settore e della disciplina di gara, ovverosia il principio del risultato e il correlato principio della fiducia.
Il principio del risultato, previsto dall’art.1 del D.lgs. n. 36 del 2023, costituisce criterio prioritario per l’esercizio del potere discrezionale e per l’individuazione della regola del caso concreto, traducendosi nel dovere degli enti committenti di ispirare le loro scelte discrezionali più al raggiungimento del risultato sostanziale che a una lettura meramente formale della norma da applicare; dall’altro valorizza il raggiungimento del risultato come elemento di valutazione del personale che svolge funzioni amministrative o tecniche nelle fasi di programmazione, progettazione, affidamento ed esecuzione dei contratti, sia ai fini della valutazione delle loro responsabilità – di cui al successivo principio della fiducia – sia ai fini dell’attribuzione degli incentivi previsti dalla contrattazione collettiva.
Il nuovo principio-guida della fiducia, introdotto dall’art. 2 del D.lgs. n. 36 del 2023, porta invece a valorizzare l’autonomia decisionale dei funzionari pubblici e afferma una regola chiara: ogni stazione appaltante ha la responsabilità delle gare e deve svolgerle non solo rispettando la legalità formale, ma tenendo sempre presente che ogni gara è funzionale a realizzare un’opera pubblica (o ad acquisire servizi e forniture) nel modo più rispondente agli interessi della collettività.
 Trattasi quindi di un principio che amplia i poteri valutativi e la discrezionalità della p.a., in chiave di funzionalizzazione verso il miglior risultato possibile.
Tale “fiducia”, tuttavia, non può tradursi nella legittimazione di scelte discrezionali che, in ossequio ad un’interpretazione formalistica delle disposizioni di gara, tradiscono l’interesse pubblico sotteso ad una gara, le quali, per contro, dovrebbero in ogni caso tendere al suo miglior soddisfacimento. Non si tratta, peraltro, di una fiducia unilaterale o incondizionata.
La disposizione precisa infatti che la fiducia è reciproca e, dunque, investe anche gli operatori economici che partecipano alle gare.
È legata a doppio filo a legalità, trasparenza e correttezza, rappresentando, sotto questo profilo, una versione evoluta del principio di presunzione di legittimità dell’azione amministrativa.
Il chiarimento reso dalla stazione appaltante si è posto pienamente in linea con le coordinate normative cui deve ispirarsi l’azione amministrativa in quanto, nel delucidare “la regola del caso concreto”, come richiesto dal richiamato principio, ha optato per un’interpretazione delle regole di gara ispirata all’implicito principio dell’equivalenza funzionale fra i prodotti, in tal modo assicurandosi il conseguimento del “miglior risultato” possibile all’esito di un realizzato contesto partecipativo ispirato all’attuazione della massima concorrenzialità nel segmento di mercato interessato, altrimenti preclusa dall’interpretazione formalistica ed escludente delle prescrizioni invocate dalla ricorrente.

Indice

Il caso di specie

La vicenda giunta all’attenzione del g.a. concerne una procedura negoziata indetta per l’affidamento semestrale della fornitura di medicazioni generali e specialistiche articolata in tre lotti, da aggiudicarsi secondo il criterio del prezzo più basso per prodotto conforme ai sensi dell’art. 108 comma 3 del D. Lgs. 36/2023.
Gli atti di gara indicavano l’oggetto della fornitura semestrale in 423 confezioni monodose e nello specifico, il disciplinare disponeva l’automatica esclusione di tutte le offerte di prodotti che non possedevano le caratteristiche stabilite nella richiesta di offerta, nel Capitolato speciale e tecnico, ovvero di servizi connessi con modalità difformi in senso peggiorativo.
Successivamente alla pubblicazione della documentazione di gara, la società controinteressata richiedeva chiarimenti alla stazione appaltante in riferimento alle problematiche poste dalle modalità di formulazione e di comparazione dell’offerta, le quali, laddove intese secondo la loro letterale interpretazione, avrebbero impedito il regolare svolgimento di un effettivo confronto concorrenziale tra i produttori operanti nel mercato di riferimento, stante l’impossibilità di comparare le offerte dei concorrenti.
Invero, l’offerta proposta dalla controinteressata presentava un dosaggio superiore a quanto richiesto dalla legge di gara, poiché il prezzo unitario offerto era stato espresso con riguardo al singolo ml di prodotto e non alla confezione.
La stazione appaltante riscontrava la suddetta richiesta e  precisava che il criterio di aggiudicazione per la stima dei fabbisogni e per la comparazione delle offerte dovesse essere individuato nella quantità offerta espressa in ml e non più in confezioni di prodotto, preso atto dell’inesistenza sul mercato di confezioni di prodotto con il dosaggio richiesto dal Capitolato e stante l’acclarata equivalenza dei prodotti farmaceutici, al fine di garantire la comparabilità delle offerte e il più corretto ed ampio confronto concorrenziale.
All’esito della gara la stazione appaltante preferiva l’offerta della controinteressata.
Di conseguenza, la ricorrente impugnava dinanzi al giudice amministrativo la delibera di aggiudicazione adottata a suo avviso in violazione delle prescrizioni poste dalla lex di gara.
Secondo la ricorrente, la società aggiudicataria avrebbe dovuto essere esclusa dalla gara per mancata conformità alle caratteristiche tecniche richieste dal bando di gara, poiché il prodotto offerto dalla controinteressata presentava un dosaggio superiore a quello richiesto dalla stazione appaltante.
A sostegno del gravame deduceva che la modifica del criterio di aggiudicazione da pezzi del prodotto richiesto al “ml di prodotto”, avvenuta in seguito alla richiesta di chiarimenti da parte della controinteressata, contrastava con l’interpretazione letterale del bando e si traduceva in un’inammissibile modifica del significato delle previsioni di gara.
Si costituivano in giudizio sia l’amministrazione resistente che la controinteressata per resistere al ricorso.
Secondo la stazione appaltante l’offerta presentata dall’aggiudicataria era pienamente conforme alle prescrizioni tecniche del Capitolato poiché con apposito chiarimento aveva convertito il fabbisogno originariamente stimato, garantendo la compatibilità delle offerte e il più corretto confronto concorrenziale.
La controinteressata, a sua volta, proponeva gravame incidentale contestando l’ammissione alla gara della ricorrente e il carattere escludente e limitativo della concorrenza della clausola individuante il fabbisogno richiesto in ragione esclusivamente dell’indicato numero di confezioni.

La decisione del TAR

All’esito del ricorso, il T.a.r. ha giudicato infondate le pretese della ricorrente principale.
In primo luogo, il Collegio ha ricordato che il c.d. principio di equivalenza “trova applicazione indipendentemente da espressi richiami negli atti di gara o da parte dei concorrenti, in tutte le fasi della procedura di evidenza pubblica, rivestendo un’intrinseca immanenza alle regole di gara”.
Il suddetto principio , ha ribadito il giudice  “attribuisce la possibilità di ammettere alla comparazione prodotti aventi specifiche tecniche equivalenti a quelle richieste, ai fini della selezione della migliore offerta, in tal modo rispondendo, da un lato, ai principi costituzionali sia di imparzialità e buon andamento che di libertà d’iniziativa economica; dall’altro, al principio euro-unitario di concorrenza, che vede quale corollario il favor partecipationis alle pubbliche gare, mediante un legittimo esercizio della discrezionalità tecnica da parte dell’Amministrazione alla stregua di un criterio di ragionevolezza e proporzionalità”.
Il T.a.r. ha chiarito che “sussistendone i presupposti, la stazione appaltante deve operare il giudizio di equivalenza non già attenendosi a riscontri formalistici con le prescrizioni della legge di gara, ma
sulla base di criteri di conformità sostanziale (e funzionale) delle soluzioni tecniche offerte”.
A conferma di ciò, il giudice ha ricordato che “le caratteristiche minime stabilite nella documentazione di gara non possono essere intese come vincolanti nel quomodo, ma soltanto quoad effectum, nel senso che le offerte sono ritenute rispettose della lex specialis laddove siano, comunque, capaci di conseguire il fine ultimo dell’affidamento” (Consiglio di stato, sez. III, 06/09/2023, n. 8189).
L’applicazione del principio di equivalenza trova il proprio limite esclusivamente nella difformità del bene o del servizio rispetto a quello descritto dalla lex specialis, ovverosia quando venga a configurarsi una ipotesi di aliud pro alio non rimediabile.
Questa conclusione, del resto, come sottolineato dal giudice, è confermata da costante giurisprudenza secondo cui il richiamo al principio di equivalenza soltanto in un siffatto caso avrebbe “l’effetto di distorcere l’oggetto del contratto, al punto da consentire ai partecipanti di offrire un bene radicalmente diverso rispetto a quello descritto nella lex specialis, così finendo per rendere sostanzialmente indeterminato l’oggetto dell’appalto e per modificarne surrettiziamente i contenuti in danno della stessa stazione appaltante e dei concorrenti che abbiano puntualmente osservato la disciplina di gara” (Cons. Stato, sentenza n. 5258/2019 cit.; da ultimo, cfr. Sez. III, 28 giugno 2023, n. 6306).
Ciò premesso, il T.a.r. si è occupato di dirimere la questione giunta alla sua attenzione e consistente nello stabilire se possa considerarsi legittimo un chiarimento reso dalla stazione appaltante a fronte dell’istanza presentata dalla controinteressata volta ad esplicitare che, sussistendone i presupposti, avrebbe operato il giudizio di equivalenza sulle specifiche tecniche dei prodotti offerti non attenendosi a riscontri meramente formali (quali, nella specie, il dosaggio e il confezionamento), ma sulla base di criteri di conformità sostanziale delle soluzioni offerte, così da ritenere rispettato quanto indicato nel bando di gara.
Secondo il Collegio, l’acclarata sostanziale equivalenza funzionale dei prodotti farmaceutici, in quanto idonei entrambi a soddisfare il fine ultimo dell’affidamento, aveva consentito alla stazione appaltante di interpretare le prescrizioni poste dal Capitolato di gara dal carattere apparentemente vincolante e tassativo, in senso ampliativo delle possibilità di partecipazione alla gara, limitandosi a precisare che avrebbe ammesso la formulazione di offerte in quanto funzionalmente equivalenti e , come tali, non precluse da specifiche formali.
In una prospettiva sostanzialistica, il chiarimento non si era tradotto in un’inammissibile modificazione del significato delle previsioni di gara ed in particolare,la mancanza di innovatività del chiarimento era attestata dal fatto che, in sua assenza, l’Amministrazione non avrebbe potuto interpretare diversamente la lex specialis.
Ciò in quanto, come noto, in presenza di una previsione di gara suscettibile di condurre a esiti interpretativi divergenti si deve riconoscere prevalenza al significato idoneo a garantire la più ampia possibilità di partecipazione.
Pertanto, il T.a.r. ha ritenuto che il chiarimento in questione – nel precisare che la valutazione delle offerte sarebbe stata condotta in termini pienamente conformi al principio di equivalenza – abbia rispettatoil limite del carattere necessariamente non integrativo né modificativo della disposizione di gara oggetto di interpretazione, essendosi limitato ad esplicitare il principio di equivalenza; principio permeante ed immanente in tutte le fasi della gara che attribuisce la possibilità di ammettere alla comparazione prodotti aventi specifiche tecniche equivalenti a quelle richieste, ai fini della selezione della migliore offerta.
In tema di interpretazione della disciplina di gara, il Collegio ha richiamato anche il principio del risultato e del principio della fiducia, evidenziandone il ruolo di assoluto protagonismo.  
Il principio del risultato,previsto dall’art. 1 del d.lgs. n. 36 del 2023, costituisce “criterio prioritario per l’esercizio del potere discrezionale” ed è legato da un nesso inscindibile con la “concorrenza”, la quale opera in funzione del primo rendendosi funzionale a conseguire il miglior risultato possibile nell’affidare ed eseguire i contratti. L’amministrazione, pertanto, deve tendere al miglior risultato possibile, in “difesa” dell’interesse pubblico per il quale viene prevista una procedura di affidamento”.
La portata più innovativa risiede nel comma 4 il quale prevede che “costituisce criterio prioritario per l’esercizio del potere discrezionale e per l’individuazione della regola del caso concreto.”
Secondo il Collegio, il principio del risultato da un lato si traduce nel “dovere degli enti committenti di ispirare le loro scelte discrezionali più al raggiungimento del risultato sostanziale che a una lettura meramente formale della norma da applicare” e dall’altro lato mira a valorizzare “ il raggiungimento del risultato come elemento di valutazione del personale che svolge funzioni amministrative o tecniche nelle fasi di programmazione, progettazione, affidamento ed esecuzione dei contratti, sia ai fini della valutazione delle loro responsabilità – di cui al successivo principio della fiducia – sia ai fini dell’attribuzione degli incentivi previsti dalla contrattazione collettiva”.
Il T.a.r. ha messo in luce la rilevanza del principio, in particolare chiarendo che “il principio del risultato è inteso come l’interesse pubblico primario del Codice stesso, affinché l’affidamento del contratto e la sua esecuzione avvengano con la massima tempestività ed il migliore rapporto possibile tra qualità e prezzo nel rispetto dei principi di legalità, trasparenza e concorrenza. La massima tempestività e il miglior rapporto possibile tra qualità e prezzo costituiscono, dunque, le due declinazioni principali del principio in parola, cui sono funzionali gli altri elementi indicati nei successivi commi: la concorrenza tra gli operatori economici, funzionale a conseguire il miglior risultato possibile nell’affidamento e nell’esecuzione dei contratti, e la trasparenza, funzionale alla massima semplicità e celerità nell’applicazione delle disposizioni del Codice”.
Inoltre, il Collegio ha evidenziato l’importanza del principio della fiducia (ora scolpito nell’articolo 2 del d.lgs. n. 36/2023) chiarendo che  “il nuovo principio-guida della fiducia, introdotto dall’art. 2 del D.lgs. n. 36 del 2023, porta invece a valorizzare l’autonomia decisionale dei funzionari pubblici e afferma una regola chiara: ogni stazione appaltante ha la responsabilità delle gare e deve svolgerle non solo rispettando la legalità formale, ma tenendo sempre presente che ogni gara è funzionale a realizzare un’opera pubblica (o ad acquisire servizi e forniture) nel modo più rispondente agli interessi della collettività. Trattasi quindi di un principio che amplia i poteri valutativi e la discrezionalità della p.a., in chiave di funzionalizzazione verso il miglior risultato possibile. Tale “fiducia”, tuttavia, non può tradursi nella legittimazione di scelte discrezionali che, in ossequio ad un’interpretazione formalistica delle disposizioni di gara, tradiscono l’interesse pubblico sotteso ad una gara, le quali, per contro, dovrebbero in ogni caso tendere al suo miglior soddisfacimento”.
Alla luce dei sopra richiamati principi, secondo il T.a.r. il chiarimento reso dalla stazione appaltante è in linea con le innovative coordinate normative, poiché ha assicurato, in applicazione del principio dell’equivalenza funzionale fra i prodotti, il migliore risultato possibile in un contesto partecipativo ispirato all’attuazione della massima concorrenzialità altrimenti precluso dall’interpretazione formalistica ed escludente delle prescrizioni tecniche invocata dalla ricorrente.
In definitiva, il T.a.r. ha respinto il ricorso principale con la conseguente improcedibilità per sopravvenuta carenza d’interesse del ricorso incidentale promosso dalla controinteressata.

Brevi considerazioni conclusive

La questione di interesse affrontata nella presente pronuncia concerne la rilevanza del ruolo che ricoprono i principi ispiratori del nuovo Codice appalti nell’interpretazione della disciplina di gara.
Il principio del risultato deve ormai considerarsi come l’interesse pubblico primario da perseguire e il criterio prioritario per l’esercizio del potere discrezionale, nonché per l’individuazione della regola del caso concreto.
Come è stato evidenziato di recente dal Consiglio di Stato “si tratta di un principio considerato quale valore dominante del pubblico interesse da perseguire attraverso il contratto e che esclude che l’azione amministrativa sia vanificata ove non si possano ravvisare effettive ragioni che ostino al
raggiungimento dell’obiettivo finale che è:
a) nella fase di affidamento giungere nel modo più rapido e corretto alla stipulazione del contratto;
b) nella fase di esecuzione (quella del rapporto) il risultato economico di realizzare l’intervento pubblico nei tempi programmati e in modo tecnicamente perfetto” (Cons. Stato, sez. V, 24 aprile 2024, n.  3738).
Il principio del risultato è quindi il fine primario a cui ambire nell’ottica della migliore soddisfazione dell’interesse pubblico, pur sempre nel rispetto del principio della concorrenza tra gli operatori economici, operando quest’ultima come mezzo funzionale a conseguire il miglior risultato possibile nell’affidare ed eseguire i contratti.
In tale contesto, l’attività amministrativa deve prediligere scelte discrezionali ispirate al risultato sostanziale piuttosto che a una lettura meramente formalistica della norma da applicare, ancorché nel contesto della legalità e della trasparenza.
Tale principio si viene a saldare con il principio della fiducia, posto all’art. 2 del Codice dei contratti pubblici, il quale valorizza l’autonomia decisionale dei funzionari pubblici, mettendo in evidenzia che l’obiettivo primario della stazione appaltante deve essere sempre quello di portare a compimento l’intervento pubblico nel modo più rispondente agli interessi della collettività (facendo, beninteso, sempre salvo il rispetto del principio di legalità).
Il principio del risultato e quello della fiducia sono, dunque, “avvinti inestricabilmente” (così Consiglio di Stato, sez. V, 27 febbraio2024, n. 1924), sicché quest’ultimo amplia i poteri valutativi e la discrezionalità della p.a., in chiave di funzionalizzazione verso il miglior risultato possibile.
La stazione appaltante si vede, quindi, riconosciuta dall’ordinamento la fiducia necessaria per attuare il principio del buon andamento ex art. 97 Cost, anche se non si tratta di una fiducia incondizionata che possa giustificare l’adozione di scelte discrezionali che – in ossequio ad un’interpretazione formalistica della legge di gara – tradiscono e precludono il perseguimento dell’interesse pubblico volto alla selezione della migliore offerta. 

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